Pare impossibile ma il New York Times fece le pulci a Bill Clinton perché s'era vantato di aver compiuto il percorso di golf di Martha's Vineyard in 80 colpi: «Non è vero: 83!». Guai a raccontare balle, nei Paesi seri. Immaginatevi quindi la faccia che farebbero quei custodi della buona creanza se rileggessero la storia del condono edilizio spacciata agli italiani. Perché una cosa è certa: il soprassalto di pudore che ha spinto l'altra sera An a presentare e votare un emendamento che rende più ardua (per ora) la sanatoria ai palazzinari abusivi è una conferma a quanto aveva denunciato il Corriere : c'era il trucco, là dentro. La frottola dei «piccoli abusi», ripetuta per mesi era studiata per nascondere alla gente la schifezza maxima: il tentativo di un condono tombale anche per i quartieri e i villaggi e i grattacieli abusivi. Immangiabile perfino per un Paese che, sui temi della legalità, è ormai di bocca buona. Per carità, c'erano dei precedenti. Basti ricordare quanto disse Silvio Berlusconi alla fine di maggio del '94: «In Consiglio dei ministri o altrove non ho mai pronunciato la parola "condono". Sono i giornali che vogliono farci apparire come gli altri governi».
Tesi confermata il giorno dopo ai sindaci delle grandi città: «Nessun condono edilizio». Ribadita da Giulio Tremonti: «Nessun condono». Ma presto rovesciata con la conferma dell'allora ministro dei Lavori pubblici Roberto Radice: «E' una risposta solo ai piccoli abusi. Chi dice che con questo condono il governo voglia incoraggiare l'abusivismo dice una panzana». Versione sposata da Umberto Bossi: «E' una soluzione per i piccoli abusi. La Lega ha avuto un ruolo fondamentale nell'evitare che il condono si trasformasse in un colpo di spugna generalizzato imponendo dei limiti di cubatura di 750 metri cubi al di sopra dei quali non è possibile condonare».
Non si erano accorti, forse, che c'era una postilla: «I predetti limiti di cubatura non trovano applicazione nel caso di annullamento della concessione edilizia».
Come sia andata si sa: dal '94 in qua, dice il Cresme, sono nate 362.676 case abusive. E il cavillo birbantello consentì a vari palazzinari di mettere in salvo interi complessi abusivi. Ad esempio, denunciano gli ambientalisti, le quattro palazzine di undici piani per un totale di 350 mila metri cubi costruite da Salvatore Ligresti ad Acilia grazie a un'autorizzazione ottenuta dalla Regione Lazio scavalcando il Comune di Roma che aveva negato la licenza. Procedura bocciata prima dal Tar, poi dal Consiglio di Stato.
Anche stavolta ci avevano provato, a scardinare il tetto massimo dei 750 metri cubi. Ma certo, ormai bruciato quel codicillo, dovevano inventare qualcosa di nuovo. Pensa e ripensa, una ignota testolina aveva dunque elaborato la seguente frase da inserire: «Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 mc per singola richiesta di titolo abitativo edilizio in sanatoria». Lì era il trucco: per ogni singola richiesta . Vale a dire che un palazzinaro, dopo aver costruito un villaggio turistico o un condominio abusivo, avrebbe potuto fare ottenere il condono, casa per casa, a ogni inquilino: uno a Giovanni, uno ad Alfredo, uno a Giuseppe...
Eppure, per tutta la primavera e tutto l'autunno, nel solco di quanto aveva detto un uomo vicino al premier come Franco Frattini («Va estirpata ogni forma di illegalità perché la questione morale è alla base di qualsiasi programma di governo») non si erano sentite che parole contrarie. «Si tratta di sanare solo i piccoli abusi, tutto quello che è già dentro la volumetria. Mica gli abusi edilizi, le costruzioni abusive», giurava l'aennino Alberto Giorgetti. «Il condono? Permetterà di risolvere una infinità di piccoli abusi che creano una situazione di assoluta incertezza sul territorio», confermavano i leghisti Francesco Moro e Paolo Franco.
Macché rischi: sarebbe stato un «condono light , poco più ampio di quello per i piccoli abusi all'interno degli appartamenti», ribadiva il sottosegretario all'Economia dell'Udc, Gianluigi Magri. «Si potranno condonare solo piccoli abusi come le costruzioni delle case nelle periferie metropolitane», rassicurava il ministro Gianni Alemanno. «Il governo sta lavorando ad una ipotesi di condono che riguarda i piccoli abusi e non certamente la sanatoria degli ecomostri», garantiva il sottosegretario Antonio Martusciello.
Finché era arrivata, definitiva, la parola del portavoce di Forza Italia, Sandro Bondi, che un anno prima aveva bollato la sanatoria ipotizzata come «un provvedimento profondamente immorale, destinato a premiare i comportamenti illegali e scoraggiare quelli virtuosi». Contrordine: «Il condono è una misura volta a chiudere contenziosi che riguardano semplicemente delle piccole infrazioni che per lo più nascono dalla complessità e dall'astruseria di molte leggi che abbiamo nel nostro Paese». Ugo Martinat, viceministro infrastrutture, era andato più in là bacchettando le solite opposizioni sfasciste: «Non è vero quanto afferma la sinistra che si vogliono sanare i grandi abusi. Nessuno di noi intende farlo. Il condono per noi rappresenta un atto di giustizia». Verso chi? Ovvio: «I piccoli abusivi».
La svolta dell'altra sera, con l'abolizione di quelle righine che permettevano di sanare anche i mostri da centinaia di migliaia di metri cubi, fa giustizia anche di queste cose. Era proprio così come l'avevano annusato i criticoni: il condono puzzava.
Certo, restano perplessità sul messaggio immorale della sanatoria, sull'ambiguità del «silenzio diniego» e mille altri punti. Ma una toppa è stato messa. Gira voce, adesso, che la solita manina potrebbe reinserire qualche codicillo imperscrutabile lungo l'iter parlamentare. Il trucchetto abolito, a quanto pare, avrebbe portato un miliardo di euro. Mica facile per il Tesoro rinunciarci. Da ieri, però, il giochino è più complicato.