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Paoletta Farina
La mafia a Pittulongu
4 Febbraio 2008
Sardegna
Una connection allarmante fra “modello di sviluppo” turistico-cementizio e criminalità organizzata. La Nuova Sardegna, 3 febbraio 2008 con postilla (s.r.)

OLBIA. Soldi delle armi e della droga della ‘ndrangheta ripuliti in Svizzera e poi indirizzati verso investimenti immobiliari in Gallura dove buona parte degli indagati era di casa. C’è uno spaccato dell’appetito delle cosche mafiose per l’isola nell’ordinanza di custodia cautelare del giudice delle indagini preliminari di Milano Guido Salvini che ha raggiunto, su richiesta del pm Mario Venditti, nove persone accusate di riciclaggio aggravato dal favoreggiamento mafioso e dal reimpiego in attività economiche di somme provenienti da reati. Tra loro nomi di spicco del mondo affaristico che nasconde i suoi segreti in cassette di sicurezza e in conti riservati delle banche elvetiche e

dei paradisi fiscali, ma anche personaggi sardi o comunque di origine isolana. Come Sergio Contu, 42 anni, lo skipper olbiese finito in manette per un episodio legato alla vendita per 330mila euro di un motoscafo Riva, (dietro la quale si nasconderebbe l’occultamento di fondi illeciti), a Salvatore Paulangelo, 44 anni. Paulangelo è un altro arrestato dell’inchiesta milanese, amministratore finanziario con villa a Pittulongu che viene considerato uno dei nomi di spicco dell’inchiesta. E ancora Paolo Desole, figlio di Gavino, anche lui quarantatreenne, cittadino svizzero con alle spalle numerosi guai con la giustizia per traffico di cocaina, e su un conto del quale sarebbero transitati 47 milioni di dollari. E poi tutta una serie di nomi di persone molto note a Olbia per essere imprenditori, proprietari di terreni e hotel, alcuni di loro legati al mondo del calcio, che popolano le 269 pagine del provvedimento di arresto.

Uomo chiave e deus ex machina dei traffici l’avvocato milanese Giuseppe Melzi, 66 anni, ex paladino dei piccoli risparmiatori dopo il crac del Banco Ambrosiano e, a leggere le recenti accuse, spregiudicato manovratore di soldi che hanno portato altri piccoli investitori di società andate in bancarotta a perdere tutti i loro risparmi. Sullo sfondo il panorama dei terreni olbiesi, tra cui 500 ettari di pregio, in cui si muove il nutrito gruppo di procacciatori, imprenditori «indigeni» (parola del gip Salvini) che aspirano a fare l’affare del secolo. In un tourbillon di incontri e telefonate prontamente spiati e intercettati dagli investigatori, nell’arco di un’indagine che si è snodata dal 2000 al 2004.

L’inchiesta

«Il presente procedimento è stato reso possibile ed è giunto ad esiti significativi grazie all’osmosi investigativa tra diverse indagini condotte a partire dal 2003 in Svizzera e in Italia che hanno affrontato reati sicuramente definibili come “transnazionali” essendo l’espressione di un gruppo organizzato di stampo ‘ndranghetistico nato e sviluppatosi originariamente in Italia, ed in particolare nella zona di Mesoraca, in provincia di Crotone, (dove è attiva la cosca Ferrazzo n.d.r) ma che si è ramificato in territorio elvetico non solo per commettere reati in materia di stupefacenti e di armi, spostate tra i due Paesi, ma soprattutto per realizzare un’imponente attività di riciclaggio». Cos scrive il magistrato Salvini secondo il quale «a tale fine è stata allestita in Svizzera, quantomeno dalla fine degli anni ‘90, tramite società finanziarie costituite ad hoc, una sofisticata macchina di ripulitura di somme di denaro provenienti dalle attività criminali “ragione sociale” dell’organizzazione».

Semplice il meccanismo di lavaggio dei soldi: le «lavatrici» allestite dagli indagati sarebbero due società finanziarie la World Financial Services AG (WFS) e la PP Finanz Service GmbH di Zurigo, tra loro collegate, i cui patrimoni erano «caratterizzati da un’assoluta confusione contabile» e dalle quali alcuni degli arrestati avrebbero attinto per arricchirsi personalmente. Infatti, quelle societè che ufficialmente si occupavano di raccogliere capitali, direttamente o attraverso intermediari, da una clientela di investitori svizzeri e internazionali per operare sul mercato Forex, raccoglievano anche «masse di contanti di origine a dir poco incerta». Basti pensare che un’impiegata della WFS ha testimoniato che Paulangelo e altri uomini della stessa società andavano in aereo in Calabria e rientravano con valige di soldi in contanti che venivano messi nella cassaforte e non venivano contabilizzati nel sistema informativo e che alcuni “clienti”, a tarda ora, si presentavano in ufficio con pistole sotto la giacca. La cosca Ferrazzo secondo quanto hanno appurato gli inquirenti, praticamente si serviva delle due società WFS e PP Finanz come contenitore di soldi raggranellati grazie al crimine. Nel 2002 il crac, ma il gruppo di affari ha messo al sicuro il denaro in altre società o negli investimenti immobiliari privati in Sardegna.

