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Italia nostra e il PIT della Toscana
23 Luglio 2007
Toscana
L’osservazione presentata dalla Sezione regionale toscana di Italia nostra: “non si ritrova una sola prescrizione che impedisca la previsione e la realizzazione di 'schifi' " come Monticchiello

1. La politica del territorio e del paesaggio proposta dal PIT

Il PIT della Regione Toscana adottato il 4 aprile 2007 costituisce un efficace strumento di pianificazione e governo del territorio regionale secondo le competenze istituzionali oppure si tratta di un manuale di buoni consigli?

Esaminando gli elaborati e, specificatamente, la “Disciplina del Piano”, non si ritrova una sola prescrizione, una norma, un precetto, che impediscano situazioni di crisi, la previsione e la realizzazione di “ecomostri”, di “schifi” anche recentemente denunciati, alcuni riconosciuti da autorevoli esponenti della stessa Regione Toscana.

La Regione Toscana rinuncia volutamente a precise scelte, disposizioni, prescrizioni nel proprio strumento di pianificazione. La scelta politica non sembra tanto quella di demandare sostanzialmente ai soli Comuni la tutela del paesaggio, quanto quella di rinunciare alle proprie specifiche competenze di pianificazione territoriale stabilite dal quadro istituzionale e dalla legislazione e dalla normativa nazionali.

Se lo consideriamo dal punto di vista astrattamente disciplinare e accademico, il PIT si presenta, nel suo complesso (dal Quadro Conoscitivo, al Documento di Piano, alla parte normativa), assai ricco, stimolante, culturalmente aggiornato: basta scorrere gli indici ed esaminare i testi e l’articolato per rendersi conto della impostazione interdisciplinare delle argomentazioni.

Diversa è la valutazione del PIT se lo si considera dal punto di vista dell’efficacia e dell’incidenza concreta nella pianificazione e nel governo del territorio regionale, sotto il profilo della salvaguardia attiva e di un coerente sviluppo realmente (e non solo verbalmente) sostenibile.

Il PIT stabilisce che la Regione provvede alla implementazione progressiva della disciplina paesaggistica anche attraverso accordi di pianificazione con le Amministrazioni interessate e mediante la successiva acquisizione delle determinazioni dei Ministeri per i BB. CC. e dell’Ambiente.

Altro impegno quindi rispetto all’intesa di cui all’art. 143 del “Codice del paesaggio” che richiede che, in tale intesa, sia “stabilito il termine entro il quale deve essere completata l’elaborazione del piano (paesaggistico).

Così operando, la Regione Toscana testimonia di voler continuare ad operare all’interno della propria politica già avviata per dare attuazione alla Legge Galasso: quella di non procedere alla formazione di una specifica disciplina per il paesaggio. Ma così operando la Regione non soddisfa un preciso obbligo di legge.

A oltre due anni dall’entrata in vigore del “Codice Urbani” si è forse persa un’occasione per integrare organicamente lo strumento di pianificazione territoriale con il piano paesaggistico. Questa mancata integrazione pone ancora una volta problemi di efficacia rispetto ai contenuti dei due strumenti, ai tempi e ai modi di attuazione. Inoltre, nel PIT viene consolidata, anzi esaltata, la pratica toscana della collaborazione, dei patti tra Regione ed Enti Locali che si manifesta nella ricerca della convergenza verso comuni obiettivi. Anche l’interesse regionale – comprensivo di quello in materia di paesaggio – è esercitato nel quadro di questa cooperazione, limitandosi ad essere un momento della filiera delle responsabilità inter-istituzionali.

Eppure questo modello ha mostrato segni evidenti di mancata efficacia nel governare uno sviluppo sostenibile, le trasformazioni urbanistiche e territoriali; in particolare quelle che vengono ad interessare aree paesaggisticamente rilevanti quali sono quelle agricole che connotano significativamente l’identità della Toscana.

Questa carenza è implicitamente riconosciuta dal ‘Documento di Piano’, dove trattando del patrimonio collinare ( ma non solo, anche delle realtà rurali di pianura e di valle) segnala che questo patrimonio, oggi, è a forte rischio di erosione in quanto assistiamo ad una pervicace e diffusa aggressione di questi territori da parte della rendita immobiliare che agisce indifferente ai luoghi alterando così le caratteristiche strutturali dei luoghi stessi.

