«». Il granello di sabbia
Per andare oltre le semplificazioni tipiche delle rappresentazioni mediatiche della violenza sessista che tendono a eluderne contorni, portata e ragioni, conviene smontare alcuni pregiudizi, stereotipi, luoghi comuni. Anzitutto, il sistema gerarchico di relazione fra i generi, quindi il sessismo e la violenza sulle donne, non sono l’esito fatale di qualche fatto naturale (per esempio, l’aggressività maschile, la passività femminile), bensì di un processo storico e di una costruzione sociale e culturale. Vi sono società che mai hanno conosciuto il patriarcato o altre forme di dominio-appropriazione delle donne. Il che dimostra che la natura non è determinante. Vi sono state e vi sono società considerate “arretrate” che ignorano non solo la gerarchia ma anche una rigida distinzione in base al sesso detto naturale(1).
In secondo luogo, il sistema di dominio, discriminazione e violenza sessisti non rappresenta un rigurgito dell’arcaico o un’anomalia della modernità. Anche se eredita credenze, pregiudizi, strutture, simbologie e mitologie del passato, appartiene al nostro tempo e al nostro ordine sociale ed economico. Del tutto infondato, quindi, è il dogma secondo il quale la modernità occidentale sarebbe caratterizzata da un progresso assoluto e indiscutibile nel campo delle relazioni di genere, mentre a essere immerse nelle tenebre del patriarcato sarebbero sempre le altre. Per dirne una, nell’ultimo rapporto (2013) sul Gender Gap del World Economic Forum (2), le Filippine figurano al 5° posto su scala mondiale per parità fra i generi (dopo Islanda, Finlandia, Norvegia e Svezia), mentre l’Italia è solo al 71°, dopo la Cina e la Romania (3).
Insomma, conviene diffidare degli schemi evoluzionisti e dei facili ottimismi progressisti: la discriminazione e/o la violenza in base al genere – come quelle in base alla “razza”, alla classe, all’orientamento sessuale - non sono necessariamente residuo del passato, segno di arretratezza o di modernità incompiuta, destinato a dissolversi presto, bensì un tratto che appartiene intrinsecamente anche alla tarda modernità (o alla modernità decadente, si potrebbe dire). In più, oggi, particolarmente in Italia, il neoliberismo, le privatizzazioni, la crisi economica, le politiche di austerità e le pesanti ricadute sull’occupazione e sul Welfare State hanno significato per le donne arretramento in molti campi.
Perciò sono molto scettica rispetto a quei femminismi deboli che si limitano a promuovere il progresso individuale e la meritocrazia in ambito femminile. Penso, invece, che la lotta per trasformare l’ordine fondato sulla gerarchia di genere debba essere collettiva e coniugata con quella per la giustizia economica e l’uguaglianza sociale, civile, politica. Infine: se è vero, come ha scritto più volte Etienne Balibar, che la comunità razzista e la comunità sessista si identificano sostanzialmente, allora la battaglia contro il sessismo è inscindibile da quella contro il razzismo. Ma per articolare il tema della liberazione delle donne con quello dei diritti delle/dei migranti, occorre un pensiero critico complesso, affrancato da semplificazioni, cliché, luoghi comuni, disposto a mettere in discussione alla radice anche la tradizione cui si appartiene(4).
Note
1 In proposito, riporto un esempio, tratto dal mio La Bella, la Bestia e l’Umano (Ediesse, Roma 2010). Per gli Inuit (uno dei due gruppi principali che costituiscono gli “Eschimesi”), ogni essere umano è la reincarnazione di un certo antenato, di cui alla nascita l’individuo assume il nome-anima: quindi anche l’identità sessuata e la personalità sociale, qualunque sia il proprio sesso “naturale” e quello dell’antenato/a. Solo alla pubertà egli/ella torna a “riprendere” il sesso con cui è nato/a.
2 Il Gender Gap è misurato in base a quattro criteri principali: salute, formazione, lavoro e partecipazione al sistema politico. In particolare, l’Italia è al 65° posto per il livello di scolarizzazione, al 72° per il diritto alla salute, al 44° per l’accesso al potere politico e al 97° per la partecipazione alla vita economica.
3 Ricordo che la maggior parte dei paesi europei si trova nelle prime trenta posizioni, su 136 paesi.
4 Qui posso solo enunciare il tema. Per un’analisi approfondita, si può vedere il mio, già citato, La Bella, la Bestia e l’Umano.
Annamaria Rivera è docente di antropologia sociale all’Università di Base, editorialista, scrittrice e saggista, una vita da attivista dei movimenti