I nodi sono giunti al pettine. I due partiti fondativi della "seconda Repubblica" sono attraversati da una crisi probabilmente irreversibile, e i punti di somiglianza sembrano prendere il sopravvento sulle diversità. Non solo e non tanto per gli aspetti più superficiali ed evidenti: la crisi di entrambi è stata progressivamente scandita dal pur differente tracollo dei due padri-padroni che li hanno forgiati e dominati, assolutamente incapaci di porsi il problema del ricambio. Portati a far crollare con sé le colonne del tempio, in un cupio dissolvi che si è arrestato solo sulla soglia della dissoluzione. Erosi da quella stessa antipolitica che ne aveva costituito il discutibile punto di forza e che rivela ora per intero i suoi esiti: l´assenza di democrazia interna, le cricche elevate a sistema, lo strapotere di tesorieri-avventurieri, il familismo da Basso Impero delineano in realtà percorsi paralleli e analoghi. Danno il segnale più visibile di un´involuzione della politica e del Paese, ci costringono a fare i conti con il ventennio di questa sciagurata "seconda Repubblica" e con le sue radici. Ci obbligano, soprattutto, a misurarci con il grande vuoto che si avverte sullo sfondo. Con le sue incognite e con gli enormi problemi che pone: in modo non molto dissimile, a ben vedere, da quel che era avvenuto vent´anni fa.
Sono entrati drasticamente in crisi, infatti, due partiti cui si era rivolta una parte significativa del Paese: in essi aveva fatto confluire alcune delle sue pulsioni peggiori - dall´egoismo proprietario all´intolleranza - ma anche illusioni e paure reali, ricerca di protezione e angoscia per l´urgere dei problemi, bisogno di speranza e rimozione delle inquietudini. L´antipolitica aveva fatto da cemento potente, alimentata da antiche e diffuse inculture e da sostanziali estraneità alla democrazia. Una deriva profonda, che talora sembrò inarrestabile: e che fu poco contrastata da forme di buona politica e da proposte capaci di rispondere in modo credibile alla crisi profonda del Paese. Di costruire un´idea di futuro. È stata questa assenza a permettere il consolidarsi del centro-destra e il suo lungo interagire con le deformazioni culturali più corpose della nostra storia recente.
Ove si ripercorra la storia degli ultimi decenni non è difficile comprendere l´iniziale irrompere della Lega e il successivo trionfo di Berlusconi. Non è difficile neppure cogliere il segreto di un´alleanza che era parsa (ed era) improbabile ma si è rivelata più duratura delle rotture e delle tensioni di superficie. Convivevano in essa, a dirla in breve, sia i peggiori guasti degli anni Ottanta sia l´esasperazione per le loro conseguenze. Vi confluivano cioè egoismi individuali e di ceto, protagonismi privi di regole e valori, disprezzo per lo Stato, indifferenza ai valori collettivi: in sintesi, il prevalere del privato sul pubblico nell´economia e nella politica, nei comportamenti quotidiani e nelle relazioni sociali. E vi era al tempo stesso l´esasperata reazione di fronte agli inevitabili frutti di tutto ciò (il debito pubblico ne era e ne è un concretissimo simbolo). Questo fu il connubio che vinse nel 1994, e uno sguardo agli anni precedenti rende più agevole capire perché quella vittoria sia stata possibile. Rende più chiari, anche, i problemi che stavano sullo sfondo e che rinviano a questioni centrali. Non era certo un´invenzione, ad esempio, la "questione settentrionale", pur nel suo scomposto deflagrare: che risposte ha avuto, e come si presenta ora? Per capire poi meglio, su di un differente versante, altri e connessi nodi che abbiamo di fronte si pensi anche ad un´esperienza molto positiva dell´ultimo ventennio: il grande pregio del primo governo Prodi nel portare il Paese in Europa ma al tempo stesso la sua debolezza nel far comprendere appieno le ragioni ideali e le prospettive di una costruzione europea che imponeva nell´immediato sacrifici pesanti.
Queste questioni sono ancora tutte sul terreno e non è possibile riproporre senza molta convinzione le ricette precedenti: è necessaria un´inversione di marcia radicale e riconoscibile. Capace di ridare fiducia. A questo è chiamato in primo luogo il centrosinistra ma forse è possibile che scendano in campo su questo terreno, pur con diversità di prospettive e di accenti, energie e forze più ampie. Nella speranza, naturalmente, che l´esperienza stessa del governo Monti possa contribuire anche alla nascita di quella "destra normale" che il Paese non ha mai conosciuto e che sarebbe invece preziosa.
Vi è però una questione assolutamente preliminare e drammaticamente urgente, e la prolungata insensibilità e sordità di quel che resta del ceto politico ha effetti ogni giorno più devastanti. Lo squallore della vicenda della Lega, ad esempio, non è riducibile a tesorieri felloni o a miserabili cerchi, a parenti o affini: è l´espressione esasperata di una bancarotta della politica che trae origine dal suo complessivo degradare e dalle scelte che ha compiuto. È difficile descrivere con parole adeguate la truffa compiuta ai danni di un Paese che aveva abolito per via referendaria il finanziamento pubblico. E che ha visto invece crescere a dismisura rimborsi ai partiti concessi senza alcuna documentazione, talmente esorbitanti da autorizzare investimenti in Tanzania e truffaldine dilapidazioni private. Lo ha scritto benissimo Stefano Rodotà su questo giornale prima ancora che l´ultima vicenda deflagrasse: la politica, prima vittima di questo viluppo di corruzione e privilegi, ne è stata complice. E ora non ha più alibi.
Revisione immediata e radicale della legge sui rimborsi elettorali, norme severissime contro la corruzione, riduzione drastica dei costi della politica: come è possibile presentarsi al Paese senza aver compiuto questi passi? Come è possibile lasciar incancrenire la situazione nel momento stesso in cui alla collettività nazionale si impongono invece sacrifici pesantissimi? Il tempo è scaduto, la casa brucia da tempo: ogni ulteriore ritardo è in realtà una corsa verso il baratro.