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Vittorio Emiliani
La lezione di Tuvixeddu
7 Marzo 2011
Sardegna
Le molte ragioni di una sentenza che ci ha ridato speranza. Su l’Unità, 7 marzo 2011 (m.p.g.)

È di strategica importanza la sentenza con la quale la VI sezione del Consiglio di Stato, presidente Giuseppe Severino ha bloccato (per sempre, si spera) i 260 mila metri cubi di cemento nel cuore di Tuvixeddu (Cagliari). Così ne parla il Gruppo di Intervento Giuridico, uno dei ricorrenti al Consiglio di Stato: “il Colle di Tuvixeddu, dentro la città di Cagliari (quartiere di Sant’Avendrace) è la più importante area archeologica sepolcrale punico-romana del Mediterraneo, con utilizzo fino all’epoca alto-medievale. Oltre 1.100 sepolture, alcune con pareti dipinte, scavate nel calcare in un’area collinare digradante verso le sponde dello Stagno di Santa Gilla. Residuano alcune testimonianze di “vie sepolcrali”, quali la Grotta della Vipera ed il sepolcro di Rubellio”. Di fronte a questa descrizione, in un Paese civile, cosa t’aspetti che succeda? Che si istituisca un Parco archeologico con quanto serve per la migliore tutela e fruizione. Invece no: “In buona parte l’area sepolcrale è stata aggredita pesantemente dall’espansione edilizia di Cagliari e dall’attività di cava, proseguita fino alla metà degli anni ‘70. Numerosi reperti rinvenuti sul Colle di Tuvixeddu impreziosiscono il Museo Archeologico di Cagliari.” Negli ultimi anni i saggi di scavo e le stesse attività edilizie hanno portato alla luce nuovi reperti di rilevante interesse archeologico. Ma non ci si è fermati. “Vuoi una casa nel parco?”, chiedeva lo spot della potente impresa del costruttore Gualtiero Cualbu. E intanto progettava dei molto comuni condominii da ficcare fra le tombe di guerrieri punici e poi romani.

La storia è breve. Dopo la cava dell’Italcementi, arriva l’immondizia. Che indigna pure la stampa estera. Nel 1997 la commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali chiede, in modo argomentato, l’imposizione di un vincolo paesaggistico su Tuvixeddu. Nemmeno per sogno. Nel 2000 viene firmato l’accordo di programma fra la Regione, il Comune di Cagliari (centrodestra) e il costruttore Cualbu con interessi in tutta Italia e in Brasile. Insorgono Italia Nostra, Sardegna Democratica, Gruppo di Intervento Giuridico, Amici della Terra e altre sigle. Soltanto nel 2006, con la Giunta regionale presieduta da Renato Soru, si blocca questo “nuovo modo di abitare, pensare e vivere Cagliari” a spese del paesaggio e dell’archeologia. “Vincoli assurdi che danneggiano l’economia”, tuonano costruttori e centrodestra contro il vincolo apposto dal centrosinistra a difesa di quel patrimonio di tutti. Purtroppo il Tar annulla quella saggia decisione dando ragione a imprese e Comune. Soru e le associazioni sopra nominate ricorrono però al Consiglio di Stato vincendo ora la causa a Palazzo Spada.

Ma v’è di più. La sentenza emessa dalla VI sezione del massimo organismo di giustizia amministrativa contiene motivazioni di valore generale di alto interesse. Per prima cosa, “all’interno dell’area individuata, è prevista una zona di tutela integrale, dove non è consentito alcun intervento di modificazione dello stato dei luoghi e una fascia di tutela condizionata”. Nessuna ambiguità, quindi. Poi, un chiarissimo principio che vale per tutta Italia: “La cura dell’interesse pubblico paesaggistico, diversamente da quello culturale-archeologico, concerne la forma del paese circostante, non le strette cose infisse o rinvenibili nel terreno con futuri scavi”. Bene ha fatto quindi la Giunta Soru ad imporre col Piano Paesaggistico Regionale (redatto in base al Codice Urbani, poi Rutelli, sul Paesaggio) il “vincolo ricognitivo”, molto più vasto di quello archeologico essendo fondamentale la tutela del bene pubblico nella sua interezza. Ma l’area è stata già aggredita e in parte manomessa da alcuni palazzoni che la nascondono. Proprio per questo, sentenzia il Consiglio di Stato, “la situazione materiale di compromissione della bellezza naturale che sia intervenuta ad opera di preesistenti realizzazioni, anziché impedire, maggiormente richiede che nuove costruzioni non deturpino ulteriormente l’ambito protetto”. Principio essenziale in un Paese che tante bellezze paesaggistiche ha compromesso e imbruttito e che altre – grazie alla deregulation voluta da Berlusconi e al blocco della co-pianificazione Ministero-Regioni concesso da Bondi – ci si appresta a sfigurare per sempre fra cemento, cave e asfalto. Princìpi-cardine, con altri della sentenza, a cui si potranno ancorare quanti hanno a cuore la tutela del Belpaese che ci resta. Si capisce bene il fastidio del premier per gli organi costituzionali di controllo, che non si lasciano intimidire.

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