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Ilvo Diamanti
La leggenda dell’eterno ritorno
10 Febbraio 2007
Articoli del 2006
Un’analisi non priva di verità, ma del tutto priva di speranza. Da la Repubblica del 30 aprile 2006

Quanto c’è della prima Repubblica nei primi, incerti passi di questa legislatura? Poco, a nostro avviso. E, comunque, poco di buono. Certo, è difficile non venire risucchiati nella spirale del remake, ripercorrendo i nomi e le vicende degli ultimi giorni. Ex e neo comunisti alla ricerca dell’assoluzione definitiva dal loro peccato d’origine. E tanti democristiani. Mai pentiti. Anzi, mai come oggi orgogliosi di dichiararsi tali. Si pensi alla faticosa elezione del presidente del Senato. Quale migliore esempio dell’immortalità dello spirito democristiano, che permea la nostra cultura politica? Andreotti e Marini. Personaggi esemplari dell’epopea democristiana. Di cui hanno interpretato riferimenti diversi e complementari.

La destra e la sinistra riunite al centro. Insomma: la Dc. La mediazione. Per definizione e per necessità. Perché il Centro della prima Repubblica, come ha insegnato Giovanni Sartori, costituiva una "rendita di posizione". O una "posizione di rendita". L’unico possibile luogo di governo, in un sistema politico altamente polarizzato. Dove le alternative erano impossibili per la presenza di partiti antisistema. L’Msi, neofascista; e il Pci, comunista. Per cui al centro convergevano e coabitavano interessi e identità differenti. E la mediazione diventava quasi un’abitudine. Andreotti e Marini. Rivederli di nuovo, accompagnati da altre icone democristiane della prima Repubblica: Cossiga e Scalfaro in primo luogo. Ha evocato l’eterno ritorno dell’uguale. In questa Repubblica, dove ogni "divisione" viene percepita come una "drammatica spaccatura", di fronte a una alternativa istituzionale incerta, le due parti si sono affidate ai mediatori per definizione. I democristiani. Opponendo un novizio di oltre 65 anni a un navigato navigatore di quasi novanta. "Democristiani" (nell’accezione deteriore) appaiono anche i giochetti che hanno allungato e complicato l’elezione di Marini. I "franceschi tiratori". Che suggeriscono un retroscena di scambi e pressioni di piccolo cabotaggio. Democristiano, infine, anche il candidato proposto da Berlusconi alla Presidenza della Repubblica. Gianni Letta. Per evitare «l’occupazione sistematica del potere» da parte della sinistra.

Eppure, in mezzo a tanti segni democristiani, mai come oggi, mai come in questa occasione, la Dc è apparsa tanto lontana. Irripetibile. I due democristiani. A interpretare non la mediazione, l’accordo fra due coalizioni, fra due Italie: ma la loro contrapposizione irriducibile. In un clima parlamentare acceso. Punteggiato di polemiche, minacce, intimidazioni. Quando la Dc era la camera iperbarica. Dove le minacce e le tensioni venivano sterilizzate all’interno. E Andreotti: l’immobilità e il silenzio del potere (che "logora chi non ce l’ha"). Usato come un ariete, da "altri": il centrodestra. Per scardinare le difese dei nemici. Per sbrecciare le fragili mura del centrosinistra. Catturare qualche voto. Qualche anima. "In virtù delle diaboliche virtù" che la mitologia politica italiana gli attribuisce. Quanto di più lontano dalla Dc: madre di ogni mediazione. Mentre nei giorni scorso, al Senato, ogni scrutinio marcava l’esistenza di due settori quasi impermeabili. Senza transumanze. Almeno per ora. Difficile imbattersi in una raffigurazione altrettanto plastica ed espressiva del bipolarismo maggioritario. A cui si sono piegati – per rassegnazione o per costrizione – anche coloro che, fino ad oggi, lo hanno guardato con avversione o scetticismo. Giulio Andreotti, che ancora nel 2001 aveva partecipato attivamente al progetto neodemocristiano di Democrazia Europea, promosso da Sergio D’Antoni (il segretario della Cisl succeduto a Marini). Affondato immediatamente dall’insuccesso elettorale. Franco Marini: il leader della Margherita più ostile all’ipotesi dell’Ulivo-partito. Del soggetto unitario di centrosinistra. E, per questo, sostenitore della Margherita di centro. Partito moderato che si rivolge non solo agli elettori, ma anche ai partiti moderati di destra. Quasi un viatico al neocentrismo proporzionalista.

