Laudato si' il costituzionalista sottolinea come «la tradizione cristiana non abbia mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto di proprietà privata, e abia messo in risalto la funzione sociale di qualsiasi forma di proprietà». Casadellacultura.it, 25 novembre 2015 (m.p.r.)
La grandezza di questa straordinaria Enciclica, che ha il fine precipuo di offrirci una visione del mondo in contrasto con l'attuale immaginario collettivo, si nota già nella scelta del filo conduttore dell'intero discorso: la bellezza. Se ne parla all'inizio (par. 1), ricordando «la casa comune come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia», e se ne riparla frequentemente, come quando si ricorda che «suolo, acque, montagne, tutto è carezza di Dio» (par. 84), o quando si afferma «Dio ha scritto un libro stupendo, le cui lettere sono la moltitudine delle creature presenti nell'universo» (par. 85).
Sappiamo che definire 'intellettualmente' la bellezza non si può. Lo aveva detto Kant qualche secolo fa e lo si deve ribadire anche oggi, nell'imperante relativismo filosofico secondo il quale è bello ciò che piace a ciascun individuo, indipendentemente da qualsiasi canone o regola estetica.
Ciò non ostante, se non è possibile una definizione concettuale, è certamente possibile affermare che il bello è certamente qualcosa che 'si percepisce' in modo intuitivo da parte di ogni uomo. Lo conferma il fatto che l'educazione alla bellezza non può essere espressa in un manuale, ma solo attraverso la contemplazione stessa di ciò che è bello. D'altro canto, è intuitivo anche il concetto opposto alla bellezza: la bruttezza, che deve essere intesa come la percezione di una mancanza di bellezza, o un accumulo di imperfezioni, che suscita indifferenza o dispiacere e genera una percezione negativa dell'oggetto. La scelta di Papa Francesco di mantenere la bellezza come punto fermo di riferimento ha dunque anche un significato, per così dire, di comunicazione diretta. Tutti infatti sono in grado di distinguere il 'bello' dal 'brutto', trattandosi di una scelta intuitiva e non intellettualistica.
Tuttavia, se la bellezza la si percepisce intuitivamente, ciò non significa che non si possa definire quale cosa possa essere 'oggetto di bellezza'. E qui è da porre in evidenza che per la nostra cultura occidentale (Aristotele, Platone, Vico, Kant) il 'bello' esiste 'nella natura' e 'nell'arte'. Nella Critica del giudizio Kant definisce il «bello naturale» come il «bello d'arte»e il «bello d'arte» come il «bello di natura». Insomma gli oggetti di un 'giudizio' di bellezza possono essere la Natura nel suo complesso e l'attività artistica dell'uomo.
A questo punto, considerando il 'bello' (che proviene da una intuizione) come oggetto di una riflessione intellettuale, ci si accorge che c'è un elemento comune nei caratteri di qualsiasi cosa noi definiamo 'bella': è 'l'armonia' tra le varie componenti dell'oggetto e tra l'oggetto e il contesto naturale nel quale l'oggetto si trova. E, a questo proposito, è puntuale il richiamo dell'Enciclica a S. Francesco d'Assisi: «Egli manifestò un'attenzione particolare verso la creazione di Dio e verso i più poveri e abbandonati. Amava ed era amato per la sua gioia, la sua dedizione generosa, il suo cuore universale. Era un mistico e un pellegrino che viveva in semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso» (par. 10).
L'armonia, come agevolmente si capisce, è espressione, nel campo del 'bello', di un principio universale che governa il mondo e l'universo intero: 'l'equilibrio'. Qualità che riguarda, sia il mondo naturale, sia il mondo delle attività umane. Equilibrio, armonia, bellezza, appaiono, dunque, come concetti strettamente connessi, per cui si può capire perché taluni studiosi hanno parlato di bellezza, non solo per la natura e per l'arte, ma anche per le forme di governo, le strategie, i modelli matematici e così via dicendo. D'altro canto quante volte noi stessi abbiamo detto 'questo articolo è bello, questo libro è bello', per dire che si tratta di un'opera ben fatta, che segue i criteri della logica e che raggiunge i fini che l'autore si era proposto di perseguire. Anche a questo proposito, sono puntualissime le affermazioni di Papa Francesco, che richiama, insieme, «l'armonia», gli «equilibri naturali» e le «leggi di natura», che dell'armonia e dell'equilibrio sono la massima espressione.