A questa corretta analisi non corrisponde però nel PIT l’individuazione di scelte conseguenti che abbiano efficacia nella riduzione del rischio. Sostanzialmente ci si limita a fornire buoni consigli, ad esortare l’adozione di linee di intervento più attente alle specificità dei luoghi….e ad auspicare che, dove necessario, gli strumenti di governo del territorio (e cioè Piani Strutturali e Regolamenti Urbanistici comunali e, per quanto di competenza, i PTC provinciali) ridefiniscano, in coerenza con l’indirizzo regionale, le proprie acquisite opzioni pianificatorie. In questo auspicio c’è il rischio, reale, che il nuovo PIT si riveli del tutto ininfluente a modificare al meglio – sia nelle quantità che nelle localizzazioni – le previsioni contenute negli strumenti di governo del territorio vigenti e in quelli futuri. Non solo, ma questa ininfluenza si può manifestare anche sulla formazione dei Regolamenti Urbanistici comunali da definirsi in attuazione di Piani Strutturali vigenti e sulle molteplici varianti ad essi.

Esaminando il “Documento di Piano” si riscontra una concezione del territorio e del paesaggio molto letteraria e poco “materiale”, una sorta di lunga premessa a quello che avrebbe potuto essere il Piano, premessa comunque caratterizzata da un taglio sostanzialmente economicistico, quasi espressione di una volontà di modernismo a tutti i costi.

Con la “rappresentazione del patrimonio comune”, con le “agenzie statutarie”, con lo “statuto del territorio toscano”, con una “agenda programmatica”, con le “scelte di indirizzo, condizioni, strumenti e procedure, metaobiettivi”, in sostanza con un insieme formalmente articolato, elegante, di buoni consigli….. riteniamo non sia possibile governare efficacemente il territorio, né a livello regionale, né a livello provinciale, né a livello comunale. Il governo viene lasciato sostanzialmente alla “capacità politica” dei politici amministratori ai vari livelli istituzionali. E’ immaginabile la forza che potranno avere i “buoni consigli” di fronte al potere economico grande e piccolo: dai grandi gruppi economici ai piccoli speculatori immobiliari locali?

Nel PIT non si riscontrano, anzi si rifiutano nettamente, le definizioni di quantità, di localizzazione, di perimetrazione, definite sprezzantemente “zonizzazioni” e sostituite da “sistemi territoriali funzionali”. Il concetto di “sistema territoriale funzionale” ben esprime la complessità dei diversi ambiti, ma la pianificazione e il governo del territorio rischiano di diventare concetti evanescenti di fronte alla pressione dei poteri più o meno forti. “Innovazione, sussidiarietà e autonomie locali, patto fra i diversi livelli di governo, governance”, costituiscono anch’essi concetti e lessico che percorrono tutto il documento nelle diverse fasi di messa a punto dello stesso fino all’adozione.

Perfino la definizione di “obiettivi del piano” sembra essere troppo “vincolante”, pertanto vengono indicati “metaobiettivi” con l’evidente scopo di proporre un piano non rigido, duttile, elastico, che non “ingessi” il territorio, per usare un’espressione cara ai settori economico-politici che aborrono i “lacci e lacciuoli” di una politica di programmazionepianificazione.

Dove va a finire quel “senso del limite” giustamente affermato e conclamato?

Lo spettro dell’ “urbanistica contrattata” degli anni ’80 non appare certamente rielaborato e superato: gli si fornisce solamente un quadro meno brutale e più elegante. Rispetto poi alle misure di salvaguardia che dovrebbero scattare all’approvazione del PIT, consideriamo che, nella definizione dei regolamenti urbanistici in attuazione dei piani strutturali vigenti, è facoltativa l’applicazione delle disposizioni contenute nel PIT e comunque è lasciata alla singola Amministrazione comunale la verifica della congruità delle proprie previsioni alle prescrizioni del PIT.

Le correzioni accolte e apportate al testo originario in sede di Commissione Consigliare (in particolare quella sulle tipologie insediative collinari e quella sulla rivisitazione dei piani attuativi non "in opera") sono sicuramente migliorative dello strumento, ma solo in alcune sue parti e non non ne intaccano l'impianto del tutto carente di contenuti precettivi. Non è rispondente al vero sostenere che il problema degli "ecomostri" è conseguenza solo delle normative previgenti alle innovazioni apportate dalle leggi Urbanistiche regionali N° 5/1995 e N° 1/2005. Non è così, gli "ecomostri" sono nati e stanno nascendo anche a seguito di queste normative.

