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Alberto Asor Rosa
La Costituzione il Governo e la Sinistra
24 Ottobre 2011
Articoli del 2011
Elezioni subito: «Il governo di coalizione democratica di tutte le attuali opposizioni vince oggi con qualsiasi legge elettorale». Il manifesto, 23 ottobre 2011

L'Italia precipita sempre di più nel pozzo senza fondo della sua crisi politico-istituzionale. Per capire bene il senso di questa affermazione, bisogna però fare un passo indietro. Mi riferisco infatti prevalentemente a quanto è accaduto fra l'11 e il 14 ottobre scorsi, e su cui, con sospetta tempestività, il 15 ottobre romano ha subito steso un velo pietoso (che finora i politici e i commentatori non hanno ritenuto di dover risollevare). L'11 ottobre il governo Berlusconi è stato battuto alla Camera non su di una leggina qualsiasi ma sull'art.1 del Rendiconto dello Stato (atto non casualmente regolato dall'art.81 della Costituzione). Il 13 Berlusconi, senza sentire il bisogno di riferire al Quirinale su quanto accaduto (diversamente da quello che, correttamente, aveva ritenuto di dover fare Gianfranco Fini), si presenta alla Camera per chiedere la fiducia; il 14 la Camera gliela accorda. Questo dovrebbe consentirgli di riscrivere l'art. 1 (?) e farlo approvare (magari con un altro voto di fiducia?).

La mia opinione è che, con l'adozione (come dire: forzosa) di tali procedure, si siano abbondantemente superati i limiti, non solo di una normale correttezza istituzionale (inutile invocarla da parte di un individuo di tal fatta), ma dello stesso dettato costituzionale. Mi dispiace impancarmi di nuovo in ragionamenti su siffatta materia: ma poiché gli specialisti tacciono, bisogna pure che qualcuno parli. L'art. 81 della Costituzione, secondo me, non lascia dubbi in proposito.

Se le Camere non approvano il rendiconto consuntivo presentato dal Governo (e l'art. 1 è da questo punto di vista, anche preso in sé, ovviamente decisivo), il Governo è molto più che «sfiduciato», deve andarsene a casa (i precedenti, del resto, parlano tutti in questo senso). Se non se ne va, e ripresenta tranquillamente il provvedimento e si fa ri-fiduciare (magari per due volte di seguito), c'è qualcosa che non funziona da qualche parte.

E pure, - anche indipendentemente dal velo opportunamente fatto scendere sull'accaduto in conseguenza del 15 ottobre romano - nulla è davvero accaduto nonostante la gravità del caso. Sul versante istituzionale io sostengo che il combinato-disposto degli Artt. 54, 81 e 88 della Costituzione imporrebbe-autorizzerebbe scelte molto più incisive di quelle che finora sono state, non dico prese, ma anche soltanto adombrate. Sul versante politico il parziale Aventino parlamentare, su cui le opposizioni, comunque unite nella scelta (il che rappresenta un passo in avanti non trascurabile), si sono ritrovate, rappresenta una pallidissima, larvale (e un po' rinunciataria, come tutti gli Aventini) anticipazione di quel che sarebbe opportuno fare. Ma su questo tornerò più avanti.

