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Hans Bernoulli
La città e il suolo urbano
11 Giugno 2006
Hans Bernouilli è autore di numerosi scritti (di urbanistica, architettura, poesia. letteratura), ma il suo interesse principale è per la città. L'unico suo libro tradotto (in italiano e in francese) è Die Stadt und ihr Boden la cui prima edizione è a Zurigo, 1945. In Italia, è stato pubblicata (con il titolo La città e il suolo urbano ) da Antonio Vallardi Editore nel 1951. Era esaurito da tempo,ora (2006) è stato ripubblicato, in una nuova edizione completa e una nuova traduzione, dall'editore Corte del Fontego, con una prefazione di E. Salzano e una nota biografica di Mireille Senn.

Qui di seguito una sintesi, nella traduzione dell'edizione Vallardi (1952). Rinvio ai testi di Henry Gorge, il giornalista ed economista statunitense cui Bernoulli si riferisce ed ispira.

brani scelti:

Una prima soluzione in grande stile: la città di colonizzazione del medioevo

La città perde i diritti che aveva sul suolo

La speculazione fondiaria impone la sua legge

Una prima soluzione in grande stile: la città di colonizzazione del medioevo

Quando l'Europa centrale era ancora coperta di boschi e paludi e, fra le vestigia romane, fra i poderi e i villaggi, si delineava una nuova città, ogni cosa era sottoposta alla legge feudale. La terra che doveva ospitare e mante nere gli uomini e i loro figli era pervenuta dalle mani di Dio a quelle del re come ad un suo pratico amministratore. Questi aveva poi distribuito in feudo grandi e piccoli territori ai suoi principi e vassalli. E di rimando questi ultimi, non potendo far coltivare dai propri familiari tutto il terreno ricevuto e non essendo possibile né pensabile che potessero trattenere in proprio alcun terre no, lo distribuivano a loro volta a valvassori e valvassini. Per escludere poi ogni malinteso, i possedimenti della Chiesa erano, per espressa legge ecclesiastica, inalienabili. Cosi le città che risalgono all'undecimo e al dodicesimo secolo, erano sorte su terreno non frazionato e che neppure il signore - quand'anche molto potente - poteva ritenere di sua esclusiva proprietà [...]

La grande impresa di fondazione, dato che non si addiceva a un principe l'occuparsi di affari, veniva affidata a persona valente di sua scelta, al "Locator" che sul principio non aveva altro nome e che successivamente assunse il nome di podestà e le funzioni di amministratore. Sul territorio affidatogli egli iniziava i lavori, facendo dissodare il circuito della nuova città, fissando la rete stradale e le mura entro cui si dovevano sviluppare i quartieri edilizi, secondo piani lungamente meditati con la collaborazione di altri esperti. Infine egli doveva anche pensare a popolarla, a chiamarvi cioè degli abitanti che prendevano il nome di ("Locatarii". Il "Locator" decretava ai suoi "Locatarii" il posto per le loro costruzioni, cioè ai mercanti le più vaste aree vicine al mercato e alle strade principali, poi seguivano gli artigiani e da ultimi i contadini, i quali occupavano le vie più anguste al di là delle quali potevano fabbricare stalle e cascine per ricoverare i prodotti del suolo. Il signore della nuova città cedeva poi ai cittadini ]a campagna circostante perché fornisse loro nutrimento. Essa veniva coltivata in comune come lo era stata in tempi precedenti.

Le case erano certamente molto modeste; gli abitanti dovevano pagare al titolare del fondo un canone per il diritto di costruzione e di uso o anche una tassa d’abitazione o una tassa d’eredità. Ereditario era infatti il loro diritto sul terreno, purché ne fosse consenziente il titolare, e allora tale diritto poteva vendersi anche a un terzo sopravvenuto. [...]

Ogni abitante del borgo poteva disporre del suo lotto di terreno. Non appena i mezzi glielo permettessero, poteva mutare il suo laboratorio in una più stabile casa di muratura, poteva modificarla, innalzarla o ingrandirla come meglio desiderasse. In generale vi abitava egli stesso: poiché i suoi diritti di appartenenza alla città erano legati al possesso della casa e del terreno.

Cosi il signore della città era padrone del suolo urbano, e ogni singolo abitante era padrone della propria casa.

Con questi procedimenti, il concetto che il medioevo nutriva intorno alla città ideale poteva trasformarsi in legname o pietra; ]a città doveva sorgere sicura sopra un dorso di montagna o protetta da un fiume; doveva avere un mercato, una via principale lunga e larga oppure un ampio quadrato, nel centro. Il suo sistema stradale doveva essere comprensibile a prima vista, segnare comodi quartieri, inconfondibili distinzioni fra le vie principali e ]e secondarie, fra quelle antistanti e quelle retrostanti. La chiesa col suo camposanto doveva sorgere appartata dal traffico, ma in modo tale che la navata maggiore e il campanile, emergendo dalle altre case, dominassero la piazza e la via principale.

