la Repubblica, 20 ottobre 2017 Non era sindaco di Firenze quel tale he disse di aborrire le soprintendenze? e non era ministra dei beni culturali quello che promosse lo sfascio degli uffici statali per la tutela?
È straziante l’idea che si possa morire perché un destino incredibile e orrendo ti inchioda, nella frazione di secondo fatale, sulla traiettoria di un pezzo di pietra che si stacca da uno dei monumenti più importanti del mondo. E per commentarlo ci vorrebbe un filosofo, o un poeta o un prete.
Quel che, invece, uno storico dell’arte può aggiungere, almeno in questi primissimi momenti, sono solo domande.
Si è fatto tutto quel che si doveva fare, e che da secoli si fa, per tenere in piedi e in buona salute, la gran macchina di Santa Croce? La manutenzione, le verifiche, i restauri di quella porzione di architettura erano stati fatti? E, se sì, erano stati affidati alle ditte giuste, e quindi monitorati come si deve?
E ancora — allargando il raggio, e ovviamente senza pensare ad un rapporto di causa-effetto con ciò che è accaduto ieri -, ha senso che Santa Croce appartenga al Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno, questa anacronistica istituzione che dovrebbe finalmente cessare di esistere, cedendo il suo straordinario patrimonio al Ministero per i Beni Culturali?
E ha senso che l’Opera di Santa Croce sia presieduta dalla stessa persona che presiede anche un centro dell’arte contemporanea come il Museo Pecci di Prato? Cioè, è giusto rivolgersi a professionalità manageriali, in sé magari ottime, ma del tutto sganciate dalla conoscenza di ciò che sono chiamate a guidare? È giusto che nel cda dell’Opera di Santa Croce (nominato dal ministro dell’Interno) siedano alcuni ex politici? O non sarebbe più ragionevole orientare queste istituzioni in senso tecnico, dedicando ogni energia alla conservazione e al valore culturale di questi monumenti?
Comunque si risponda a queste domande (che, tengo a ripeterlo, prescindono del tutto da questa singola tragedia, magari inevitabile) non c’è dubbio che oggi non abbiamo una sufficiente consapevolezza dell’importanza della manutenzione.
Solo per rimanere a Firenze, nel gennaio del 2012 venne giù un gran blocco dalla Colonna della Dovizia, nella centralissima piazza della Repubblica: una strage fu evitata per miracolo. E, nel maggio dell’anno scorso, fu un intero Lungarno a franare. Le nostre antiche città non vivono senza un continuo investimento nella loro manutenzione. Ma la manutenzione porta oggi pochissimo consenso a chi governa città e monumenti: e alla cura delle pietre si preferisce l’organizzazione di eventi.
Se vogliamo provare a dare un senso a questo evento atroce, non dobbiamo mai dimenticare che le cose antiche continueranno a illuminare il nostro cuore solo se noi ci cureremo del loro fragile corpo materiale.