Nella normativa del PIT emerge una concezione che vede il territorio e il paesaggio essenzialmente come fattori costitutivi del sistema economico: il territorio inteso come patrimonio ambientale, paesaggistico e culturale è presente, ma sembra essere quasi un corollario del sistema economico.

E le aree economicamente deboli e in cui scarsa è l’attività edilizia sono trascurate dal documento regionale: si consideri che nella struttura del territorio toscano non è compresa la montagna che presenta proprie peculiarità sociali, territoriali e paesaggistiche e pertanto non può essere semplicisticamente ricondotta all’interno della schematica dizione del lemma di “universo rurale della Toscana”. Si consideri il significativo ruolo che hanno le Alpi Apuane, la Dorsale Appenninica e l’Amiata nel connotare l’identità toscana e che in questo contesto sono localizzati due Parchi nazionali (Appennino Tosco-Emiliano e delle Foreste Casentinesi) e uno regionale (Alpi Apuane).

La “moderna Toscana rurale” che costituisce il corpo del paesaggio e dell’ambiente toscano sembra essere un mero complemento delle “città della toscana”. Le “invarianti strutturali” sono indicate e descritte in una elencazione e catalogazione che ne evidenzia tanto la complessità quanto il rifiuto di scelte definite, con la conseguente difficoltà di gestione concreta e vincolante da parte della pubblica amministrazione.

Un esempio: fra le invarianti strutturali rientrano anche i siti UNESCO e le ANPIL. Il “caso Monticchiello” e le decine di altre “villettopoli” ed “ecomostri” che sono diventati concreti anche se sorgevano in territori indicati come invarianti strutturali. Se poi si considera che il territorio attorno al centro storico di Monticchiello, e tanti altri, è anche collinare ..... e le colline sono anch’esse indicate nel PIT come “’invarianti strutturali”, allora qualcosa non torna in tutta questa catena di riconoscimenti di valore, di tutela e di presunti controlli.

Altro esempio: le risorse del territorio rurale come possono essere definite anch’esse fra le “invarianti strutturali” a fronte delle devastazioni del territorio rurale maremmano da Grosseto a Civitavecchia che sarebbero prodotte dall’autostrada tirrenica tutta in variante rispetto alla Statale Aurelia, voluta dalla Regione Toscana? E, sempre rispetto allo stesso esempio, se la realizzazione di nuove infrastrutture è consentita quando le alternative di utilizzo o riorganizzazione non siano sufficienti e previa valutazione integrata degli effetti, dove sono la valutazione integrata e l’analisi costi-benefici applicate ai progetti presentati a partire dal 2000: il progetto ANAS di messa in sicurezza dell’Aurelia raffrontato a quello autostradale proposto dalla SAT?

Anche l’art. 36, tanto evidenziato in quanto efficace e innovativo, si limita a riformulare quanto già previsto dalla legislazione nazionale e dalla giurisprudenza, vale a dire che i diritti acquisiti da parte dei privati operatori in termini di edificabilità sono riferibili unicamente alle concessioni edilizie rilasciate e alle convenzioni già stipulate in attuazione di piani attuativi.

Si rileva che nel PIT non si riscontrano né azioni, né efficaci disposizioni, né l’individuazione di strumenti e/o di procedimenti finalizzati a contrastare – al di là delle eleganti affermazioni – la crescita edilizia diffusa e dispersa nei mille rivoli che portano alla rozza occupazione di significativi paesaggi toscani.

Un ulteriore problema di fondo già sottolineato dalla nostra Associazione: la sostanziale carenza normativa di qualunque criterio di dimensionamento dei piani comunali, già evidenziata rispetto alla LR 1/2005, permette di fatto la redazione di piani sovradimensionati con l’evidente conseguenza di “cattiva urbanistica”. Questo in particolare si manifesta per quegli ambiti dove il fenomeno della diffusione urbana e della dispersione insediativa si manifesta con maggiore intensità: nel sistema policentrico della Toscana (Firenze-Prato-Pistoia-Lucca e Firenze-Empoli-Pontedera-Pisa) e nel sistema della costa nelle sue diverse articolazioni. Manca una chiara, precisa ed esplicita scelta che persegua la conservazione attiva e l’accrescimento delle dotazioni ambientali proprie di questi vasti territori. Si ritiene invece che la disciplina del PIT debba contenere una precisa ed efficace disposizione – che produca effetti anche in regime di salvaguardia – che esplicitamente richieda, per questi territori, l’individuazione delle discontinuità di valenza territoriale e di quelle insediative e una disciplina volta al loro mantenimento al fine di garantire la qualità ambientale dei contesti considerati.

