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Piero Craveri
La deregulation urbanistica
17 Giugno 2010
Recensioni e segnalazioni
Recensione de “Le mie città”: nella biografia professionale di De Lucia un amaro destino per il territorio del meridione, su Corriere del Mezzogiorno, 13 maggio 2010 (m.p.g.)

È singolare constatare come un certo storicismo si sia trasmutato in disparati rivoli, conservando quella matrice di realismo politico che gli è proprio, senza disgiungerlo idealisticamente da un’inossidabile vocazione etica. È il caso di Vezio De Lucia, che ci propone la sua biografia professionale in Le mie città. Mezzo secolo di urbanistica in Italia (Reggio Emilia, Diabasis, 210 pagine, 18 euro), che in parte ripercorre la traccia di un altro suo libro fondamentale su Napoli, Se questa è una città. La professione è quella dell’urbanista. La sua fede incrollabile sta nel carattere «normativo» di quest’ultima.

L’Italia ha avuto nell’urbanistica una sua stagione, appunto normativa, con il primo centro-sinistra. Poi dalla seconda metà degli anni Settanta è iniziata una controriforma volta a rendere friabile e caotico quanto di cogente il tessuto precedente portava con sé. Ciò in base ad una propugnata esigenza operativa. Operativo vuol dire politico-amministrativo. Questo è il punto. Meno le amministrazioni funzionano, più sembra doversi imporre l’intervento politico «legibus solutus». In De Lucia, il culto della legge va di pari passo con quello dell’amministrazione. Ora l’amministrazione, se è tale, cura pressoché ogni giorno il territorio, in un «continuum» di decisioni volte ad eseguire, incentivare, promuovere e magari anche a modificare, se necessario.

Un piano regolatore, ad esempio, non è strumento inerte, da mettere nel cassetto. È il caso di quello di Napoli, concepito appunto da Vezio De Lucia. Non basta un piano, ma è necessaria anche una politica di attuazione del piano stesso. Dalla sua assenza nasce la pulsione inversa di prescindere da ogni piano. Napoli è una città povera, rischia nei prossimi anni di essere ancora più povera. La tentazione di mettere le mani su quello che rimane può di nuovo farsi sentire. Sarebbe uno spasimo per non avere poi più niente, quando bisognerebbe guardare altrove, alla ristrutturazione del suo porto, visto in una ottica metropolitana, un’area, questa, che richiede urbanizzazione e investimenti, ed oggi è in gran parte una topaia dalla quale è miracolo non esca soltanto malavita.

De Lucia mostra come la «deregulation» urbanistica abbia avuto fulgidi esempi nelle recenti amministrazioni di Roma e della Campania. Nel secondo Bassolino che abbandonava l’iniziale impostazione «normativa», preso dalla sindrome del potere, così connaturata alle classi dirigenti meridionali, e sceglieva la strada della possibile gestione fuori dalla legge, senza peraltro riuscirci, come la farsa di Alinghi dimostra.

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