Il saggio di Luciano Canfora edito da Sellerio (
La trappola. Il vero volto del maggioritario) «è un vero e proprio atto di accusa alla sinistra, indegna erede della tradizione del parlamentarismo democratico fondata sul voto uguale sancito dall'art. 48 della Costituzione». Il manifesto, 14 giugno 2013
Del porcellum si continuerà a disquisire a lungo, dato che piace tanto a tutti e non sarà cambiato, almeno così si promette, se non a conclusione delle riforme costituzionali. Fuori dal coro di questo annoso dibattito tra politici professionisti che va avanti da anni, inconcludente come acqua pestata nel mortaio (Napolitano), oltre ai contributi critici della migliore dottrina costituzionalista italiana ampiamente ospitata in questo giornale, abbiamo da poco anche il saggio di Luciano Canfora edito da Sellerio La trappola. Il vero volto del maggioritario: un vero e proprio atto di accusa alla sinistra, indegna erede della tradizione del parlamentarismo democratico fondata sul voto uguale sancito dall'art. 48 Cost.
La vicenda di questa tradizione è ripercorsa con la maestria dello storico partendo da una premessa: l'aver ottenuto con la legge maggioritaria alle ultime elezioni il triplo dei deputati dello schieramento avverso nonostante una manciata di voti in più «è stato il più grande scandalo mai verificatosi nella storia politica italiana, più scandaloso persino del risultato ottenuto dal 'listone' mussoliniano (e associati), grazie alla legge Acerbo, nelle elezioni politiche dell'aprile 1924». Secondo Canfora la legge elettorale è intimamente connessa all'assetto costituzionale e se la si cambia in senso maggioritario, si altera il principio basilare del voto uguale (un uomo - un voto).
Questo assunto è stato sempre presente nelle riflessioni e nelle battaglie della sinistra, tanto da determinarla ad ingaggiare una grande battaglia, parlamentare e popolare (scioperi e scontri con la polizia), contro la proposta di legge della Democrazia cristiana che, nella imminenza delle elezioni politiche del 1953, voleva introdurre un premio di maggioranza al partito che avesse raggiunto il 50% più uno dei voti: la (allora) famigerata "legge truffa". Ricordando che la Costituente del '46 e il primo parlamento repubblicano del '48 erano stati eletti con una legge rigorosamente proporzionale, a supporto delle sue argomentazioni l1:sCanfora riporta integralmente l'intervento alla Camera di Togliatti nella seduta dell'8 dicembre 1952, indicato proprio come una lezione di diritto costituzionale».
L'escursus storico e giuridico di Togliatti è minuzioso e puntuale e ritorna sempre sul punto focale: «Non esistono eccezioni nella dottrina, ed evidente risulta, per conseguenza, che quando il diritto elettorale venga radicalmente modificato è la Costituzione che viene posta in discussione e toccata. Quando poi si giunga a dimostrare che un determinato ordinamento elettorale che si propone è contrario a determinate norme fissate dalla Costituzione, è la Costituzione stessa che viene violata, distrutta». Togliatti ricorda al presidente del consiglio proponente (e lo si dovrebbe ricordare anche all'attuale) il giuramento di fedeltà alla Costituzione e il suo obbligo di difenderla e, semmai, di avere il buon senso di far proporre al suo partito, la Dc, almeno una modifica della Carta.
Canfora, con realismo, visti i tempi, si pone il problema della difficoltà politica di tornare ad una pura e semplice legge elettorale proporzionale e, come extrema ratio, propone una legge simile a quella tedesca, proporzionale e con uno sbarramento al 5%, proprio per non tradire sino in fondo la Costituzione. Una lettura piacevole, ma amara, con la speranza che dalla stessa almeno parte della sinistra tragga un qualche insegnamento che ci aiuti ad uscire dalla trappola del maggioritario.
Riagganciandomi immodestamente a Togliatti, su questo punto, per la legge elettorale e la riforma semipresidenzialistica dello Stato, e cioè per la soppressione del voto uguale e per l'abbandono della funzione di terzietà del Capo dello Stato, penso che chi si accinge ad una riforma radicale della Costituzione avrebbe il dovere non di manipolarla attraverso l'uso disinvolto dell'art. 138 (che è stato concepito per aggiustamenti parziali), ma di accettare la sfida eleggendo, con voto proporzionale, una assemblea costituente. Certo anche questo passaggio sembra urtare contro il dettato dell'art. 139 Cost. che, prescrivendo come la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale, non sembra alludere solo alla impossibilità del ritorno di un re, ma anche ad uno stravolgimento della "forma repubblicana" come è strutturata dalla Costituzione vigente, voto uguale e Capo dello Stato organo terzo compresi.