Corriere della Sera, 23 gennaio 2014 (m.p.r.)
Milano. Sarà la Corte costituzionale a stabilire se sia legittima la scelta del Politecnico di Milano, che ha deciso di passare all’inglese come lingua esclusiva per i corsi e gli esami delle lauree magistrali e dei dottorati. Il passaggio (nelle intenzioni dell’Università) a un’istruzione internazionale e all’avanguardia è stato bocciato da una sentenza del Tar del 2013. Nei mesi successivi, con un contro-ricorso del Politecnico e del ministero dell’Istruzione, la questione è arrivata al Consiglio di Stato. Che ora, con un’ordinanza pubblicata ieri, sospende il giudizio e trasferisce tutto alla Consulta. Affermando però alcuni punti: il Politecnico ha fatto una scelta del tutto legittima con la legge di riforma dell’università del 2010, ma allo stesso tempo quella legge presenta profili potenzialmente contrari alla Costituzione, che devono essere quindi approfonditi.
Per mettere ordine in questa contesa che riguarda il futuro del mondo universitario italiano bisogna riannodare i fili dall’inizio. Una delibera del senato accademico del Politecnico (21 maggio 2013) stabilisce che l’inglese diventi lingua obbligatoria per lauree superiori e dottorati, attuando «l’obiettivo di internazionalizzazione degli atenei» fissato nel 2010. Un corposo numero di professori presenta un ricorso al Tribunale amministrativo della Lombardia. E il Tar boccia il Politecnico: l’ateneo avrebbe «marginalizzato in maniera indiscriminata l’uso della lingua italiana, che il sistema normativo vuole, invece, preminente e che è funzionale alla diffusione dei valori che ispirano lo Stato italiano». Non solo. Il Politecnico, secondo i giudici amministrativi, «avrebbe dovuto consentire la scelta tra l’apprendimento in italiano e quello in lingua straniera». Dopo questa decisione, il progetto del Politecnico va avanti, ma non si completa: circa un quarto dei corsi, oggi, è ancora in italiano.
Con la decisione pubblicata ieri, il Consiglio di Stato ribalta in parte le conclusioni del Tar lombardo. E afferma: se si considera la legge del 2010, la decisione del Politecnico, «che appartiene alla libera scelta dell’autonomia universitaria», è stata pienamente legittima. Il dubbio però non scompare, e anzi si sposta alla radice: il quadro legislativo entro il quale si è correttamente mosso il Politecnico rispetta la Costituzione? Cambiando il piano di giudizio, il Consiglio di Stato manifesta notevoli perplessità. E lo fa su tre punti. Pur con complicate forme linguistiche, i giudici sostengono che «l’attivazione generalizzata ed esclusiva di corsi in lingua straniera, non appare manifestamente congruente, innanzitutto, con l’articolo 3 della Costituzione».
Certo, la formula «non manifestamente congruente» non vuol dire contrario. Il tema è questo: un conto è insegnare in inglese «tecnica delle costruzioni», un altro è usare esclusivamente la lingua straniera per la storia dell’arte. In quest’ottica «appare ingiustificata - dicono i giudici - l’abolizione integrale della lingua italiana». Altro nodo controverso è la tutela delle minoranze linguistiche assicurata dall’articolo 6 della Costituzione: siamo sicuri, sembrano chiedersi i giudici, che si possa passare all’inglese come lingua unica ed eliminare l’italiano, che si ritroverebbe così senza nemmeno la tutela riservata alle minoranze? Sotto esame sarà infine la conformità con il valore della libertà di insegnamento (articolo 33). L’obbligo dell’inglese «non appare rispettoso della libera espressione della comunicazione con gli studenti, dal momento che elimina qualsiasi diversa scelta, eventualmente ritenuta più proficua da parte dei professori, ai quali appartiene la libertà, e la responsabilità, dell’insegnamento».