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Robert Collier
La bella vita vuol dire più gas-serra
3 Dicembre 2007
Clima e risorse
La spirale consumi, uso del territorio, energia, nel caso cinese. Dal San Francisco Chronicle, 6 luglio 2005 (f.b.)

Titolo originale: The good life means more greenhouse gas – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Pechino - Pi Heyang chiude con circospezione la portiera della sua futura prima automobile. Poi fa scivolare la mano lentamente sulla carrozzeria splendente, toccando quella berlina cinese Tianjin Weizi con delicatezza, come se fosse fatta di stoffa finissima.

”Questo cambierà la nostra vita” dichiara solenne l’autista di autobus di Pechino, con moglie e figlio al suo fianco nel salone del concessionario.

A parecchi chilometri di distanza sulle strade piene di smog di Pechino, una sala esposizioni è stipata da migliaia di persone che sbirciano gli stand dove sono in mostra le nuove case disponibili nelle lottizzazioni suburbane. Si proiettano video, i danzatori si esibiscono, le scritte al neon in inglese mostrano nomi di quartieri come Rich Garden o Canal Side Upper Strata Life.

”Vogliamo spazio, verde, libertà” dice Han Yu, venditore di telefonini, dopo che lui e sua moglie hanno firmato i documenti per acquistare a 105.000 dollari un appartamento di tre stanze in condominio nella fascia orientale di Pechino. “Eccoli qui”.

È il nuovo Cinese Dream: automobili e suburbi. Come il suo corrispondente American, è una buona notizia per molta gente: probabilmente una pessima notizia per il Pianeta Terra. Lo stesso boom economico che sta catapultando ogni anno milioni di cinesi nella middle class ha fatto del loro paese la fonte di gas serra - e relativo riscaldamento globale - in più rapida crescita del mondo.

La sete cinese di carburanti contribuisce a spingere i prezzi mondiali del petrolio a livelli record, e il paese si sta confermando come elemento chiave nel dibattito sul mutamento climatico, e contemporaneamente jolly in grado di determinare la salute dell’economia internazionale.

I leaders cinesi riconoscono il riscaldamento del pianeta come problema serio, e hanno iniziato una campagna coordinata per tagliare le emissioni di gas serra del paese, in gran parte determinate dal consumo energetico. Il governo spende miliardi di dollari – nessuno sa esattamente quanti – per incrementare il risparmio energetico, chiudere le fabbriche sputa-fumi e ridurre le emissioni delle centrali elettriche. Allo stesso tempo, però, i progressi in termini di efficienza sono stati superati dalla crescita inarrestabile nell’uso dell’automobile, nella produzione di energia, nelle attività industriali.

Nonostante il governo cinese non pubblichi dati sulle emissioni di carbonio, la maggior parte degli analisti stranieri stima che la quantità di anidride carbonica sia seconda solo a quella degli Stati Uniti a livello mondiale, e in crescita, dal 5% al 10% l’anno: la più rapida dei grandi paesi. Si prevede che la Cina supererà gli Stati Uniti, prendendo il primo posto, entro il 2025, con un aumento complessivo delle emissioni di gas serra mondiali dal 12 al 20 per cento.

Secondo il protocollo di Kyoto, la Cina e altri paesi in via di sviluppo sono esenti dai tagli obbligatori di emissioni a cui devono adeguarsi le nazioni ricche. I funzionari cinesi sostengono che questi limiti impedirebbero loro di emergere dalla povertà, e sottolineano che le nazioni industriali sono responsabili per la grande maggioranza delle emissioni che provocano il riscaldamento globale.

L’amministrazione Bush afferma che l’esenzione della Cina è ingiusta, e questo è uno dei motivi per cui il Presidente ha tenuto fuori gli USA dai protocollo di Kyoto nel 2001. Il riscaldamento globale è in cima all’agenda del vertice G8 dei paesi più ricchi che si apre oggi in Scozia. Gli altri sette membri hanno promesso di aderire al trattato di Kyoto.

I sostenitori dell’amministrazione dicono che il boom economico della Cina si regge su sregolatezza e sprechi. La Cina utilizza il triplo di energia per ogni dollaro di prodotto interno rispetto alla media mondiale, e 4,7 volte quella degli Stati Uniti, secondo un recente studio del Dipartimento per l’Energia USA.

Ma i funzionari di Pechino difendono la posizione governativa.

”La Cina vuol fare la sua parte contro il riscaldamento globale, e abbiamo intrapreso molte azioni” dice Zhou Dadi, direttore generale dell’Istituto di Ricerche sull’Energia, l’agenzia centrale governativa per le politiche sull’argomento. Cita numerosi passaggi chiave degli anni recenti, come:

● una nuova legge approvata in febbraio per sostenere l’adozione di fonti energetiche rinnovabili, come l’eolico e i piccoli impianti idroelettrici

● la diffusione di nuove forme di risparmio energetico attuata attraverso gli impianti domestici

● gli standard di emissioni delle automobili da abbassare entro il 2007, in modo più rigido delle attuali norme USA

● l’inizio della costruzione di nove linee ferroviarie ad alta velocità – le prime del paese – per collegare le grandi città

Ma anche Zhou ammette che a queste azioni corrisponde d’altra parte una sempre più forte spinta economica.

