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Tomaso Montanari
La Cavallerizza di Torino, occupata e salvata
31 Maggio 2014
Torino
Come per l'isola di Poveglia nella Laguna di Venezia, anche a Torino i cittadini si associano per impedire che un bene comune (e pubblico) venga privatizzato e trattato come una merce,

Come per l'isola di Poveglia nella Laguna di Venezia, anche a Torino i cittadini si associano per impedire che un bene comune (e pubblico) venga privatizzato e trattato come una merce, Corriere della sera, 31 maggio 2014 (m.p.r.)

Nei giorni scorsi alcuni cittadini hanno cercato (purtroppo senza riuscirci) di ri-comprarsi ciò che già appartiene loro in quanto cittadini sovrani: l’Isola di Poveglia, nella Laguna di Venezia, che è stata messa in vendita dal Demanio dello Stato. Ora un altro gruppo di cittadini ha occupato la Cavallerizza Reale, nel cuore di Torino, chiedendo che questo importantissimo monumento rimanga un grande e articolato teatro, e non venga trasformato in un centro commerciale. In entrambi i casi la buona notizia è che, in un modo o in un altro, «la Repubblica tutela il patrimonio storico e artistico della nazione»: proprio come impone l’articolo 9 della Costituzione. Perché laddove le istituzioni e i poteri pubblici faticano a farlo, o fanno il contrario, sono spesso i cittadini – singoli o riuniti in associazioni, comitati, gruppi – a prendersi a cuore il loro territorio e i loro monumenti. Era ciò che avevano in mente i costituenti quando hanno scritto «Repubblica» e non «Stato»: nel senso di vigilanza e impegno civile (un senso lato, ma profondo e fondamentale), la tutela non spetta solo agli organi previsti dalle leggi, ma spetta appunto alla Repubblica, e cioè ad ogni cittadino.

Il caso di Torino è emblematico. La Cavallerizza Reale è un grande complesso costruito tra Seicento e Ottocento come sede dell’Accademia militare: un complesso che è protetto da un vincolo, e che fa parte del sistema delle residenze reali sabaude dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Ceduta dal Demanio al Comune di Torino, la Cavallerizza è divenuta parte del Teatro Stabile, e nel 2001 si è aperta alla città come luogo di spettacolo, ottenendo un grande successo. Ma in seguito ai tagli selvaggi ai bilanci degli enti locali, l’amministrazione comunale ha rinunciato a raccogliere i frutti (sociali, ma anche economici) del suo investimento, e ha deciso di mettere in vendita il complesso: nel 2009 è stato affidato alla Cartolarizzazione Città di Torino srl, e nel 2013 sono state interrotte le rappresentazioni e sono iniziate le visite degli speculatori privati che vorrebbero acquistare il monumento (a prezzo di saldo: 12 milioni di euro).

Ma non tutti, in città, sono disposti ad accettare una simile sconfitta collettiva. Da sei mesi alcuni cittadini si riuniscono in un percorso partecipativo autoconvocato per decidere il futuro di quel grande spazio storico, e venerdì scorso hanno annunciato tre giorni di occupazione: «Come Assemblea Cavallerizza 14e45 [l'ora a cui è fermo l'orologio del teatro] una risposta la abbiamo, ovvero noi, gli abitanti di questa città. Con questi tre giorni vogliamo cominciare a immaginare un futuro diverso dall’abbandono o dalla svendita. Non possiamo accettare che ancora una volta sotto i nostri occhi avvenga lo spreco del nostro patrimonio senza interpellare nessuno. Vorremmo che la cavallerizza fosse un laboratorio dell’abitare, ovvero uno spazio a partire da cui ripensare I modi in cui viviamo questa città, per riprenderci possibilità di decidere della vita dei nostri territori. La parabola della Cavallerizza è la stessa di tanti siti di valore storico e artistico che vengono lasciati all’incuria più totale finché non subiscono danni strutturali, a quel punto o vengono completamente abbandonati o venduti. Noi soldi per comprare la Cavallerizza non ne abbiamo, ma non ci sembra un motivo valido perché la nostra voce di cittadini resti inascoltata. Sappiamo con certezza che non vogliamo un albergo, un bel ristorante, ma neanche un bel museo in cui costerà caro entrare, sappiamo che vogliamo un luogo che risponda alle esigenze di chi vive la città, non di chi ci specula».

L’occupazione della Cavallerizza ha finalmente aperto una discussione pubblica, ed ha guadagnato solidarietà importanti. Italia Nostra ha detto di condividere gli obiettivi degli occupanti, e ha chiesto al Comune «che vengano tassativamente esclusi usi impropri di carattere speculativo». Mario Martone, direttore del Teatro Stabile, ha dichiarato che «se è un’occupazione fatta con rispetto delle norme di sicurezza, è giusto dialogare con questi ragazzi, è la prima regola della democrazia. Come Stabile, ci è dispiaciuto abbandonare questo luogo». Naturalmente non mancano le preoccupazioni e gli equivoci. In un suo comunicato di sabato scorso, l’Ansa ha scritto che la Cavallerizza è stata occupata da un «collettivo anarchico». In realtà, quei cittadini torinesi non predicano l’anarchia, ma anzi chiedono l’applicazione della Costituzione. E non sono soli. In un suo libro recente (Il territorio bene comune degli italiani, Donzelli) l’ex vicepresidente della Corte Costituzionale Paolo Maddalena ha spiegato perché le alienazioni di beni demaniali siano «provvedimenti legislativi di eccezionale gravità, che vanno contro la lettera e lo spirito della Costituzione»: si tratta – continua il giudice – «di svendite da considerare assolutamente nulle, poiché contrastano con i prevalenti interessi pubblici del popolo italiano».

È allora vitale che i cittadini facciano sentire direttamente la loro voce: la storia italiana dimostra che non è affatto inutile. Se il 18 maggio 1980 – per esempio – duemila siciliani non avessero occupato il cantiere della litoranea che doveva congiungere San Vito lo Capo e Scopello, non sarebbe mai nata la Riserva dello Zingaro, che oggi protegge e fa vivere un luogo meraviglioso e sostiene un’economia diversa da quella fondata sulla speculazione. Uno degli slogan degli occupanti torinesi è «La Cavallerizza è reale». Ebbene, queste parole non dicono solo che quel monumento è tornato nella realtà della vita sociale torinese, ma possono anche significare che ciò che apparteneva ai Savoia – re di Sardegna e poi re d’Italia – ora appartiene al nuovo sovrano: il popolo italiano. È per questo che il vento che soffia da Torino riguarda tutta l’Italia, e apre una battaglia civile, giuridica e culturale che riguarda le implicazioni della sovranità popolare sul governo del territorio, e cioè l’essenza stessa della democrazia. Che, come la Cavallerizza, o è reale o non è.

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