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Riccardo Bottazzo
l patto solidale di Lampedusa
2 Febbraio 2014
Articoli del 2014
Centinaia di attivisti da tutta Europa riscrivono la nuova Carta dei diritti del migrante, fondata sull'uomo non sulle cose.
Centinaia di attivisti da tutta Europa riscrivono la nuova Carta dei diritti del migrante, fondata sull'uomo non sulle cose. Dal cuore caldo della società un'iniziativa per affrontare un tema - quella delle nuove forme dello sfruttamento dei popoli - oggi cruciale nella guerra mondiale per il destino di noi tutti.

Il manifesto, 2 febbraio 2014

Sull’isola butta vento di libec­cio. Le onde schiu­mano alte e i tra­ghetti sono rima­sti al sicuro, attrac­cati alle ban­chine di Porto Empe­do­cle. Molti han dovuto abban­do­nare le spe­ranza di rag­giun­gere l’isola. Eppure sono in tanti, qui, gli atti­vi­sti venuti a scri­vere la Carta di Lam­pe­dusa, per dise­gnare dal basso una nuova geo­gra­fia dei diritti. Tanti che, in tutta l’isola, non hanno tro­vato una sala suf­fi­cien­te­mente capiente per con­te­nere tutti i pre­senti, e hanno dovuto così chie­dere lo spa­zio della sala con­fe­renze interna allao scalo aeroportuale.

Solo venerdì, durante la riu­nione intro­dut­tiva dei lavori, i par­te­ci­panti regi­strati erano oltre tre­cento. Que­sto primo incon­tro ha for­nito una impor­tante occa­sione di con­fronto con gli abi­tanti desi­de­rosi di rac­con­tare la vita di chi è costretto a vivere una vita in cui tutto si tra­sforma in emer­genza. L’intervento della sin­daca, Giusi Nico­lini, di cui rac­con­tiamo a lato, è stato seguito da quelli dei rap­pre­sen­tanti degli impren­di­tori e di alcune asso­cia­zioni locali.

«La gente di Lam­pe­dusa non ne può più di tutti quei poli­tici che ven­gono qui a far pas­se­rella: pro­mette mari e monti e poi se ne va, abban­do­nan­doci in un mare di pro­blemi — con­fessa Angelo Man­drac­chia, por­ta­voce degli impren­di­tori -. Il vostro approc­cio però è diverso. Non pre­ten­dete di inse­gnarci come fare acco­glienza. Non pro­met­tete niente. Cri­ti­cate que­ste poli­ti­che migra­to­rie che sca­ri­cano tutto il pro­blema sulle pic­cole comu­nità di fron­tiera. E noi di Lam­pe­dusa siamo i primi a poter dire, come dite voi e pro­prio per­ché lo abbiamo con­sta­tato sulla nostra pelle, che que­ste scia­gu­rate poli­ti­che migra­to­rie sono inu­tili, costose e scon­fitte in par­tenza. Non pos­siamo fare a meno di doman­darci ogni giorno, cosa potremmo rea­liz­zare con tutti i milioni di euro che spen­dono per mili­ta­riz­zare l’isola, se fos­sero invece inve­stiti per una vera acco­glienza e per miglio­rare le con­di­zioni di vita degli abi­tanti. Lo sa lei che basta qual­che set­ti­mana di mal­tempo per lasciarci tutti senza frutta, senza ver­dura e anche senza gas?».

La straor­di­na­ria par­te­ci­pa­zione con la quale i lam­pe­du­sani hanno accolto gli atti­vi­sti sbar­cati nella loro isola da tutta Ita­lia oltre che da tanti altri Paesi d’Europa e del Nor­da­frica, è pro­prio la prima nota da sot­to­li­neare. Le ini­ziali dif­fi­denze sono state supe­rate in tanti incon­tri nelle scuole, nella sede del Comune e, non da ultimo, ai tavo­lini dei bar e delle pastic­ce­rie. Un con­fronto utile per capire come Lam­pe­dusa stia vivendo que­sta sua alta­le­nante e schi­zo­fre­nica con­di­zione di isola caserma e di isola dell’accoglienza allo stesso tempo. Per­ché la bella Lam­pe­dusa è prima di tutto una caserma a cielo aperto e la pre­senza mili­tare in città è a dir poco asfis­siante. Le strada prin­ci­pale che attra­versa il paese, la pedo­nale via Roma, è con­ti­nua­mente attra­ver­sata in senso per­pen­di­co­lare da camio­nette e da blin­dati dei cara­bi­nieri. Sui muri, si con­tano a decine e decine i car­tel­loni con la scritta «Zona mili­tare. Vie­tato l’accesso». E poi eli­cot­teri, mili­tari in assetto da guerra, guar­die di finanza, poli­zia di fron­tiera. Impos­si­bile anche foto­gra­fare il «cimi­tero» dei relitti, quanto resta cioè dei bar­coni che tra­spor­ta­vano i pro­fu­ghi, che ha subito qual­che giorno fa un ten­ta­tivo di incen­dio da parte di ignoti. L’area è pre­si­diata da mili­tari che allon­ta­nano i curiosi. E se spie­ghi che sei un gior­na­li­sta ti rispon­dono: «Pro­prio per questo».

Ieri invece è stato il giorno della scrit­tura della Carta, ini­ziata in una sala sem­pre più stretta che non ha smesso di riem­pirsi per tutta la mat­ti­nata e che fati­cava a con­te­nere tutti. Punto su punto, sono stati discussi e redatti nella loro forma defi­ni­tiva tutti i capi­toli che costi­tui­ranno la Carta di Lam­pe­dusa e sui quali, vale la pena ricor­darlo, è stato svolto nei mesi pre­ce­denti un grande lavoro di scrit­tura col­let­tiva sul web. Una lunga e fati­cosa gior­nata di discus­sioni e di aggiu­sta­menti, tanto per chi for­niva il suo con­tri­buto alla ste­sura del docu­mento che dei tanti atti­vi­sti impe­gnati sul fronte della comu­ni­ca­zione per aggior­nare blog, siti e social net­work. Anche per­ché, le realtà pre­senti erano dav­vero tante. Ed è pro­prio que­sto il secondo punto da evi­den­ziare. La grande mobi­li­ta­zione crea­tasi attorno all’appello lan­ciato dal Pro­getto Mel­ting Pot Europa. Asso­cia­zioni, ita­liane ma anche euro­pee e nor­da­fri­cane, lai­che e cat­to­li­che, movi­menti, sin­da­cati, media indi­pen­denti, sin­goli cit­ta­dini ma anche inviati di ammi­ni­stra­zioni comu­nali , pra­ti­ca­mente l’arcipelago anti­raz­zi­sta che ruota intorno ad un Euro­me­di­ter­ra­neo dise­gnato sulle «fron­tiere» della libera circolazione.

«La ste­sura della Carta è stata un lavoro col­let­tivo ecce­zio­nale — ha con­cluso Nicola Gri­gion di Mel­ting Pot -. Il testo che è un vero e pro­prio patto tra tanti e diversi, ma allo stesso tempo una dichia­ra­zione pro­gram­ma­tica, frutto di uno forzo di con­di­vi­sione che è già di per sé un fatto poli­tico impor­tan­tis­simo. Ora ci aspet­tano mesi di lotte e cam­pa­gne da con­durre, a par­tire da quelle per la chiu­sura dei cen­tri di deten­zione. Ma anche un periodo in cui affron­tare le poli­ti­che che l’Europa ha costruito nel Medi­ter­rano. Per rove­sciarle. Una sfida che non pos­siamo per­met­terci di perdere

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