«Il costo della coesione dell’élite,è una distanza sempre maggiore tra chi governa e chi è governato. Serrando i ranghi, l’élite ha garantito che non ci fossero voci moderate di dissenso dall’ortodossia politica. La mancanza di un dissenso moderato ha dato vigore a gruppi come il gruppo lepinista».
La Repubblica, 25 maggio 2014
Un secolo fa l’Europa si lacerò in quella che, per un certo periodo, fu nota come la Grande Guerra - quattro anni di morte e devastazione senza precedenti. In seguito quel conflitto fu rinominato Prima guerra mondiale perché, a distanza di un quarto di secolo, l’Europa ci ricascò e ricominciò tutto daccapo.
Ciò, tuttavia, avvenne molto tempo fa. È difficile pensare alla guerra nell’Europa odierna, che si è unificata attorno ai valori democratici e ha intrapreso i suoi primi passi verso un’unione politica. Mentre sto scrivendo, in tutta Europa si stanno svolgendo elezioni, per scegliere non i governi nazionali, ma i membri del Parlamento europeo. È vero, il Parlamento ha poteri limitati, ma la sua esistenza è già un trionfo dell’idea europea. C’è un problema, però: si prevede che un’allarmante percentuale di voti andrà agli estremisti di destra, ostili a quei valori che hanno reso possibile indire quest’elezione. Mettiamola in questi termini: alcuni dei vincitori delle elezioni europee verosimilmente saranno pronti a schierarsi dalla parte di Vladimir Putin nella crisi dell’Ucraina.
In verità, il progetto europeo — una pace garantita da democrazia e prosperità — è nei guai. Il continente vive in pace, ma la prosperità sta venendo meno e così pure, in modo più impercettibile, la democrazia. Se l’Europa metterà il piede in fallo vi saranno ripercussioni per tutto il mondo.
Perché l’Europa è nei guai? Il problema più immediato è la sua scarsa performance economica. Si supponeva che l’euro, la valuta comune, potesse essere il punto culminante dell’integrazione economica. Invece, si è rivelato una trappola. Ha generato una pericolosa compiacenza, dato che gli investitori hanno versato contanti nell’Europa meridionale, senza prendersi cura dei rischi. Poi, quando il boom ha fatto cilecca, i paesi debitori si sono trovati con le mani legate, incapaci di recuperare la competitività perduta senza anni di disoccupazione a livelli da depressione. I problemi dell’euro sono stati inaspriti da una cattiva politica. I leader europei hanno insistito, e continuano contro ogni evidenza, che la crisi ha a che vedere con l’irresponsabilità fiscale, e hanno imposto un’austerità selvaggia che aggrava la situazione.
La buona notizia — beh, per modo di dire — è che malgrado i passi falsi l’euro tiene, e ciò sorprende molti analisti (compreso il sottoscritto) che pensavano potesse andare a pezzi. Come si spiega questa resilienza? In parte col fatto che la Banca centrale europea ha tranquillizzato i mercati promettendo che avrebbe fatto «tutto ciò che era necessario » per salvare l’euro. Al di là di ciò, tuttavia, l’élite europea resta dedita a questo progetto, e finora nessun governo è stato disposto a uscire dai ranghi.
Il costo della coesione dell’élite, tuttavia, è una distanza sempre maggiore tra chi governa e chi è governato. Serrando i ranghi, l’élite ha garantito che non ci fossero voci moderate di dissenso dall’ortodossia politica. La mancanza di un dissenso moderato ha dato vigore a gruppi come il Front National francese, la cui candidata di punta per il Parlamento europeo denuncia «un’élite tecnocratica al servizio dell’America e dell’oligarchia finanziaria europea».
L’amaro paradosso, però, è che questa élite europea non è affatto tecnocratica. La creazione dell’euro aveva a che vedere con la politica e l’ideologia, non era una risposta a una puntuale analisi economica (che fin dall’inizio indicava che l’Europa non era pronta per una valuta comune). Lo stesso vale per la svolta verso l’austerità: qualsiasi ricerca economica che si presumeva giustificasse quella svolta è stata smentita, ma le politiche non sono cambiate. Oltretutto, l’abitudine di mascherare l’ideologia da competenza, di fingere che quello che vuole fare è quello che deve essere fatto, ha dato luogo a un deficit di legittimazione. L’influenza dell’élite riposa sull’assunto di una competenza superiore. Quando queste presunte dichiarazioni di competenza sono smascherate, non rimane nient’altro.
Finora l’élite è riuscita a tenere tutto assieme, ma non sappiamo quanto a lungo potrà durare, e negli schieramenti ci sono alcuni soggetti che incutono paura. Se saremo fortunati - e se i funzionari della Banca centrale europea agiranno con sufficiente coraggio contro la crescente minaccia di deflazione - nei prossimi anni potremmo assistere a una certa ripresa economica. Ciò, a sua volta, potrebbe concedere un margine di respiro all’intero progetto europeo.
Da sola, però, la ripresa economica non sarà sufficiente. L’élite europea deve tenere a mente di cosa si parla quando si parla di progetto europeo. È tremendo vedere quanti europei stiano ricusando i valori democratici, ma almeno parte della colpa è da addossare ai funzionari che più che alla democrazia sembrano interessati alla stabilità dei prezzi e alla probità fiscale. L’Europa moderna è eretta su una nobile idea, ma quell’idea ha bisogno di più difensori.