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Nicola Iacovino
La Corte dei Conti bacchetta le manutenzioni Mibac
10 Maggio 2011
Beni culturali
Pesanti rilievi dell'alta magistratura contabile ad un Ministero incapace di garantire una corretta amministrazione: il nostro patrimonio culturale merita di meglio. Da Ore 12, 10 maggio 2011 (m.p.g.)

Controlli insufficienti, incapacità di spesa dei fondi a disposizione, ricorso eccessivo alla decretazione d'urgenza attraverso la Protezione civile, scarso scambio di informazioni tra uffici centrali e periferici. Sono le accuse mosse alla macchina amministrativa del ministero dei Beni culturali dalla Corte dei conti in una relazione dedicata alla manutenzione dei siti archeologici. Pur riconoscendo risultati positivi ottenuti nella conoscenza del patrimonio presente sul territorio, la magistratura contabile muove tutta una serie di rilievi al modo in cui il Collegio romano si occupa della tutela. Criticità motivate "in parte anche a causa delle stressanti riforme che hanno interessato il Mibac nell'arco di un quinquennio", ha spiegato l'indagine, ma non per questo meno gravi. A cominciare dalla mancanza di comunicazione fra gli uffici: "Il primo dato critico è rappresentato dalla instabilità organizzativa, la quale inevitabilmente riverbera i suoi effetti nel raccordo sia tra direzioni generali (e tra queste e sedi periferiche) che con gli altri livelli istituzionali", si legge nella relazione. I principali problemi? Le "sovrapposizioni funzionali, con duplicazioni di competenze tra direzioni generali e direzioni regionali". Dura l'accusa: "Non è stata definita una moderna struttura manageriale, mantenendosi invece un apparato centrale ibrido a carattere verticale che assolve a limitate funzioni, pur assorbendo risorse significative, col risultato di un forte deficit di controllo sull'attività svolta dalle soprintendenze". Una "colpa" che va divisa a metà, secondo la Corte dei conti: da una parte i dirigenti regionali (a loro volta tenuti a controllare le soprintendenze) non sempre rispettano la disposizione secondo cui ogni tre mesi devono informare sul loro lavoro il dirigente generale alle Antichità; dall'altra per l'abitudine di quest'ultimo ad un "recepimento acritico delle istanze regionali". Non va meglio nel coordinamento dell'attività di tutela dei beni archeologici: "Non è stata realizzata la banca dati unificata in cui far confluire i sistemi informatici riguardanti diversi aspetti conoscitivi". I numerosi sistemi operativi esistenti, gestiti da centri di raccolta differenziati, insomma, non dialogano tra loro. Così accade che, per uno stesso sito, le concessioni di scavo affluiscano esclusivamente alla direzione generale alle Antichità, gli introiti e i visitatori delle aree archeologiche alla direzione Bilancio, mentre la catalogazione e la documentazione afferisce al Segretario generale. Male anche la parte economica, a causa dell'incapacità di spesa, "paradossale a fronte delle scarse risorse". Alla base della formazione di consistenti giacenze di cassa, osserva la Corte dei conti, il "ritardo congenito della messa a disposizione dei fondi", con accreditamenti che a volte avvengono addirittura alla fine dell'anno finanziario. Anche "la lentezza nell'espletamento delle gare per l'affidamento dei lavori" ed il blocco delle risorse in quei progetti pluriennali che obbligano a spendere a seconda dell'avanzamento dei cantieri". E' il ricorso alle gestioni commissariali per l'attività di manutenzione dei siti archeologici, tuttavia, il tasto forse più dolente. Perché è vero che la situazione muoveva "da reali difficoltà e conseguenti rischi per singole opere o aree archeologiche - ha sottolineato la magistratura contabile - ma la creazione di gestioni commissariali aventi maggiori possibilità di deroga su siti tra i più importanti dell'intero pianeta, come la zona archeologica di Pompei, le aree di Roma, Ostia antica e la Domus Aurea, non era necessaria. La tipologia delle realizzazioni in concreto poste in essere nel 2009 - si legge ancora nella relazione - conferma, infatti, che si tratta di interventi che ben si sarebbero potuti effettuare con gli strumenti dell'ordinaria amministrazione. Quanto a Pompei, i presupposti per la dichiarazione dello stato di emergenza erano sostanzialmente assenti. Di qui, l'auspicio ad una maggiore trasparenza, soprattutto considerata la evidente scarsità di risorse destinate alla manutenzione dei siti archeologici, e l'assunzione di misure autocorrettive.

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