Su questo quadro, di per sé debole e slabbrato, si è precipitata, sconvolgendolo ulteriormente, l'onda d'urto degli scontri romani del 15 ottobre. Forse, anzi di sicuro, sopravvalutati per dimensione e per impatto; ma non da sottovalutare. Si ripete così una storia italiana, pluridecennale: non appena qualcosa si muove - e questo, è il caso di ricordarlo, è esattamente quel che stava accadendo negli ultimi mesi - un corpo estraneo ed ostile gli si appiccica addosso, lo fa sanguinare, ne rallenta o addirittura ne arresta i movimenti, prepara, nel conflitto che si apre, esiti ancora più catastrofici (perché questo accada in Italia e non altrove, comporterebbe un discorso assai lungo, non impossibile da farsi, ma non qui ed ora). Soltanto che la ripetizione apparentemente fatale degli eventi non può impedirci di vedere che anche da questo punto di vista, come tutto in Italia, le cose sono degenerate negli ultimi anni fino al complessivo degrado della situazione presente. Insomma: dalla «seconda società», che ora, a quanto pare, sta con il «movimento», fortemente contestativo ma non violento, si è staccata la costola della «terza società»: ribellismo allo stadio puro, senza niente dietro e soprattutto niente davanti, né sinistra né destra anche loro, in fondo, come tanti altri, anche colti, anche «perbene», che predicano attualmente l'antipolitica: solo la violenza che hanno imparato dal sistema corrotto e degenerato, che appunto li ha prodotti. Oggettivamente sono i migliori alleati della banda Berlusconi-Bossi, - che ne ha predisposto il vero brodo di cultura - quindi, se la logica in politica ha ancora un senso, sono i nostri peggiori nemici e come tali vanno politicamente isolati e combattuti (per questo sono sbagliate le parole di Valentino nel fondo del manifesto del 16 ottobre). Soggettivamente - se si escludono gli infiltrati, che in una situazione del genere non possono non esserci - sono il frutto di una disgregazione sociale, a cui finora nessuno ha saputo dare una risposta.

Torno al quadro iniziale, ma tenendo conto anche della considerazione centrale. Questo paese, l'Italia, rischia ormai da vicino la dissoluzione, non solo economica, ma sociale e culturale, in una parola identitaria. Se è vero, vuol dire che siamo in una situazione di estrema emergenza; e le situazioni di estrema emergenza richiedono proposte e soluzioni di estrema emergenza. Non un programma per fare dell'Italia il meglio che ci sia al mondo; ma un programma per evitare che l'Italia divenga il peggio che ci sia al mondo. Perché questo accada bisogna che le istituzioni facciano presto quel che loro compete. Ma le istituzioni, ormai è chiaro, non faranno quel che loro compete finché la politica, la politica!, non farà quel che le compete. Alla politica compete di stendere un programma, - un programma dimensionato, com'è ovvio, all'emergenza, il che vuol dire poco, anzi, in questa situazione, forse, può persino voler dire troppo, - e formulare una proposta di governo. Per quanto la cosa - tenendo conto dello sfondo catastrofico che ci sta davanti agli occhi tutti i giorni - appaia sovranamente incredibile, questo finora non è accaduto, anzi, non è neppure cominciato. La verità è che questa maggioranza, per quanto divisa e persino rissosa, è profondamente unita su di un punto: la propria sopravvivenza, il che vuol dire la sopravvivenza di ognuno di quelli che la compongono: la minoranza, invece, si presenta divisa, spesso alla ricerca di soluzioni partitiche separate e contrapposte. Inoltre - e non è l'aspetto minore del mio ragionamento - con chi potrebbe colloquiare la grande massa apartitica dei movimenti, in crescente dispiegamento di forze (la faccia enormemente positiva del 15 ottobre), se la politica continua a fare i suoi giochini per linee interne? Un interlocutore unico e certo è meglio, per chi vuol cambiare, di quattro-cinque interlocutori separati e concorrenziali, e perciò inevitabilmente inattendibili.

Bisogna perciò che le opposizioni escano dall'improduttivo Aventino per tentare la proposta di governo: tutte insieme, ora, anzi subito - perché non c'è altra soluzione possibile -perché il disastro è incombente: un governo di risposta alla crisi, di risposta all'impasse istituzionale, di risposta al vuoto ideale e culturale, di risposta al disagio sociale.

Per tutti questi motivi, non serve, anzi si presenterebbe effimero e improduttivo, un governo tecnico e/o di transizione (con questo Parlamento!): servono invece elezioni subito, perché l'investitura dell'esperimento unitario, - l'unica via possibile di uscita dalla crisi, - abbia, com'è giusto e necessario che sia, l'avallo dell'investitura popolare. Il governo di coalizione democratica di tutte le attuali opposizioni vince oggi con qualsiasi legge elettorale: non c'è bisogno di aspettare, si può fare a meno di aspettare. I «giochi», - quelli elettorali e altri, molti altri, - si cambieranno dopo: non c'è tempo né modo per farlo prima. E tutto questo, anticipando il momento in cui la crisi s'avviterà inevitabilmente in catastrofe. E' possibile farlo, va fatto.

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