”Sui mezzi di comunicazione passano moltissimi messaggi che tentano di convincere le persone ad adottare modi di vita americani, come un’auto di lusso, una casa molto grande” dice. “È questo, che vogliono tutti, ora. Fa parte dello sviluppo, è una fase storica. L’efficienza energetica è funzione di tutto questo”.

Grazie ai ritmi nazionali di crescita incandescenti, con una media di circa il 9% l’anno, anche un lavoratore – come Pi, il guidatore di autobus – è in grado di comprarsi una macchina. Pi dice che lui e sua moglie, Feng Xiaoe, contabile, hanno risparmiato per anni, e con qualche aiuto da parte del fratello e dei genitori sono stati in grado di pagare l’intero prezzo di listino della nuova auto, di 9.000 dollari.

”Possiamo uscire di città nei fine settimana” dice sorridendo. “Possiamo andare a pescare, a far volare gli aquiloni”.

I modelli base sono anche più accessibili per chi ha redditi medi. Una berlina Geely senza aria condizionata e radio, motore da 1000 cc. costa circa 3.600 dollari. I funzionari governativi sperano che alla fine tutte le famiglie cinesi abbiano un’auto: obiettivo sostenuto dalla potente industria automobilistica nazionale cinese.

Di conseguenza, la ampie superstrade realizzate di recente a Pechino e altre città sono spesso bloccate da ingorghi sino a tarda sera. Il numero di auto nella sola capitale è raddoppiato negli ultimi cinque anni, sino a 2 milioni, e le vendite di automobili in Cina si prevedono in crescita del 17% quest’anno, dopo il 15% del 2004 e il 37% del 2003. E c’è ancora parecchio spazio per la crescita, dato che la proprietà dell’auto viene stimata a circa 12 milioni: meno dell’1%, una piccolissima frazione del 74% USA.

Le biciclette, un tempo il mezzo di trasporto principale, ora sono proibite su molte strade principali delle grandi città. Piste ciclabili e marciapiedi sono stati sacrificati in molti casi a spazi più ampi per le auto.

Le città a livello nazionale si sono ampliate in suburbi, con le amministrazioni municipali a vendere le aree rurali inedificate, sloggiare i contadini in affitto e sostenere la realizzazione di insediamenti suburbani, campi da golf e centri commerciali. Nel corso di pochi anni, i consueti cartelli che inneggiavano al Partito Comunista al potere sono stati sostituiti da luccicanti tabelloni che reclamizzano case: “ Gran Lusso!” “ Vivere in una Dimora di Campagna!”, “ Pace Bucolica!”.

Molti analisti internazionali dicono che questa nuova enfasi sui consumi sta rendendo la Cina dipendente da un alto consumo energetico.

”Il fronte mondiale per lo sviluppo sostenibile non sta nella giungla amazzonica. È nelle città” dice Nicholas You, direttore della pianificazione strategica di Habitat, l’agenzia ONU per la casa, che di recente ha pubblicato uno studio su 10 città medie cinesi.

Lo sprawl urbano cinese, sostiene You, è meglio pianificato e a intensità energetica inferiore rispetto all’anarchica e incontrollata esplosione di città come Nairobi in Kenya, o Lagos in Nigeria. Ma dice anche che le dimensioni senza confronti della Cina, con più di un quinto della popolazione mondiale, tendono a far diventare giganteschi anche i più piccoli errori.

”È evidente che se la Cina continua a urbanizzarsi nei prossimi 20-30 anni, con altri 300 milioni di persone a migrare verso le città e suburbi realizzati ovunque, si verificheranno trasformazioni irreversibili nel consumo di energia” dice You.

A livello nazionale il consumo energetico cresce circa del 15% l’anno, e le amministrazioni locali stanno realizzando una quantità di centrali energetiche a carbone per prevenire i blackouts che hanno perseguitato le città nelle estati recenti. Il governo centrale prevede che ci sarà un gap del 5% fra produzione elettrica e consumo a livello nazionale quest’anno, con cadute di tensione parziali e totali in aumento.

La Cina ricava il 67% della sua elettricità dal carbone, e con riserve stimate a coprire un fabbisogno di 500 anni ai livelli attuali di produzione, ha pochi incentivi economici all’uso di combustibili alternativi.

Né esiste una diffusa consapevolezza riguardo al riscaldamento globale, o al bisogno di spostarsi verso energie più pulite, dicono gli esponenti dei piccoli gruppi ambientalisti cinesi, molti dei quali sostenuti dall’estero.

”La conoscenza delle energie rinnovabili è ancora molto scarsa” dice Yu Jie, analista politica di Greenpeace a Pechino. “Ed è un problema”.

