Il manifesto, 24 aprile 2015 (m.p.r.)
Navi da guerra, portaelicotteri, aerei arriveranno nel Mediterraneo per mettere ordine, per “smash the gangs”, come ha riassunto con grande eleganza il britannico David Cameron. Ma gli “interventi mirati” per distruggere i barconi dei trafficanti, individuati come i soli responsabili dell’ecatombe umana dietro i quali la Ue tenta di nascondere le proprie responsabilità, restano un’ipotesi difficile da realizzare nei paesi di partenza, a cominciare dalla Libia, e potrebbero limitarsi ad azioni ex post, nei porti di sbarco europei. A Mrs Pesc, Federica Mogherini, è stato affidato il compito di trovare le vie legali per arrivare al sequestro e alla distruzione dei barconi dei trafficanti.
Il Consiglio straordinario sui migranti dei capi di stato e di governo della Ue si è aperto a Bruxelles con un minuto di silenzio in memoria dei morti del Mediterraneo. Sarà il solo momento in cui sono ricordati come esseri umani. Per il resto, i 28 hanno discusso per ore come scaricarsi il “fardello”, senza cambiare di una virgola i criteri di Frontex, agenzia nata per difendere la fortezza Europa, come dice il suo nome. I finanziamenti a Triton (al largo dell’Italia) e a Poseidon (al margo della Grecia) saranno raddoppiati: erano rispettivamente di 2,9 milioni al mese e 8 milioni l’anno (ma anche con il raddoppio non si raggiungerà l’investimento di Mare Nostrum). Misure “molto lontane dal nostro appello pressante a favore di operazioni di salvataggio di grande ampiezza”, ha commentato Amnesty International, che ha firmato con una trentina di altre organizzazioni non governative un testo rivolto ai dirigenti europei e rimasto inascoltato.
Le conclusioni del vertice riprendono i dieci punti del programma di emergenza presentato dalla Commissione lunedi’. Ma lo rivedono ancora al ribasso. Bisognerà aspettare maggio, per esempio, e altre proposte della Commissione, per vederci più chiaro sulla “reinstallazione” dei richiedenti asilo nei 28 paesi: comunque, l’offerta sarà solo “su base volontaria” e non dovrebbe riguardare più di 5mila persone, identificate dall’Onu come rifugiati (oggi nei campi in Libano, Giordania e Turchia). Non è in discussione un cambiamento di Dublino II, che prevede che sia il paese di primo arrivo ad aprire la pratica per il diritto d’asilo (cosa che incombe soprattutto su Italia, Grecia, Spagna, Malta e Cipro). C’è una direttiva Ue del 2001, mai applicata, che prevede una “protezione temporanea” in caso di grave crisi, ma anche questo sembra troppo alla maggioranza degli europei. David Cameron, per esempio, che deve fronteggiare le elezioni il 7 maggio, ha subito fatto sapere che manderà 3 elicotteri e una nave (è già una svolta, prima non voleva neppur sentir parlare di ricerca e salvataggio), ma che comunque la Gran Bretagna non accetterà di ospitare rifugiati. Nel 2014, come ha ricordato il presidente dell’Europarlamento Martin Schultz, ci sono state 626mila domande di asilo nella Ue, ma ne è stata accolta solo un’infima percentuale (a titolo di paragone, il Libano, che ha 5 milioni di abitanti, accoglie un milione di siriani). La Francia manderà due navi e un aereo, la Svezia (con la Norvegia) una nave. La Germania, due navi. La Spagna e il Belgio accettano anch’esse di partecipare. La ministra della difesa italiana, Pinotti, sostiene di sapere dove si trovano i trafficanti, l’Italia spinge per operazioni mirate in Libia. Ma molti frenano, e molto probabilmente la distruzione dei barconi avverrà nei porti di sbarco europei. Per poter agire in Libia, principale stato di partenza, ci vuole l’accordo del “governo”, ma, come ha sottolineato Hollande (riferendosi polemicamente al suo predecessore Sarkozy), quel paese “non è governato, è nel caos”, tre anni e mezzo dopo l’intervento. Ci vorrebbe un mandato Onu, ma qui l’Ue si scontrerebbe con un sicuro veto russo. Il precedente di Atalante, la missione Ue al largo della Somalia contro la pirateria, insegna: la missione era stata decisa nel 2008, ma le prime azioni sono arrivate solo nel 2011-12. Come ha riassunto un ammiraglio francese, Alain Coldefy: “cosa possiamo fare per contenere questo traffico con la forza? La risposta è semplice: niente”. Rebecca Harms, co-presidente dei Verdi al Parlamento europeo, afferma che l’ipotesi di interventi mirati è un “senza senso, la missione di difesa e sicurezza comune significa militarizzazione della strategia Ue contro i migranti”.
La Ue si lascia tentare dal modello australiano. Il premier, il conservatore Tony Abbott, vanta che negli ultimi 18 mesi ci sono stati “zero morti” al largo dell’Australia, grazie all’operazione “frontiere sovrane”. Una campagna di informazione (“No way, you will not make Australia home”) per scoraggiare le partenze, 908 baroni respinti nelle acque internazionali in 18 mesi, una spesa considerevole di centinaia di migliaia di dollari e per i migranti la sola possibilità di tornare da dove sono venuti oppure di andare in centri di detenzione off shore in “paesi partner”: Camberra dà soldi a paesi come la Cambogia (40 milioni di dollari) o la Papuasia Nuova Guinea perché accolgano i migranti che avrebbero diritto all’asilo (l’Australia ha firmato la convenzione internazionale del ’51). La Ue, difatti, cerca “partner” in Africa che si facciano carico dei migranti.