La Repubblica, 6 agosto 2013
È davvero un’autobiografia della seconda repubblica quella che ci è stata posta sotto gli occhi dalla scomposta mobilitazione del centrodestra? Da quell’aggressione alla costituzione che ha accomunato falchi e amazzoni?
Che ha accomunato Bondi e i fedelissimi d’agosto, presunte colombe e veri esecutori a comando? Lo è solo in parte, certo, ma qualcosa pur ci dice l’impresentabile coorte di Silvio boys che si è mobilitata nei giorni scorsi: ce lo dice il fatto stesso che quella mobilitazione non abbia provocato e non provochi un ulteriore e immediato crollo dei consensi al centrodestra. Negli ultimi mesi e anni ci avevano detto qualcosa di importante anche i tratti nuovi della corruttela, il salto di qualità rispetto a Tangentopoli: il prevalere della corruzione “privatistica” su quella che ancora si appellava ad esigenze di partito, l’assenza persino di giustificazioni ideologico- politiche, l’assuefazione al congiunto operare di arricchimento illecito e di eversione delle regole della democrazia.
Ora si è toccato un nuovo culmine: il primo avviso di garanzia già incrinò la credibilità di Bettino Craxi ma una condanna definitiva non è stata sufficiente sin qui a far scomparire dalla scena pubblica Silvio Berlusconi, come avverrebbe in ogni altra nazione europea. Una condanna definitiva, va aggiunto, sancita da giudici della Corte di Cassazione che il Giornale stesso cha definito in un titolo, all’indomani della sentenza, “toghe moderate e di lungo corso” (e il giorno dopo ha dato avvio alla “macchina del fango” contro di esse). Una condanna che non è stata preceduta da molte altre solo per le prescrizioni garantite da indecenti leggi ad personam.
Rispetto a vent’anni fa, inoltre, è mutata la forma di autodifesa dei leader: così fan tutti, diceva Craxi, e invocava un’autoassoluzione collettiva. Così faccio io e mi proclamo innocente, ha gridato dal palco abusivo davanti casa Silvio Berlusconi. Io, unico potere legittimo perché eletto dal popolo: non essendo stata eletta, la magistratura non è un potere dello Stato. E il potere giudiziario, di grazia, chi lo dovrebbe esercitare? La cuoca di Arcore?
Appare chiaro da tempo che Tangentopoli fotografa solo una fase di passaggio, non il culmine di un percorso iniziato negli anni Ottanta: segnala un’occasione perduta di Ricostruzione, di riconquista delle ragioni del nostro essere nazione. Solo la prima tappa del pessimo cammino che ci ha portati sin qui. Si è discusso più volte sul “perché” quell’occasione non sia stata colta e la richiesta di giustizia sia stata dissipata, quasi colpevolizzata con lo scorrere del tempo. Forse non se ne è discusso a sufficienza ma occorre ora rivolgere con decisione lo sguardo a questi ultimi vent’anni: agli effetti della stagionedi Berlusconi sul centrodestra e sul centrosinistra, e al tempo stesso sul corpo vivo della società italiana. Da tempo la capacità di presa dell’ex Cavaliere sul suo elettorato si è grandemente indebolita, puntellata solo dalla inadeguatezza degli avversari: lo testimoniano gli oltre sei milioni di voti persi alle ultime elezioni politiche e il successivo crollo a quelle amministrative. Una ulteriore conferma, queste ultime, che nel Paese c’è ancora un (ristretto) “zoccolo duro” dell’antidemocrazia e dell’illusionismo berlusconiano ma non “un popolo”, come in parte c’era pur stato, né una classe dirigente (e neppure il fantasma di essa), che non c’è mai stata. Non occorreva poi attendere l’ultima, mal riuscita mobilitazione agostana per comprendere come il finale del “Caimano”, con la sollevazione popolare contro i giudici, sia da moltissimo tempo fuori dal campo del possibile.
Occorre però chiedersi: c’è un’Italia che ha saputo tenere realmente il campo e contrapporsi ad una “pedagogia” berlusconiana intrisa di disprezzo per lo Stato (per le regole fiscali come per l’istruzione pubblica, per la magistratura come per ogni valore e bene collettivo)? Quella “pedagogia” ha trovato di fronte a sé, contro di sé, un’altra e opposta “pedagogia”, un’altra Italia? L’ha trovata nella politica? L’ha trovata nella società civile? Troppo poco, occorre dire, altrimenti non saremmo arrivati a questa barbarie, a questa diffusa indifferenza verso l’eversione quotidiana.
Da questa consapevolezza occorre prender avvio se vogliamo trovare una leva per ripartire. Il baratro che si è rivelato per intero in questi giorni ci fa comprendere che sarà impresa difficile, se non difficilissima, e di lunghissimo periodo. E che ci riguarda tutti: nella stagione di Berlusconi la devastazione delle regole ha fatto passi da gigante nell’insieme della società, non solo nel Palazzo, e anche lì va contrastata con una forza e con una decisione che sin qui sono apparse solo in parte. La necessaria inversione di tendenza riguarda naturalmente, in primissimo luogo, la politica. Prima ancora della condanna di Berlusconi la finzione delle larghe intese è stata lacerata in via definitiva dal centrodestra, dalla sua estraneità dichiarata alle regole costitutive di ogni patto: ogni sua rassicurazione è stata ed è un’ingannevole cortina fumogena volta a guadagnar tempo. Ad attendere il momento migliore per andare all’offensiva, e a quel punto alla disperata.
Il centrosinistra è la prima forza del Paese, detti regole e contenuti essenziali per chiudere rapidamente questa fase: in primo luogo accelerando (e radicalizzando) le misure annunciate su costi e moralità della politica, e dando corpo in tempi brevi alla legge elettorale possibile, fosse anche una legge di transizione, per uscire dal porcellum. Riconquisti, anche, quel senso di responsabilità che le lotte interne hanno sin qui offuscato, per usare un eufemismo.
All’assunzione di responsabilità è chiamato con forza, infine, anche il Movimento Cinque Stelle. Oggi è chiaro quali errori ha compiuto all’indomani del voto, e quali conseguenze ne sono venute: se si sottraesse di nuovo alle scelte necessarie avrebbe molte difficoltà a presentarsi ai suoi stessi elettori. Annibale è già dentro le mura, il tempo è scaduto da molto.