er ora, vince sempre lui. Articoli di Wanda Marra e Paolo Zanca, Il Fatto Quotidiano, 16 settembre 2015
LA RIFORMA SI FA DI CORSA
RENZI SGAMBETTA GRASSO
di Wanda Marra
Tra Palazzo Chigi e Senato l’attività è frenetica, la strategia si raffina di ora in ora. Oggi le riforme costituzionali arrivano nell’Aula di Palazzo Madama. Momento topico, atteso da mesi. E dopo un’estate di trattative sotto traccia, l’accordo politico non c’è. Il colpo di scena arriva nel primo pomeriggio. Il capogruppo leghista, Roberto Calderoli ritira i suoi 500mila emendamenti in Commissione. Toglie l’alibi al governo che vuole andare immediatamente in Aula, visto che in Commissione Affari costituzionali i numeri non ce li ha. «Tutta politica. Politica la presentazione, politica il ritiro», dice il presidente dei senatori Pd, Luigi Zanda. Poi tira diritto e nella capigruppo chiede comunque di andare in Aula.
Il Presidente del Senato, Pietro Grasso non è convinto, ritiene la situazione sia cambiata dopo la mossa del senatore del Carroccio. Viene chiamata la presidente di Commissione, Anna Finocchiaro. Convocazione irrituale. Mentre prende l’ascensore per scendere alla riunione, la Presidente è tesissima. Ma ribadisce che «bisogna passare ai piani alti della politica».
Presentazione degli emendamenti in Aula entro mercoledì 23. Il voto probabilmente dalla settimana dopo. E dunque, gli uomini del premier alternano messaggi rassicuranti e minacce finali. «I numeri in Aula ci sono», andavano dicendo ieri Renzi e i suoi per tutto il giorno. Ritornello talmente ossessivo da risultare sospetto. Il pallottoliere ufficiale conterebbe tra 155 e 165 voti, e 150 assenze (alcune vere, altre strategiche. E se si sbaglia, magari manca il numero legale). Ma nello stesso tempo il premier è pronto a qualsiasi cosa. Prima di tutto ha convocato per lunedì la direzione del Pd: metterà in campo la disciplina di partito e si farà votare un ordine del giorno, per piegare (definitivamente) la minoranza.
La pressione su Grasso perché dichiari inemendabile l’articolo 2 ormai è stellare. Si fa circolare la voce che sono in gioco le dimissioni della Finocchiaro. Perché l’incidente (o il complotto) in quel caso verrebbe considerato quasi certo. Subordinata quasi non ammessa. «Ne va dell’equilibrio istituzionale, della legislatura, della posizione dell’Italia nella comunità internazionale». E poi, a questo punto, ragionano, dopo la decisione della Finocchiaro, la forzatura sarebbe la sua. Calderoli, dalla sua, annuncia 8 milioni di emendamenti. Perché poi non c’è solo l’articolo 2, ma anche il primo, quello sul quale il premier ha concesso aperture. Sui voti segreti, rischio agguati. «Abbiamo gli strumenti parlamentari per fronteggiare questa situazione» assicurano Francesco Verducci, e il sottosegretario alle riforme Luciano Pizzetti. Un riferimento a tutti gli escamotage del Regolamento, dal canguro in poi per aggirare l'ostruzionismo. E alla fine, resta la minaccia finale delle elezioni anticipate.
Il premier entra in gioco in prima persona nella trattativa ieri mattina. Incontra Tosi e con un accordo di massima su una modifica dell’Italicum recupera i 3 voti di Fare. «È un po’come Letta stai sereno - ragiona Gaetano Quagliariello di Ncd - io sulla richiesta di modifica dell’Italicum vado diritto. Voglio una rassicurazione formale, che si riaprirà sul premio alla coalizione e non alla lista». Per farsi aiutare nella mediazione con i centristi, Renzi vede pure Franceschini. Grasso, dunque, dirà la sua solo tra una decina di giorni. In mezzo, la trattativa è aperta. «Ci siono in gioco il quadro politico, gli equilibri della maggioranza, la natura dei partiti», si sfoga un senatore.