2. Osservazioni e richieste di ordine generale

A seguito di quanto sopra premesso, osserviamo e richiediamo:

- che la normativa regionale in materia paesaggistica e del territorio e in particolare la L.R. 1/2005 (assieme alla strumentazione conseguente e in particolare la L.R. 26/2006) sia integralmente e legittimamente adeguata a quanto prescrive il Codice del Beni Culturali e del Paesaggio (D. lgs. 42/2004 e succ. modifiche) sia per quanto concerne la sub-delega ai Comuni che l’aspetto particolare della composizione delle Commissioni di Programmazione e quelle di Controllo

- che la scelta regionale di inserire il Piano Paesaggistico all’interno dello strumento del PIT non debba avvenire a scapito della cogenza, dell’efficacia e della dettagliata normazione della tutela paesaggistica perché, come ha ribadito la Corte Costituzionale nella sentenza sopra citata “il paesaggio va rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali”

- che il PIT manca tuttora dei contenuti e, soprattutto, delle efficacie che il “Codice dei beni culturali e del paesaggio” richiede alla disciplina paesaggistica regionale comunque questa venga denominata; pertanto la disciplina paesaggistica del PIT al momento adottata potrebbe correttamente configurarsi come documento contenente le ‘linee guida’ regionali per poi procedere alla elaborazione del piano paesaggistico (comunque lo si voglia denominare) attraverso le collaborazioni e le intese di cui all’art. 143, comma 3, del Dlgs 42/2004. Ma questo dovrebbe essere esplicitato con chiarezza negli elaborati

- che il PIT deve contenere una precisa disposizione che con chiarezza garantisca la conservazione attiva e l’accrescimento delle dotazioni ambientali del sistema policentrico della Toscana centrale e del sistema della costa anche attraverso il mantenimento delle discontinuità territoriali ed insediative presenti in questi contesti

- che il PIT deve contenere reali misure di salvaguardia attraverso prescrizioni aventi diretta efficacia oltre che per la realizzazione di interventi puntuali anche sulla formazione sia degli strumenti urbanistici attuativi che dei Regolamenti Urbanistici da definirsi in attuazione di Piani Strutturali adottati precedentemente all’entrata in vigore della nuova disciplina. L’accertamento comunale della verifica di coerenza con le direttive e le prescrizioni del PIT dovrebbe essere equiparato, in regime di salvaguardia, agli atti urbanistici e come tale da sottoporre a pubblicazione e poter essere oggetto di osservazioni

- che nel PIT manca la montagna quale elemento fondante e strutturale del territorio e del paesaggio toscano

- si ritiene inoltre che quanto contenuto nella pur complessa articolazione del PIT (sia per quello che concerne il Documento di Piano, il variegato Quadro Conoscitivo e soprattutto la Disciplina di Piano) ci sembra ben lontano dai caratteri di una precisa normativa quale quella prescritta dal Codice

- ribadiamo che la tutela paesaggistica non può essere gestita unicamente alla scala comunale, e che scempi come quelli, emblematici, in realtà sparsi in tutto il territorio regionale, sono il frutto di autorizzazioni comunali e delle Soprintendenze locali e che se vogliamo evitare per il futuro questi pessimi risultati è indispensabile e urgente una precisa e sovraordinata assunzione di responsabilità alla scala regionale

- in ogni caso è auspicabile che le disposizioni del PIT, soprattutto relativamente alle normative di merito che si vorranno rendere prescrittive, siano estremamente approfondite e integrate in materia di tutela del paesaggio in tempi certi e ragionevoli anche in attuazione dell’accordo preliminare con il Ministero per i beni e le attività culturali, al fine di giungere ad una normativa concordata con il Ministero stesso.

Il documento di Italia nostra prosegue con un nutrito elenco di proposte di modifica e integrazione al piano adottato. Si veda in allegato il testo integrale in formato .pdf

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