L'Enciclica osserva infatti che «la legislazione biblica si sofferma a proporre all'essere umano diverse norme, non solo in relazione agli altri esseri umani, ma anche in relazione agli altri esseri viventi: se vedi l'asino di tuo fratello o il suo bue caduto lungo la strada, non fingerai di non averli scorti. Quando, cammin facendo, troverai sopra un albero o per terra un nido d'uccelli con uccellini o uova e la madre che sta covando gli uccellini o le uova, non prenderai la madre che è con i figli» (par. 68). Ed è sempre la legislazione biblica «che ha cercato di assicurare l'equilibrio e l'equità nelle relazioni dell'essere umano con gli altri e con la terra dove viveva e lavorava», ponendo in evidenza che «il dono della terra con i sui frutti appartiene a tutto il popolo»(par.71).
Se i concetti di equilibrio, armonia, bellezza investono l'universo intero, esprimendosi nelle leggi di natura, non si può fare a meno di ricordare, nel contesto su cui andiamo riflettendo, che tutto l'universo non è immobile, ma scorre nello spazio e nel tempo, mentre tutti gli esseri viventi nascono, crescono e muoiono sempre rinnovando la loro specie. Insomma, se ne deve dedurre, come diceva Platone, che «questo mondo è davvero un essere vivente dotato di anima», o, se si preferisce, che la Natura è essenzialmente «vita». Del resto, la parola 'natura' deriva dal participio futuro del verbo nascor, e significa, dunque, ciò che nasce, nel momento in cui nasce, e, quindi, la vita. Altrettanto è da dire per la parola greca fusis, che significa 'natura', e viene dal verbo fuo, che significa generare, per cui 'natura' è ciò che viene generato, considerato nel momento in cui è generato, e, dunque, significa vita. Ed è sintomatico che l'Enciclica Laudato si' si concluda proprio con un inno alla vita, osservandosi che «la persona umana tanto più cresce, matura e si santifica quanto più entra in relazione, quando esce da se stessa per vivere in comunione con Dio, con gli altri e con tutte le creature» (par. 240), osservandosi ancora che «la vita eterna sarà una meraviglia condivisa, dove ogni creatura, luminosamente trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati» (par. 243).
Eppure questa «madre bella», continua Papa Francesco (par. 1 e par. 2), «protesta per il male che le provochiamo, a causa dell'uso irresponsabile e dell'abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c'è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell'acqua, nell'aria e negli esseri viventi».
Sull'onda di questo grido di dolore, l'Enciclica passa a considerare le cause di questo abuso e di questo saccheggio. «Osservando il mondo notiamo che questo livello di intervento umano, spesso al servizio della finanza e del consumismo, in realtà fa sì che la terra in cui viviamo diventi meno ricca e bella, sempre più limitata e grigia, mentre contemporaneamente lo sviluppo della tecnologia e delle offerte di consumo continua ad avanzare senza limiti» (par. 34).
L'Enciclica continua su questa via con delle affermazioni di grandissimo rilievo. Essa sottolinea che «la politica non deve sottomettersi all'economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l'economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana» (par. 189). E' arrivato il momento di opporsi decisamente all'idea di una «crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia. Ciò suppone la menzogna circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta, che conduce a spremerlo fino al limite e oltre il limite. Si tratta del falso presupposto che esiste una quantità illimitata di energia e di mezzi utilizzabili, che la loro immediata rigenerazione è possibile e che gli effetti negativi delle manipolazioni della natura possono essere facilmente» (par. 106). D'altro canto, sottolinea Papa Francesco, «i poteri economici continuano a giustificare l'attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull'ambiente […] Oggi qualunque cosa che sia fragile come l'ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta» (par. 56).
Al contrario, incalza Papa Francesco, «dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle altre creature […] I testi biblici ci invitano a coltivare e custodire il giardino del mondo […] custodire vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare»(par. 67).