Ma intanto il premier ha vinto il primo round col presidente del Senato e da Palazzo Chigi arrivano i numeri del pallottoliere di governo: dei 112 senatori del Pd, il governo pianifica di poter contare su 90 voti favorevoli (almeno 6 dei 28 firmatari del documento di minoranza sull’articolo 2 si sfileranno). Quanto a Ncd, su 35 senatori, in 30 voteranno col governo, secondo i calcoli di Palazzo Chigi. Del Gruppo autonomie su 19 senatori, 15 staranno col governo. Renzi sa di poter contare su tutti i 10 voti del gruppo di Denis Verdini. Sarebbero in arrivo altri 5 senatori da FI. E poi tra Misto, Gal e Idv, un’altra decina di voti. Oggi intanto, missione Emilia per Renzi: riunione sull’alluvione a Piacenza, visita a una piscina a Carpi, con Gregorio Paltrinieri, campione del mondo di nuoto sui 1.500 metri. E infine cena a Modena con Hollande, nell’osteria Francescana del super chef Massimo Bottura. Di photo opportunity ce ne saranno per tutti i gusti.
LA FINOCCHIARO “PROCESSATA”
PER IL BLITZ IN COMMISSIONE
di Paolo Zanca
Che fosse tutto un bluff, un trabocchetto per provare a metterlo con le spalle al muro, Pietro Grasso lo ha capito l’altroieri, quando ha sentito il discorso di Anna Finocchiaro in commissione Affari costituzionali: perché fare, due giorni prima del previsto, uno speech sull’ammissibilità degli emendamenti alla riforma del Senato quando la maggioranza ha già deciso di portare il ddl Boschi direttamente in aula? Così, ieri, nella riunione dei capigruppo, il presidente ha deciso di tentare il gran colpo: tentare di smascherare il gioco di Palazzo Chigi. Mentre è in corso l’incontro dei rappresentanti dei gruppi, Grasso convoca a sorpresa la presidente della commissione: «Lei ha detto che per garbo istituzionale non ha voluto votare l’ipotesi di istituire un comitato ristretto. Io, con lo stesso garbo istituzionale, le chiedo: perché?».
Raccontano che se non fossero stati in una stanza di Palazzo Madama, la conversazione avrebbe assunto tutt’altro tono. La guerra è aperta, e pazienza se qui dentro tocca mantenere un certo stile. Ferma e composta, come sempre, la Finocchiaro ha descritto la palude della commissione che presiede. E ha spiegato che non può che esserci bisogno di un luogo di discussione “alta” come l’aula del Senato per portare la riforma fuori dal pantano. Inutile il tentativo – andato avanti per quasi due ore, protagonista Grasso in persona – di convincere il Pd e i suoi alleati che il ddl Boschi poteva riprendere il cammino tradizionale, anche perché nel frattempo Roberto Calderoli aveva levato dal tavolo mezzo milione di emendamenti e le richieste di modifica rimaste in piedi erano solo 3 mila “lorde” (comprese le inammissibili).
Niente da fare: per questo, a riunione finita, la convinzione a proposito del bluff non è svanita per nulla. Anzi. Non solo Grasso ha fatto sapere di essere “dispiaciuto” per l’ennesima mediazione sfumata. Ma i vertici di Palazzo Madama si sono ulteriormente irritati perché la Finocchiaro, con il suo discorso, avrebbe sminuito il ruolo della commissione, descritta come un luogo incapace di sbrogliare la matassa e di trovare una sintesi tra le diverse posizioni. E poi, insistono, basta con questa storia che se Grasso dovesse decidere diversamente da lei sull’emendabilità della riforma, sarebbe uno scontro tra cariche dello Stato. «Io sono il presidente del Senato – sostiene Grasso – al massimo mi scontro con il capo dello Stato, con il presidente del Consiglio: la presidente di una commissione non è mia pari grado».
Ecco, per capire, il livello in cui sta precipitando la faccenda, basterebbe questo. Tant’è che a Palazzo Madama sono già alla ricerca della serie di precedenti in cui un presidente del Senato ha deciso in maniera difforme da un presidente di commissione. La verità è che i guai, per Pietro Grasso, sono appena cominciati. Ormai è chiaro a tutti: qualunque cosa lui decida, sarà rivolta. Se ammette gli emendamenti all’articolo 2 della riforma si scatenano i renziani. Se non li ammette gridano allo scandalo gli anti-renziani. Lui sta nel mezzo. E per ora non si sbilancia. L’annuncio lo darà solo in aula e, secondo il calendario stabilito, il suo intervento non arriverà prima della fine del mese. A quel punto mancheranno poco più di due settimane al 15 ottobre, data stabilita da Renzi come termine ultimo per l’approvazione.