Corriere della sera, 30 gennaio 2017
Un’incursione di forze speciali statunitensi a Yakla, regione centrale, in un rifugio di Al Qaeda si è chiusa con un bilancio serio. Un soldato americano morto e tre feriti. Un velivolo Osprey distrutto. Quattordici militanti eliminati, non meno di 16 civili uccisi, compresi 8 bambini. Forse sono di più. Tra loro ci sarebbe Nora, la figlia di 8 anni dell’imam Anwar Al Awlaki, ispiratore della jihad globale, riferimento per numerosi attentatori occidentali, anche lui fatto fuori nel 2011 da un drone. Numeri non definitivi.
La prima missione nel segno di The Donald e con il primo caduto sotto la sua amministrazione ha avuto le caratteristiche di una battaglia. Una task force, forse partita da una base in Eritrea o da una nave d’assalto anfibio, si è mossa a bordo di elicotteri e velivoli speciali Osprey. Al loro fianco i droni e gli Apaches. Testimoni hanno riferito di un primo bombardamento che ha centrato la casa di Abdul Raouf al Dahab, dirigente di al Qaeda. Quindi sono sbarcati i Navy Seal 6 che hanno aperto il fuoco sui sopravvissuti e hanno ingaggiato il combattimento con i mujaheddin.
Le fonti ufficiali parlano di un’ora di scontri, altre ricostruzioni parlano di due. Nel conflitto a fuoco alcuni commandos sono rimasti feriti. In loro soccorso è intervenuto un Osprey, ma che è rimasto danneggiato in un atterraggio duro. I soldati lo hanno allora distrutto con l’esplosivo. Quindi il reparto ha lasciato il campo portandosi via — come segnala il Comando centrale — materiale per l’intelligence utile per future missioni. Nello stesso comunicato si sottolinea che il blitz fa parte di una serie di mosse «aggressive» nello Yemen e su scala globale. La decisione di colpire al Dahab era stata presa ancora sotto Obama, ma il piano — per motivi tecnici — non era stato completato.