Di qui la grande e innovativa affermazione secondo la quale «quando parliamo di ambiente facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra natura e la società che la abita». Questo non deve farci «considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati». (par 139). «La relazione originariamente armonica tra essere umano e natura si è trasformata in un conflitto. Per questo è significativo che l'armonia che san Francesco d'Assisi viveva con tutte le creature sia stata interpretata come una guarigione di tale rottura» (par. 66).
Alla luce di questi fondamentalissimi principi, l'Enciclica entra poi direttamente anche nel campo giuridico, affermando che «la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto di proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualsiasi forma di proprietà […] Dio ha dato la terra a tutto il genere umano perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno […] non sarebbe veramente degno dell'uomo un tipo di sviluppo che non rispettasse e non promuovesse i diritti umani, personali e sociali, economici e politici, inclusi i diritti delle Nazioni e dei popoli». La Chiesa insegna «che su ogni proprietà privata grava sempre un'ipoteca sociale, perché i beni servano alla destinazione generale che Dio ha dato loro» (par. 93). Di conseguenza, «l'ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l'umanità e responsabilità di tutti» (par. 95).
Sempre sotto il profilo giuridico, Papa Francesco, dando molto risalto al concetto di «comunità» - sia che si tratti di quella che noi chiamiamo 'comunità biotica', sia che si tratti di quella che noi chiamiamo 'comunità politica' o Stato - sottolinea con molta chiarezza che «sono funzioni improrogabili di ogni Stato quelle di pianificare, coordinare, vigilare e sanzionare all'interno del proprio 'territorio'»(par. 177), mentre le relazioni tra gli Stati devono salvaguardare la «sovranità di ciascuno» (par. 173). Per Papa Francesco, dunque, la 'globalizzazione' riguarda solo la 'transitabilità' dei confini e non fa venir meno l'idea stessa della 'comunità politica', cioè l'essenzialità dei Popoli e dei territori, e, quindi l'importanza 'degli Stati nazionali', che, purtroppo, perdono potere a causa «della dimensione economica finanziaria» (par.175). Né è da sottovalutare l'importanza che l'Enciclica dà alla «partecipazione» popolare (par. 181 e par.183) e alle «comunità locali», nelle quali «possono nascere una maggiore responsabilità, un forte senso comunitario, una speciale capacità di cura e una creatività più generosa, un profondo amore per la propria terra» (par. 179). In altri termini, secondo Papa Francesco «se riconosciamo il valore e la fragilità della natura, e allo stesso tempo le capacità che il Creatore ci ha dato, questo ci permette oggi di porre fine al mito moderno del progresso materiale illimitato», ed alle sue conseguenti devastazioni ambientali (par. 77).
Dunque, ben diverso deve essere il comportamento che l'uomo deve mantenere verso la natura. Anzi si deve necessariamente ritenere che uomo e natura, agendo entrambi sul piano della soggettività, sono naturalmente stretti da un 'patto' inviolabile secondo il quale il 'dono' immenso che la natura fa all'uomo porgendogli, con i servizi ambientali, tutto ciò di cui ha bisogno, compreso il soddisfacimento dell'insopprimibile desiderio di 'bellezza', deve essere ricompensato dall'uomo, non solo con il rispetto della natura, ma anche e soprattutto con una sua completa dedizione alla cura e al benessere della natura stessa. E questo 'patto', come sottolinea Papa Francesco, deve consistere in una «conversione ecologica», che deve avvenire riconoscendo «il mondo come dono ricevuto dall'amore del Padre [con] l'amorevole consapevolezza di non essere separati dalle altre creature, ma di formare con gli altri esseri dell'Universo una stupenda comunione universale» (par. 191). E se si tiene conto che oggi la terra è abitata da sette milioni e duecentomila abitanti, e che la stessa, come hanno affermato gli scienziati, dal 2 agosto 2012 non è più in grado di rigenerare quanto noi consumiamo, appare evidente che in queste parole di Papa Francesco deve scorgersi un invito a quella che noi chiamiamo 'decrescita'. Occorre cambiare gli 'stili di vita'. Si deve respingere il 'consumismo', si deve, in ultima analisi ristabilire un 'equilibrio' tra l'azione dell'uomo e la vita di tutti gli altri esseri viventi.
