loader
menu
© 2024 Eddyburg
Piero Ignazi
La Corte costituzionale vince ancora
5 Dicembre 2013
Articoli del 2013
Due commenti sulla sentenza della Consulta, che tenta ancora una volta a raddrizzare le gambe ai cani (con rispetto parlando). Articoli di Piero Ignazi e di Andrea Fabozzi, rispettivamente su
Due commenti sulla sentenza della Consulta, che tenta ancora una volta a raddrizzare le gambe ai cani (con rispetto parlando). Articoli di Piero Ignazi e di Andrea Fabozzi, rispettivamente su

la Repubblica e il manifesto, 5 dicembre 2013

La Repubblica
UNO SCHIAFFO AGLI STREGONI
di Piero Ignazi

UNA delle peggiori leggi elettorali delle democrazie occidentali, distillata dall’ingegno dei quattro saggi di Lorenzago, guidati dal dentista leghista Roberto Calderoli, è stata stracciata dalla Corte Costituzionale. Va finalmente al macero il sistema elettorale con il quale siamo stati condotti alle urne per ben tre elezioni, dal 2006 adoggi.Un sistema che era stato studiato per evitare che il vincitore annunciato alle elezioni del 2006, il centro sinistra guidato da Romano Prodi, potesse insediarsi a Palazzo Chigi forte di una maggioranza omogenea tra Camera e Senato. Inventando un premio di maggioranza che distorce in maniera clamorosa il principio di rappresentanza, differenziando la sua applicazione tra Camera e Senato e adottando le liste bloccate, gli apprendisti stregoni del centrodestra hanno portato al voto gli italiani in condizioni di “minorità democratica”.

Questa menomazione dei diritti deriva, come sottolinea la Corte, dal premio di maggioranza e dalle liste bloccate che vengono quindi considerate gravi violazioni della possibilità di determinare, attraverso il principio di “un uomo un voto”, la volontà dei cittadini.

La Corte Costituzionale ancora una volta interviene a supplenza della politica, come da ormai lunga tradizione (basti ricordare le sentenze della Corte guidata da Giuseppe Branca negli anni Settanta che aprirono la breccia alla stagione dei diritti civili). Il suo schiaffo all’inerzia parlamentare è sonoro. In nove mesi non è stato partorito nulla e i partiti si sono spesi inballon d’essaieproposte alambiccate. Ora non ci sono più scuse, e non c’è nemmeno più tempo. Le Camere devono produrread horasuna nuova legge che dovrà necessariamente tener conto delle indicazioni fornite dalla sentenza di ieri.

Anche perché il rischio è che si vada a votare con la proporzionale. Un rischio da evitare assolutamente.Il compito di elaborare dovrà impegnare a tempi serrati tutto il Parlamento. Però questa sentenza “delegittima” gli esponenti del centrodestra di allora, ideatori del Porcellum, da Bossi a Casini, da Berlusconi allo stesso Alfano: tutti corresponsabili di questomonstrum premiale, disomogeneo e bloccato.

Spetta agli oppositori del Porcellum, peraltro troppo acquiescenti e troppo a lungo silenziosi, proporre una nuova legge elettorale dato che Lega e Forza Italia (ma anche il Nuovo Centro Destra) hanno oggettivamente perso voce in capitolo.Il Pd diventa il master del gioco. E allora deve fare piazza pulita di formulette e giochini al ribasso e puntare alla chiarezza e alla semplicità. Gli elettori hanno diritto di poter decidere tra alternative chiare e ben visibili,sapendo bene qual è il reale peso del loro voto. Soprattutto devono vedere in faccia il loro eletto. A questo punto al Pd non rimane che ritornare alla sua opzione originaria, sempre recitata come una giaculatoria salvifica e poi sacrificata sull’altare della responsabilità e della concertazione: il doppio turno.Quello adottato in Francia per le elezioni legislative rappresenta un modello sperimentato che ha consentito nel tempo la riduzione della frammentazione, la formazione di coalizioni alternative e la governabilità. Poi si possono studiare anche altre varianti, purché gli obiettivi rimangano gli stessi. Infatti il doppio turno riporta nelle mani dei cittadini la scelta del loro eletto, e consente di riallacciare un rapporto fiduciario tra cittadini e rappresentanti, finora segregato dalle liste bloccate.L’antipolitica montante di questi ultimi anni è stata alimentata anche dalla distanza, anzi dalla barriera, che separava elettori ed eletti. Ridurre questa separazione, mantenendo le condizioni per il bipolarismo, è un imperativo. E per rispondervi non è rimasta che questa strada.

