il manifesto, 6 gennaio 2016
In un paese dove l’allusivo quesito presentato da Matteo Renzi al referendum costituzionale del 4 dicembre è stato considerato legittimo, ieri l’avvocatura dello Stato (in rappresentanza del governo Gentiloni) ha definito «propositivo, manipolativo e inammissibile» il quesito referendario presentato dalla Cgil per abrogare le modifiche apportate dal Jobs Act all’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. È l’inizio della guerra contro un altro pilastro del renzismo. Mercoledì 11 gennaio ci sarà una battaglia campale davanti alla Corte Costituzionale chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità anche dei quesiti su voucher e appalti.
LA TESI È STATA ANTICIPATA da una campagna stampa trasversale iniziata poche ore dopo lo tsunami del «No» che ha spinto Renzi alle dimissioni da Palazzo Chigi. È continuata con i retroscena, simulati direttamente dalla camera di consiglio, secondo i quali alcuni giudici della Consulta giudicherebbero «propositivi» i quesiti che intendono abrogare la norma che ha inciso sull’articolo 18. Stessa musica si ascolta nella memoria dell’avvocatura dello Stato: il quesito ha «carattere surrettiziamente propositivo e manipolativo» e per questo «si palesa inammissibile – sostiene l’avvocatura dello Stato – Proponendosi di abrogare parzialmente la normativa in materia di licenziamento illegittimo, di fatto la sostituisce con un’altra disciplina assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo di riferimento; disciplina che il quesito ed il corpo elettorale non possono creare ex novo, né direttamente costruire».
LA CGIL PUNTEREBBE a estendere i vincoli al licenziamento a tutte le aziende con più di 5 dipendenti. «L’intento dei promotori del referendum – continua l’Avvocatura – è quello di produrre la tutela reale per tutti i datori di lavoro con più di 5 dipendenti che chiaramente estrae il limite dei 5 dipendenti, previsto per le sole imprese agricole, per applicarlo a tutti i datori di lavoro, a prescindere dal tipo di attività svolta». Ma «secondo costante giurisprudenza costituzionale in tema di referendum abrogativo, non sono ammesse tecniche di ritaglio dei quesiti che utilizzino il testo di una legge come serbatoio di parole cui attingere per costruire nuove disposizioni».
L’AVVOCATURA HA DATO PARERE negativo sul quesito che intende abrogare i contestatissimi voucher. «Rischia di produrre un vuoto normativo in quelle prestazioni che – per la loro limitata estensione quantitativa o temporale – non risultino riconducibili al lavoro a termine o di altre figure giuridiche contemplate dall’ordinamento vigente». L’abrogazione delle norme sugli appalti – il terzo quesito proposto dalla Cgil – condurrebbe a un’«incertezza normativa». Inoltre «una eventuale modifica della disciplina nel senso del quesito referendario, avrebbe, come ulteriore effetto, quello di incidere sulla regolamentazione delle vicende negoziali in essere al momento della modifica normativa». Letto lo spartito è prevedibile che ci sarà un fuoco di fila contro Corso Italia per bloccare o screditare un referendum che, sia pure con modalità diverse da quello del 4 dicembre, rischia di minare uno dei dogmi del liberismo giuslavorista.
LA RISPOSTA ALLA MEMORIA dell’avvocatura dello Stato è arrivata ieri pomeriggio a stretto giro. «L’ammissibilità la stabilisce la Corte costituzionale, che è autonoma e competente. Per quanto riguarda il quesito, non manipola alcunché. Non è propositivo, né manipolativo, è un quesito abrogativo: la risultante è una norma esistente» sostengono fonti della Cgil. Una risposta tecnicamente più argomentata è arrivata dall’ufficio giuridico del sindacato secondo il quale «l’ammissibilità è manifesta sul piano dello stretto diritto costituzionale. «Nessuno dei tre referendum riguarda materie che, per l’articolo 75 della Costituzione, siano esplicitamente precluse all’iniziativa referendaria» sostengono i giuristi. Questo articolo esclude la consultazione sulle leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. L’oggetto del referendum riguarda le decisioni di un governo: «i licenziamenti illegittimi, la responsabilità verso i lavoratori in caso di appalto, l’uso del lavoro accessorio tramite voucher sono materie rimesse alla decisione politica». Renzi ha infatti, deliberatamente, scelto di abrogare l’articolo 18. La politica è la materia del referendum.
PER QUESTE RAGIONI il sindacato ha proposto un’abrogazione non «totale» ma solo «parziale» della legislazione in materia di licenziamenti illegittimi «per non cagionare vuoti legislativi i quali impediscano lo svolgimento, per sé necessario, di principi e regole costituzionali». Nel merito delle illazioni sul «ritaglio» effettuato dal quesito abrogativo – che finirebbe così per diventare «propositivo» – i giuristi di Corso Italia rispondono: «Il “sì” al quesito referendario, lungi dal rendere meno limpide e nitide le disposizioni di legge sui “licenziamenti illegittimi” che ne sono l’oggetto, ne ricomporrebbe il significato unitario, restituendo la certezza del diritto».
VINTO IL REFERENDUM sul campo resterebbe una disciplina legislativa «precisa e rigorosamente unitaria» e varrebbe in tutti i casi in cui il datore di lavoro occupa più di cinque lavoratori. Il quesito abroga parzialmente il comma 8 del testo attuale dell’articolo 18 dello Statuto e allarga questa soglia anche ai lavoratori e alle imprese che operano in settori diversi da quello dell’agricoltura. Osservazioni che valgono per il quesito sugli appalti che risulta più elaborato «a causa degli sviluppi tumultuosi e contraddittori della legislazione», e anche per quello sui voucher. La loro abrogazione lascerà sul campo le norme esistenti sul lavoro a tempo determinato e stagionale e mira a eliminare l’abuso che ha reso possibile il boom incontrollato dei buoni lavoro.
FAVOREVOLE, per ragioni storiche, all’impostazione dell’Avvocatura è il presidente della commissione lavoro al Senato Maurizio Sacconi: «Il contenuto dei quesiti non è univoco e il loro esito favorevole sarebbe creativo di una disciplina del tutto nuova». Parere opposto è quello del presidente della commissione lavoro alla Camera Cesare Damiano: «Il contenuto è univoco, è già successo nel ’93 sull’elezione del Senato. Sui voucher il governo Gentiloni dovrebbe sostenere la proposta di legge firmata da 45 parlamentari Pd. Anche se non ci fossero i referendum, tutti questi problemi andrebbero affrontati perché realmente esistenti».