Il problema, a questo punto diventa necessariamente giuridico. Ci si deve chiedere, infatti, quali devono essere i comportamenti che l'uomo deve seguire per ricompensare la Natura dei suoi immensi doni. E qui la risposta non può non essere che quella di un 'giusnaturalista', fondata, cioè, sul 'diritto naturale', al quale Papa Francesco riserva tanta rilevanza. Infatti, non è chi non veda come una risposta data secondo i criteri del 'positivismo giuridico', oggi degradato a 'nichilismo giuridico', non avrebbe senso, per il semplicissimo fatto che il positivismo toglie alla natura ogni valore e ritiene che l'uomo può fare tutto ciò che vuole, purché obbedisca a leggi emanate secondo particolari procedure preventivamente stabilite.
Insomma, è inevitabile rivolgersi al 'diritto naturale', secondo il quale il comportamento dell'uomo deve essere indiscutibilmente conforme alle 'leggi di natura', poiché soltanto queste consentono alla natura e all'opera dell'uomo di esplicitarsi nella 'bellezza', che appare come supremo valore da conservare e proteggere.
E si deve sottolineare a questo punto che l'antica diatriba tra positivismo e giusnaturalismo è stata risolta dal costituzionalismo moderno del secondo dopoguerra, che ha dato nuovo impulso al giusnaturalismo, inserendo nelle Costituzioni europee il valore della natura e dell'arte. Lo afferma esplicitamente l'art. 9 della nostra Costituzione, secondo il quale «la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio artistico e storico della Nazione», mentre l'art. 33 della stessa Costituzione sancisce che «l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento». Né è da sottovalutare il fatto che l'art. 117, del Titolo V della Seconda Parte della Costituzione, novellato con legge costituzionale n. 3 del 2001, ha assegnato alla potestà legislativa esclusiva dello Stato le materie dell'«ambiente, ecosistema e beni culturali». Il 'giusnaturalismo', dunque, è entrato a pieno titolo nella Costituzione e la 'bellezza', che si esprime nella natura e nell'arte, è da ritenere, a sua volta, 'valore costituzionale'.
Nel giusnaturalismo costituzionale (anche se taluno lo nega) risiede, a nostro avviso, la 'bellezza' della nostra Costituzione: infatti, il dar rilievo, non solo al «lavoro» umano, considerato il «fondamento» della Repubblica, ma anche al paesaggio, ai beni artistici e storici, all'arte e alla scienza, nonché all'ambiente, all'ecosistema e ai beni culturali in genere, vuol dire che la Costituzione stessa pone in 'equilibrio', e quindi in 'armonia' tra loro, il valore Uomo e il valore Natura, considerando entrambi indispensabili per lo «sviluppo della persona umana» e il «progresso materiale e spirituale della società» (art. 3 e art. 4 Cost.). Oggetto di regolamentazione, in altri termini, è la 'vita nel suo complesso' che, come sopra si notava, è la massima espressione della 'bellezza'. E a questo punto non si può sottacere che la 'bellezza' della quale è ammantata la nostra Costituzione deriva anche da quella che è stata definita 'l'etica repubblicana', il fatto cioè che tutte le disposizioni costituzionali si ispirano ai principi di 'libertà, eguaglianza e solidarietà' (l'eguaglianza soprattutto), principi che costituiscono, per così dire, l'asse portante del 'bello' che si ritrova nella nostra Carta costituzionale.
Dunque, per ricompensare la Natura dei suoi immensi doni, la via è già tracciata: è scritta nella Costituzione, che è impostata secondo le linee di Papa Francesco poco sopra esposte, e che è, come si accennava, 'equilibrata' e 'armonica', quindi 'bella'.
Questo testo è uno stralcio di una più ampia lectio magistralis - intitolata L'Enciclica 'Laudato si' di Papa Francesco. Riflessi giuridici - tenuta da Paolo Maddalena all'inaugurazione dell'anno accademico dell'Istituto Superiore di Scienze Religiose Euromediterraneo di Tempio Pausania il 17 ottobre 2015.