Gli investimenti in Sardegna.

Un ruolo fondamentale sul fronte sardo ha svolto Alfonso Zoccola, svizzero trentanovenne. Un «esperto in truffe finanziarie» è definito dal giudice Salvini, consumate proprio

in Svizzera ed entrato nella WFS nel 2001 come socio occulto. Di fatto padrone della societè , Â«è¨ stato il principale elemento di collegamento con i calabresi». È proprio Alfonso Zoccola a tenere rapporti con l’avvocato milanese Melzi, tutelato in Sardegna da un avvocato che ha avuto come cliente Paulangelo. C’è da dire che l’organizzazione diretta a Zurigo da Desole, Zoccola e Paulangelo riciclava circa 1,2 milioni di dollari alla settimana provenienti dal traffico di stupefacenti; soldi che gli investimenti immobiliari potevano far ben fruttare. Zoccola si

recava spesso a Olbia dove con Melzi, secondo quanto emerge dalla documentazione acquisita nel corso di perquisizione alla WFS, era interessato ad un progetto concernente l’intera periferia di Olbia.

Negli uffici della WFS, infatti, sono state ritrovate planimetrie di terreni a Pittulongu e i documenti relativi a un progettato acquisto, sempre a Pittulongu, dell’hotel a quattro stelle «Stefania». In particolare nel faldone dei magistrati sono finite due proposte di vendita e un progetto architettonico per l’ampliamento dell’albergo.

Per i progetti immobiliari il clan avrebbe contattato, in qualità di esperto, un ingegnere olbiese.

Per poter dar corso alle operazioni immobiliari il gruppo di cui era a capo il legale milanese Melzi aveva creato una serie di società: «Dagli accertamenti svolti presso la Camera di commercio - scrive il giudice Salvini -, sono state individuate le società coinvolte nelle operazioni immobiliari in Sardegna, nella zona di Olbia: Agrenas srl, Finmed srl, Gmp srl, Montebello srl, Papo srl, Pasim srl, Sasi srl, Repi srl (giè Tre Sb srl)». Nelle societè , in un intricato giro di partecipazioni, compare più volte il nome di Giovanni Battista Pitta, noto imprenditore olbiese fino a poco tempo fa presidente del Tavolara Calcio quale detentore di quote. Secondo i magistrati di Milano, Pitta da trent’anni è in rapporti con Melzi, che è stato anche suo difensore nel corso di un procedimento penale che si è risolto positivamente. Di Pitta sarebbero state sfruttate capacità e conoscenze per l’acquisto di lotti di terreni, in parte già edificabili e in parte no.

Il gruppo si incontrava spesso ad Olbia, dove Melzi prediligeva pernottare all’Hotel Gallura e da dove sono partite molte delle sue telefonate intercettate dagli inquirenti.

L’indagine ha lambito anche un altro imprenditore di Olbia molto conosciuto che viene citato nell’ordinanza di custodia cautelare in riferimento a Zoccola: Mauro Putzu, ex presidente dell’Olbia calcio.

Un intreccio, quello scoperto dal gip milanese, che dovrà passare sotto ulteriori vagli ma che intanto ha aperto uno squarcio sul sottobosco che si muove intorno alle coste sarde con la criminalità organizzata pronta a reinvestire i propri capitali costruiti sulle attività illecite in progetti turistici di largo respiro.

Postilla

Investimenti della malavita organizzata nelle coste sarde, specialmente in Gallura. Non è una novità. Una circostanza che torna ciclicamente, e anche casualmente, esito di inchieste che seguono altre piste. La compravendita di aree fabbricabili o complessi realizzati spesso per via di piani molto compiacenti agevola in molto casi il riciclaggio di denaro sporco. Da almeno una trentina di anni, come hanno riferito i magistrati in varie occasioni, somme considerevoli transitano da queste parti per diventare pulite case a schiera. È facile immaginare che tanto denaro abbia inciso in modo rilevante nei processi decisionali. Un'altra ragione per sostenere fermamente le ragioni del Piano paesaggistico: lo spreco di luoghi bellissimi è a vantaggio di pochi e succede che che tra questi ci siano mafiosi e camorristi (s.r.)

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