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La città perde i diritti che aveva sul suolo

I fondatori delle città medievali avevano distribuito agli abitanti le aree fabbricabili per un tempo indeterminato: e il canone da pagarsi era stabilito immutabile.

Questo semplice ordinamento giuridico bastava ai modesti rapporti d’allora e si C conservato per secoli come tale nelle cittadine appartate, dove tutto era rimasto come in antico. Ma laddove si verificò un certo sviluppo, anche quell'ordinamento doveva presto o tardi cambiare Dove crebbe la popolazione, dove sorse una certa ricchezza, dove le modeste originarie costruzioni in legno furono soppiantate da decorose costruzioni in pietra, il modesto canone non risultò più adeguato al vantaggio che il cittadino traeva dalla posizione della sua casa. Quando poi il soldo che il proprietario del suolo si era assicurato dovette sottostare alla generale diminuzione dei valori, quando, in seguito alla scoperta delle lndie occidentali con tutti i loro tesori di metalli nobili, si poté coniare in massa nuovo denaro, il che determinò un aumento di tutti i prezzi, allora quella tenue imposta perdette gran parte del suo significato e non fu infine che una modesta convenzione di riconoscimento.

Vero e che qua e la essa venne elevata proporzionalmente al reddito; ma in complesso l'onere del cittadino, .Pa il diritto che gli era concesso in rapporto allo stato generale dei prezzi, diventò sempre minore e sempre meno comprensibile: dappoiché il diritto di occupare un lotto fabbricabile e di tenerlo era fissato in perpetuo. Un diritto di occupazione e di uso che si differenziava cosi poco dal libero diritto di proprietà doveva col tempo scambiarsi semplicemente con la proprietà stessa. Cosi la piccola imposta venne a poco a poco considerata come un noioso cavillo: anzi in essa si avvertiva persino un sentore di schiavitù. Non farà quindi meraviglia se già nel 14' secolo alcuni proprietari di casa si liberarono dell'importuno balzello col pagare in una sola volta un capitale press'a poco corrispondente a quello del tasso periodico. In tal modo il Comune che quasi dappertutto era subentrato al Signore - principe o Vescovo - si lasciò prendere la mano per un piatto di lenticchie e perdette la sovranità sul suolo. Era in tal modo cominciato un deplorevole processo di sbriciolamento. [...]

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La speculazione fondiaria impone la sua legge

La nobiltà francese, in quella famosa notte dal 4 al 5 agosto 1789, non ha forse abbandonato tutti i suoi privilegi, la sua proprietà fondiaria insieme con tutti i suoi balzelli e le sue prerogative? Il suolo era dunque divenuto libero. Non era più proprietà né titolo di diritto della nobiltà o del clero: era dei borghesi o dei contadini ai quali era stato ripartito o venduto. Che potesse essere riportato in proprietà comune collettiva, allora non si pensò. Tutti i pensieri, tutte le considerazioni andarono allora sommersi nel fatto sentimentale della indipendenza e della libertà conquistate. Come si erano sciolti tutti i diritti fondiari della nobiltà, si sciolsero per la maggior parte anche i diritti di proprietà del Comune. Cosi, per esempio, Ginevra perdette tutta la sua proprietà dei terreni anche dove non erano costruiti e dovette persino rinunciare all'indennizzo che pure era stato concesso ai nobili. Il monopolio del suolo passi, alla proprietà privata; il terreno perciò divenne commerciabile come ogni altra cosa. [...]

Ognuno poteva vendere il proprio terreno al più alto prezzo raggiungibile sul mercato. Questa speculazione venne metodicamente condotta dalle società fondiarie. Si trattasse adunque di milionari o di grandi impresari o di società rurali o di amministrazioni demaniali, sempre si vendette al miglior offerente, all'asta, il terreno ad altissimo prezzo. E secondo la giacitura e le condizioni generali, si raggiunsero prezzi veramente assai più elevati che non vendendo un campo di patate o un grasso terreno rurale.

