La rete Rigas presenta le proposte dei movimenti per il summit. Zanotelli: «Monti ha pronunciato 30 volte la parola crescita e mai ambiente. O si cambia o si muore»
Si è aperta ieri a Durban, in Sudafrica, nel silenzio dei media e nel sostanziale disinteresse della comunità internazionale, la 17° Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. Conferenza incaricata di trovare in extremis un accordo sulla prosecuzione del protocollo di Kyoto, in scadenza alla fine del 2012, compito reso arduo dalla contrarietà di Usa e Cina e dall'indisponibilità di diversi paesi tra cui Russia, Canada e Giappone. L'appuntamento di Durban è destinato a concludersi con un nulla di fatto, come già è stato per gli ultimi vertici, in particolare quelli di Cancun 2010 e di Copenaghen 2009 dove pure l'attenzione era maggiore e le aspettative più rosee. Saranno circa 190 le delegazioni di negoziatori in rappresentanza di altrettanti paesi.
Per l'Italia sarà presente il neoministro dell'ambiente Clini, scettico da lungo tempo nei confronti del protocollo di Kyoto, che arriverà in Sudafrica senza una posizione chiara né impegni concreti. Dall'Italia sarà a Durban anche una delegazione di Rigas, la Rete italiana per la giustizia ambientale e sociale, che raccoglie oltre 70 organizzazioni tra comitati, associazioni e sindacati, e che ha convocato ieri mattina a Roma una conferenza stampa per lanciare la partecipazione della rete alle giornate sudafricane e presentare le proposte della società civile sul clima. Al tavolo, a dimostrare la necessaria convergenza tra società civile e mondo scientifico, padre Alex Zanotelli, Giuseppe De Marzo dell'associazione A Sud, Valerio Rossi Albertini del Cnr e Livio De Santoli, responsabile energia dell'ateneo La Sapienza.
L'appuntamento sudafricano arriva in un autunno di eventi climatici drammatici anche qui da noi. Le immagini delle ultime settimane con diverse zone d'Italia ricoperte dal fango e il tragico bilancio in termini di vittime ci riportano alle gravi implicazioni locali di una emergenza di dimensioni globali. Secondo Giuseppe De Marzo «quello che stiamo vivendo è prima di tutto un geocidio, un attentato al pianeta». Basta a confermarlo un unico dato: Kyoto indicava come obiettivo la riduzione delle emissioni del 5,2% sui livelli del 1990. I dati odierni parlano invece di un aumento del 30% negli ultimi due decenni, che significherebbe vedere aumentare la temperatura globale di circa 4°. «Di fronte a questa prospettiva ci chiediamo e chiediamo alla politica: come si crea occupazione e benessere? Con produzioni distruttive dal punto di vista sociale e ambientale o attraverso la riconversione del tessuto produttivo in chiave ecosostenibile? Su che infrastrutture è meglio investire? Su quelle che creano dissesto idrogeologico o su quelle che proteggono i territori? Quali notizie è giusto mettere in prima pagina? Le cronache stanche della politica o le reali emergenze cui siamo chiamati a far fronte?».
Il Cnr, per voce di Rossi Albertini, Responsabile Energia e nuove Tecnologie, sottolinea il ruolo della scienza nella sfida climatica. «Oggi più che mai occorre investire nelle nuove tecnologie invece di lasciare che se ne occupi la Cina. Ciò può avvenire creando al contempo occupazione specializzata, prodotti di eccellenza tecnologica e contribuendo a combattere gli stravolgimenti climatici». Per Livio De Santoli, de La Sapienza, «l'impegno delle università deve essere quello di occuparsi di questi temi in maniera proritaria, lavorando assieme alla società civile e elaborando proposte concrete. Una di esse riguarda la creazione di comunità dell'energia che vadano nel senso di un modello energetico distribuito, fondato sull'efficienza, sulle fonti rinnovabili e soprattutto, sulla partecipazione». Il Citera, centro studi de La Sapienza di cui De Santoli è direttore, ha aderito da alcuni mesi a Rigas, assieme alla quale porta avanti un lavoro di formazione e di articolazione sociale sul tema dell'energia. Padre Zanotelli, tra i fondatori di Rigas e promotore dell'appello Salviamoci con la Pachamama, ha richiamato infine l'attenzione sulla necessità di attivarsi su più livelli: «È chiaro a tutti oggi che o si cambia o si muore. Monti ha pronunciato oltre 30 volte nel suo discorso al Senato la parola crescita. Noi rispondiamo che vogliamo che siano invece messe al centro dell'impegno politico la nostra salvezza e quella della Madre Terra». Una impostazione che mira a mettere assieme democrazia, sviluppo, tutela dei beni comuni, occupazione, sostenibilità.
La delegazione sarà a Durban a partire dal primo dicembre per seguire i lavori del vertice e le discussioni e mobilitazioni della società civile, riunita nel People Space montato nel polo universitario della città sudafricana. Cittadina che rappresenta, tragica ironia della sorte, uno dei più grandi poli petrolchimici del continente africano e che proprio in questi giorni sta affrontando i devastanti effetti di una terribile tempesta tropicale destinata a rimanere negli annali per la devastazione e le morti causate.