Ma nei circoli più elevati governativi molti funzionari iniziano a vedere lo spreco energetico e l’inquinamento come una minaccia di lungo periodo per l’economia e la salute pubblica cinese. Questi leaders hanno promosso la nuova legge per le fonti rinnovabili di febbraio, un risultato che molti analisti stranieri considerano senza precedenti in una nazione in via di sviluppo.

La legge richiede che i gestori della rete acquisiscano energia da produttori eolici, solari, di geotermia, impianti idroelettrici di piccole e medie dimensioni, e offre incentivi finanziari, attraverso un fondo nazionale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili. Fissa l’obiettivo di aumentare la quota del rinnovabile dal 3 per cento degli attuali consumi al 10% entro il 2020. Ma realizzazioni e gestione delle tecnologie da fonti rinnovabili sono molto più costose dei convenzionali carbone, petrolio e gas, e il costo della riconversione è stimato a 80 miliardi di dollari.

Le lobbies industriali stanno lottando duramente per annacquare le regole di attuazione, di cui si prevede l’emanazione in novembre. Fra gli aspetti più controversi, se i gestori di rete saranno obbligati a pagare prezzi artificialmente più alti per l’energia da fonti rinnovabili: come accade in Germania, che è diventata leader mondiale in questo campo, dopo aver approvato questo tipo di sostegno nel 2001.

Gli ambientalisti cinesi sostengono che il demonio sta nascosto nei particolari.

”Tutto dipende da quanto sarà ambizioso il governo centrale” dice Yu, di Greenpeace. Se le decisioni sui prezzi sono lasciate nelle mani delle amministrazioni locali, aggiunge, l’attuazione può essere lasciata alle compagnie di proprietà provinciale, note come le “tigri elettriche”.

Nel quadro dello sforzo per aumentare le fonti energetiche non inquinanti, il governo sta anche iniziando il più grosso programma di costruzione di impianti nucleari dagli anni ‘70. Sono previsti ben 40 nuovi impianti nucleari nel prossimi 15 anni, che vanno ad aggiungersi ai nove esistenti, a creare una capacità di 40.000 gigawatt. Questa campagna può essere in parte sostenuta dall’amministrazione Bush: la U.S. Nuclear Regulatory Commission ha approvato una richiesta della Westinghouse Corporation di costruire quattro dei reattori, e la banca U.S. Export-Import ne ha approvato i 5 miliardi di dollari di garanzie sul prestito. Il principale concorrente della Westinghouse è un consorzio franco-tedesco.

Ma la scorsa settimana, nel pieno del crescente clima anti-cinese in Congresso, c’è stata una maggioranza di 313 voti contro 114 per bloccare il finanziamento alla Westinghouse. Le prospettive al Senato sono incerte.

Anche con l’attuale programma di espansione, il nucleare contribuirà solo per il 4% all’energia cinese nel 2020, dal 2,3% attuale. Per contro, gli impianti nucleari degli Stati Uniti forniscono il 20%, in Europa il 35%.

Ma la debolezza principale nella campagna cinese per l’efficienza energetica e la riduzione delle emissioni può essere l’incapacità del governo di mettere in pratica le proprie deliberazioni.

Per esempio, la campagna sul risparmio energetico è tranquillamente ignorata a Pechino e nelle altre principali città. Le luci in molti edifici commerciali restano accese tutta notte, e anche i complessi in corso di costruzione spesso vengono illuminati in modo brillante da cima a fondo, come fossero il palco di un festival.

In dicembre, l’Agenzia Statale per l’Ambiente ha guadagnato i titoli di prima pagina in tutto il paese per aver chiuso 32 nuovi impianti a carbone costruiti da amministrazioni locali in violazione degli standards federali sulle emissioni. Ambientalisti cinesi e stranieri hanno visto in questa mossa un segno che il paese sta finalmente prendendo sul serio le norme per l’inquinamento.

Ma queste chiusure hanno avuto pochi effetti. Semplicemente, tutti gli impianti hanno pagato multe di 200.000 yuan (circa 24.000 dollari), la cifra massima prevista dal governo federale, e hanno ricominciato a funzionare in pochi mesi: nella maggior parte dei casi senza nemmeno tentare di adeguarsi alle regole. “Abbiamo un detto: se ubbidisci alla legge, ti costerà caro; se la violi, ti costerà meno” dice Ren Haiping, ricercatore politico per l’agenzia dell’ambiente.

Sottolinea anche che i funzionari dell’agenzia fuori da Pechino erano sotto il controllo diretto dei funzionari provinciali o municipali, anziché del quartier generale centrale. “Se i nostri funzionari nelle province chiudono un impianto, per esempio, possono essere licenziati dal sindaco” dice Ren. “È molto triste. Facciamo quello che si può, ma non è molto”.

Nota: il testo originale al sito del San Francisco Chronicle (f.b.)

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