Andreotti e Marini: si sono affrontati all’interno di uno schema bipolare. Ne hanno accettato e recitato la parte. Senza dubbi né esitazioni. Proclamando, entrambi, che la loro elezione avrebbe garantito cittadinanza a tutti. Alla destra e alla sinistra. Oltre le divisioni. Come avviene nei sistemi bipolari a democrazia responsabile e matura. Dove chi vince, anche con un solo voto in più, governa e rappresenta tutti. La differenza, semmai, è che il nostro bipolarismo risulta ancora povero di significato e di fondamenti. Ricco solo di fazioni e di partiti (ni). Diversamente dalla prima Repubblica. Baricentrica per necessità, ma profondamente bipolare dal punto di vista politico, dei valori, delle identità. (Oltre che, al fondo, bipartitica). La "centralità del centro". Rifletteva la "frattura anticomunista". E, al tempo stesso, la "questione cattolica". In altri termini: la Dc costituiva il riferimento politico obbligato – e senza alternative – di fronte al maggior partito comunista presente in un paese occidentale. Al tempo stesso, rappresentava i cattolici. O meglio: garantiva la rappresentanza dei cattolici in politica, di fronte alla Chiesa. Ma il comunismo, come blocco geopolitico, non c’è più. Da tempo. È crollato, insieme all’Urss; e al muro di Berlino. Nel 1989. Così i cattolici, anche per questo, oggi non hanno più fedeltà politiche. I partiti che si riferiscono direttamente ed esplicitamente alla tradizione democristiana sono piccoli. Perché i cattolici oggi non hanno partiti né coalizioni di riferimento. La Chiesa, il clero, per questo, agiscono in proprio. Autonomamente. Come una lobby influente. A tutela dei valori (Chiesa, vita, solidarietà) e degli interessi (scuola, associazionismo) del mondo cattolico. Il nostro bipolarismo, invece, si regge su fratture diverse. Certamente più povere di significato e di contenuti, anche se altrettanto profonde. Anzitutto, il "berlusconismo". Quell’insieme di modelli di valore, comunicazione, espressione interpretati da Berlusconi e dal suo partito. (L’impresa, la deregolazione, la televisione, la personalizzazione). A cui si sono piegati, per amore o per forza, gli alleati. A cui si sono adeguati – per necessità e, in parte, per scelta – gli avversari. Poi, il "nuovo anticomunismo". Un prodotto e un artefatto del berlusconismo. L’anticomunismo senza il comunismo. Sinonimo di tutto ciò che è "altro" dal berlusconismo. Una confusa nebulosa di significati, che evoca la regolazione, il pubblico, lo Stato, il sindacato, la grande stampa e i grandi imprenditori, la magistratura…

Ecco: la precarietà del nostro bipolarismo non riflette solo il processo di riforme preterintenzionali e malintenzionate che l’ha accompagnato. Ma, in misura maggiore, la miseria dei riferimenti – politici e di valore – su cui si è fondato. L’incapacità, fin qui, di andare oltre Berlusconi. E l’anticomunismo di maniera che egli evoca. Dipende, inoltre, dall’ambiguità dei progetti e dei soggetti politici che hanno partecipato a costruire questa Repubblica.

Da cui il rischio vero. Peggiore, a nostro avviso, del clima di "divisione" sociale prodotto dal sistema politico. L’affermarsi di un bipolarismo meccanico. Adattivo. Che non aggrega e non divide sulla base di valori, disegni, interessi di grande (o anche medio) raggio. Ma di pallide idee mascherate da ideologie. Rispecchia logiche di potere; o ancora: piccoli calcoli particolaristici. Un bipolarismo che non si sviluppa su grandi soggetti e progetti politici. Ma su collage frastagliati di partiti (ni). La cui coesione parlamentare si fonda sulla sfiducia reciproca; ed è garantita da tecniche di reciproco controllo fra i gruppi (come si è già visto, in occasione del voto al Senato; dove il diverso modo di scrivere il nome dei candidati è servito a dichiararne la provenienza).

Un bipolarismo dove il residuo dell’eredità democristiana – oltre che da una folla di ex, più o meno anziani, più o meno autorevoli – sia costituito dalle furbizie. Dai "franceschi tiratori".

In questa "Repubblica degli ex" io non esiterei a dichiararmi "ex cittadino".

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