Il manifesto
UNA SENTENZA RI-COSTITUENTE
di Andrea Fabozzi

Un’ora prima che la Corte Costituzionale demolisse la legge elettorale facendo quello che tutti i partiti (anche gli autori del misfatto) dicono di voler fare da sette anni, una commissione di senatori giurava di aver trovato la strada per cambiare finalmente il Porcellum. O almeno fare una proposta. Subito, quasi subito, in due mesi al massimo. A tale livello di grottesco era arrivata la politica, foresta pietrificata sulla quale si è abbattuta l’ennesima supplenza giudiziaria. Ancora una volta obbligata e stavolta benvenuta. La Consulta, che non a caso è rimasta sotto attacco per tutto il ventennio berlusconiano assieme agli altri poteri di garanzia, ha rimesso la chiesa al centro del villaggio. La rappresentanza nel cuore del sistema elettorale. I cittadini elettori alla base della legittimazione dei rappresentanti. Non è detto che basterà per avere un buon sistema elettorale. Ma potrà solo essere migliore.

La Corte Costituzionale, evitando ogni tentazione di rinvio, ha dichiarato l’illegittimità del premio di maggioranza senza limiti, quello che dal 2005 consente a chiunque vinca le elezioni, anche solo di un voto e con qualsiasi percentuale, di conquistare 340 deputati, la maggioranza assoluta. Anche la legge Acerbo approvata durante il fascismo prevedeva una soglia minima di voti per aver diritto al premio. Ma la Corte è andata oltre accogliendo anche la seconda questione di costituzionalità che gli era arrivata dalla Cassazione e bocciando il meccanismo delle liste bloccate. L’ispirazione è la stessa: restituire ai cittadini il potere di scegliere i propri rappresentanti. Bisognerà leggere le motivazioni che arriveranno tra qualche settimana, ma il principio sembra quello già anticipato in precedenti (ma non cogenti) pronunce della Consulta: la rappresentatività può essere sacrificata alla governabilità solo nel rispetto della ragionevolezza. Nel caso del Porcellum il sacrificio è (era) enorme e il vantaggio nullo, come prova il fatto che i vincitori per governare si sono dovuti alleare con gli sconfitti nel governo delle larghe intese.

Quella di ieri è una sentenza certamente politica, quasi costituente o meglio «ri-costituente» visto che mette in crisi il totem del premio di maggioranza attorno al quale ha ballato tutta la «seconda Repubblica». Lo si capisce benissimo non solo dalle conseguenze, ma anche dalle parole condiscendenti che i giudici hanno voluto rivolgere ai politici. «Resta fermo — si legge in conclusione del

comunicato all’esito della camera di consiglio — che il parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali». Una precisazione, quasi una scusa, non richiesta e che però dà il senso della consapevolezza dei giudici costituzionali di addentrarsi in un terreno delicato. Del resto non erano poche le pressioni perché le questioni fossero semplicemente dichiarate non accoglibili, e neppure i precedenti. Invece dopo sei anni durante i quali si sono trovati contro in tribunale tre diversi governi (non quello in carica, non a caso) hanno avuto ragione l’avvocato Bozzi e quei 27 cittadini milanesi che hanno combattuto il Porcellum con le armi del diritto. Ma se la Consulta non avesse ammesso le questioni di costituzionalità accolte e rilanciate dalla Cassazione avrebbe finito col mettere al riparo ogni legge elettorale, anche la peggiore (e la legge Calderoli è la peggiore), dalla verifica di legittimità.

In attesa delle motivazioni, la legge elettorale che viene fuori dalla sentenza di ieri è un proporzionale puro come ai tempi della Costituente (e allora sì che un parlamento eletto con questo sistema avrebbe una legittimazione in più per fare le riforme). È il sistema più in grado di garantire la rappresentatività delle forze politiche, ma anche quello che nel quadro politico attuale aprirebbe le porte alla stabilizzazione delle larghe intese. E al tramonto di quel bipolarismo che appare esaurito nei fatti e solo a fatica può essere creato in vitro dalle leggi elettorali.

Vent’anni dopo può forse chiudersi il ciclo dominato dalla religione del maggioritario. Ed è significativo che le parole di rispetto per il parlamento usate ieri dalla Consulta siano le stesse che erano contenute nelle sentenza che nel 1993 ammise il referendum sul sistema di voto del senato, aprendo la porta al Mattarellum e alla riforma istituzionale per via elettorale. Anche allora, come ieri, si volle riconoscere alle camere l’ovvio diritto di scrivere una nuova legge elettorale.
Ma il parlamento di oggi si è messo fuori gioco da solo. E potremmo persino assistere allo spettacolo dei deputati che corrono a farsi convalidare la nomina prima che arrivino le motivazioni della sentenza di ieri. Una preoccupazione scomposta e probabilmente superflua, ma il giusto compendio di un’istituzione mortificata.

ARTICOLI CORRELATI
29 Settembre 2014
30 Dicembre 2013
29 Dicembre 2013
24 Dicembre 2013

© 2024 Eddyburg