Non tutti questi terreni erano però favoriti dalla fortuna: ma la fortuna stessa poteva essere a sua volta modificata. Siccome le aree fabbricabili lungo le strade principali erano valutate assai più di quelle lungo le strade secondarie, la delicata pressione della proprietà fondiaria ottenne che i nuovi quartieri fossero riccamente dotati di strade principali. Quindi il concetto di strada secondaria scomparve per decenni dall'ordine del giorno. E siccome nella serie delle case d'affitto, la casa d'angolosi addice particolarmente per negozi, vetrine, ristoranti locali d'affari di alto reddito, le avvedute amministrazioni civiche si impegnarono ad incrociare affrettatamente vie in modo che le case d'angolo vi potessero sorgere numerose. Più tardi. dopo che i proprietari di terreni si furono procurata. con la bozza delle strade principali e delle case d'angolo, la base per la massima valorizzazione delle aree e la videro tradotta in moneta sonante, la città avrebbe poi pensato essa stessa come tirare avanti con simili reticolati di strade, dovuti agli interessi privati. Se la guerra non ha portato trasformazioni radicali, quella fuga di vuote e oziose strade principali sarà per molte generazioni il testimonio della speculazione fondiaria degli anni che videro il primo sviluppo delle città industriali.

In modo ancor più chiaro della giacitura e dei tracciati delle vie, l'edilizia stessa dimostra come oggi la città sia fortemente dominata dalla speculazione esercitata sulle aree. E’ proprio cosi: la massima rendita si ottiene col massimo sfruttamento del suolo; quindi, in ragione della possibilità di costruire su un dato lotto cinque piani piuttosto che tre, oppure tre quarti dell'area piuttosto che un quarto. determina diversità notevoli di rendita e quindi diversità notevoli del prezzo di vendita del lotto. Come la speculazione sui terreni aveva ottenuto un frazionamento tale da moltiplicare gli angoli fabbricativi, cosi è riuscita ad ottenere un progressivo aumento delle altezze di fabbricazione. Ognuno tende a salire alle maggiori altezze. Il compratore di un terreno vi è, fra l'altro, indotto dal prezzo che già il venditore aveva stabilito in relazione appunto alla massima sfruttabilità. Il limite estremamente tollerante che ogni città ha determinato per la sua edilizia e che era proprio pensato come limite estremo, è divenuto, attraverso il commercio delle aree fabbricabili, norma corrente e legge approvata.

Una volta stabilita perciò la massima regolamentazione edilizia, il progetto di una costruzione non fu più lavoro creativo, ma un semplice problema di calcolo. Costruire corpi di fabbrica esterni ed interni, raggiungere(e talvolta oltrepassare) i limiti imposti dai regolamenti, fu compito più da impresari edili che da architetti. Questo modo di costruire che informa la maggior parte delle grandi e medie città, fu riconosciuto e deplorato come una delle peggiori pasticciate. Ma che cosa ci si poteva fare? Il terreno era stato concesso; per una manata di monete d'argento il Comune aveva rinunciato ad ogni diritto d'intervento diretto e doveva quindi lasciare che le maglie della rete stradale venissero riempite da imprenditori senza riguardi, con le ben note sconvenienze e a volta con effetti anche sgradevoli, se pur corrisponde alle norme della regolamentazione. Nella loro impotenza, molte città sentirono allora il bisogno di affiancare agli organi di polizia tecnica altri organi di polizia estetica. Ma le sentenze di questi ultimi furono presto bollate come una sconveniente intromissione in faccende private. Siccome la città non ha la forza di ripudiare sgradevoli piani di costruzione, ma soltanto di indurre in qualche miglioramento, si ha come conseguenza che la mediocrità delle costruzioni ha sempre il sopravvento.

Qualora la città fosse stata la proprietaria del suolo avrebbe avuto libero campo per concedere o rifiutare aree a destinazioni edificatorie non desiderabili. Ma, avendo essa già alienato i terreni, dovette bandire ogni diritti in proposito. Ora invece, quando la città, per una miglioria che deve servire a tutti, per esempio un nuovo parco, un campo sportivo, una caserma per pompieri, un cimitero, deve rivolgersi al proprietario privato del terreno o dell’edificio, questi si mette sorridendo a disposizione della comunità, ma dà gentilmente a comprendere che l’affare sarà un po' costoso. Comincia un contrattare, un mercanteggiare che non ha mai fine tanto più l’area conviene per lo scopo che la città prefigge, tanto più si eleva il prezzo che il proprietà richiede. Spesso il rappresentante del Comune se ne deve andare scuotendo deluso le spalle. La ricerca del terre per molti edifici pubblici diventa spesso una faccenda dolorosa, poiché con ritagli casuali di terreno non si p sono costruire né un teatro, né un museo, né un municipio. Per simili costruzioni occorrono località di prim’ordine, una situazione di monopolio e quindi anche cifre di monopolio. Al pronunciarsi del prezzo naufragano tutti i progetti. E per questa ragione che le nostre città difettano di ampie località libere per il riposo delle persone anziane e di ampi campi di gioco per i bambini. L'alto prezzo delle aree spaventa tutti. [...]

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