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Jenner Meletti
La grande colletta dei veneziani per l’isola dei tesori
13 Maggio 2014
Articoli del 2014
«Ci sentiamo dentro a un assurdo paradosso: dovremmo svenarci per poter comprare un bene demaniale, cioè statale, cioè nostro. I veneziani, quelli nati qui e quelli che lo sono diventati, adesso vogliono contare davvero». La
«Ci sentiamo dentro a un assurdo paradosso: dovremmo svenarci per poter comprare un bene demaniale, cioè statale, cioè nostro. I veneziani, quelli nati qui e quelli che lo sono diventati, adesso vogliono contare davvero». La

Repubblica, 13 maggio 2014 (m.p.r.)

Venezia. Alle 17.35 la Costa Fascinosa occupa il canale della Giudecca davanti alla Palanca (bar, osteria e soprattutto quartier generale dell’associazione “Poveglia per tutti”) e oscura come in un’eclissi totale la Salute e il campanile di San Marco. «Ecco, questa è la Venezia che non vogliamo più». È nata in questa osteria, a marzo, la prima protesta che forse riuscirà a cambiare la città di San Marco. «Non vogliamo – dicono Andrea Barina e Lorenzo Pesola, fra le guide dell’associazione – che un’isola che è sempre stata “nostra” diventi proprietà privata, aperta a pochi ricchi e chiusa a tutti gli altri. Con la nostra protesta abbiamo toccato un nervo scoperto. I veneziani sono saturi di un certo tipo di turismo e non vogliono più una città assuefatta e rassegnata».

Si deciderà oggi – forse – il destino di un’isola bellissima, famosa «per la fertilità della terra e la salubrità dell’aria». C’è infatti la seconda puntata di un’asta assurda, che potrebbe mettere nelle mani di Mister 513 (così viene chiamato l’ignoto imprenditore che dopo la prima asta risulta in testa con un’offerta di 513 mila euro) un vero gioiello: sette ettari di terreno ed edifici storici, sia pure cadenti, con un volume di 42 mila metri cubi. Con mezzo milione di euro, nel centro storico veneziano, compri un appartamento di 60 metri quadri. Con la stessa cifra puoi diventare padrone di mezzo ettaro di vigneto nel Barolo o mezzo ettaro di meleto in Alto Adige. «Ci sentiamo dentro a un assurdo paradosso: dovremmo svenarci per poter comprare un bene demaniale, cioè statale, cioè nostro ». L’asta si riaprirà alle 11. «Finora abbiamo raccolto 400 mila euro e nella notte ci potrebbero essere sorprese. Ma abbiamo un forte dubbio: anche se superassimo i 513 mila euro, sarebbe giusto rilanciare? Mister 513 potrebbe farlo a sua volta, diventando così padrone di Poveglia. Se non c’è rilancio, il demanio potrebbe ritenere incongrua l’offerta e fermare tutto. Potrebbero intervenire le istituzioni, Comune in testa. Finalmente si potrebbe discutere di Venezia e del suo futuro, smettendo di vendere a pezzi e bocconi un patrimonio costruito nei secoli».
Tanti dubbi in testa, una sola certezza. «Anche se perdiamo l’asta, non sarà la fine ma un nuovo inizio. I veneziani, quelli nati qui e quelli che lo sono diventati, adesso vogliono contare davvero». Non a caso la protesta è nata alla Giovecca. «Siamo l’unico pezzo di città – raccontano Barina e Pesola – dove gli abitanti sono in aumento. Qui cerchiamo di vivere in modo normale e il canale della Giovecca è il nostro “Mar Rosso” che ci divide e ci protegge dal turismo delle comitive e del mordi e fuggi. Ci siamo ribellati perché Poveglia è davvero nel nostro Dna».
Nella luce del tramonto l’isola mette in mostra tutti i suoi colori. «Nei primi anni ’70 è stato chiuso l’ospedale geriatrico, costruito lì per l’aria buona e nel 1978 se n’è andato anche l’ultimo custode. L’isola è diventata il nostro fuori porta. Ci sono decine di barchini, il sabato e alla domenica. Si va a fare la grigliata, si va passeggiare con i bambini nei sentieri ormai nascosti dalla selva. Per decenni un pezzo dell’isola ha sfamato centinaia di famiglie che andavano là a coltivare un orto. Per questo, quando sulla Nuova Venezia abbiamo letto che il nostro posto era in vendita, ci siamo organizzati. Novantanove euro a testa, per partecipare all’asta. Soldi sono arrivati anche da mezzo mondo. Gli iscritti a Poveglia per tutti sono 3.500 e solo la metà sono veneziani».
Troppe isole, fino ad oggi, sono diventati l’isola che non c’è. «Se parti in barca da San Marco e vai verso Poveglia, trovi San Clemente, isola ex manicomio. Nel 2003 è stato costruito un mega hotel di lusso, fallito due anni fa. A Sacca Sessola (ex sanatorio) si sta costruendo un resort di lusso che però ancora non riesce ad essere inaugurato. Le Grazie sono state comprate nel 2007 per costruire anche qui appartamenti per ricchi. Altri 60 appartamenti sono previsti a Santo Spirito ma i lavori sono fermi a metà. Fra fallimenti e difficoltà una sola cosa è sicura: in tutte queste isole c’è il divieto di accesso. Non sono più isole veneziane». Poveglia non deve diventare un’altra isola proibita. «Abbiamo messo al lavoro architetti e ingegneri e soprattutto abbiamo raccolto le idee dei cittadini. Se l’isola diventerà nostra cioè di tutti, potremo fare subito un restauro del verde. Torneranno gli orti. Ci sarà posto – queste alcune proposte già ricevute – per una scuola di vela tradizionale, per una piccola cantieristica, per congressi… L’isola dovrà tornare alla vita. Nei secoli scorsi lì c’era una Pieve con mille persone. Ora è rimasto solo il campanile, fra l’altro bellissimo. Siamo veneziani, e non siamo certo contrari al turismo di chi ha soldi. Ma non è possibile che un solo ricco compri un’isola al prezzo di un piccolo appartamento. E poi chiuda i cancelli in faccia a un’intera comunità»
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