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Marisa Tommaso; Ranieri Panetta Cerno
Italia in rovina
25 Dicembre 2010
Beni culturali
La situazione al collasso del nostro patrimonio soprattutto archeologico, mentre Bondi protesta per la mozione di sfiducia nei suoi confronti... Da L’Espresso, 29 dicembre 2010 (m.p.g.)

Non serve andarci, a Pompei. Quei crolli si ripetono ovunque. Il dramma della Casa dei Gladiatori si diffonde come un virus da Nord a Sud. In Sicilia pensano al noleggio di tute e bombole per lanciare la visita subacquea della colonia di Kamarina. Dopo 2.600 anni sulle terre emerse, ora se la sta mangiando il Mediterraneo. E nessuno sembra capace di fermarlo. Avanti così, secondo gli archeologi, fra pochi anni non ne resterà traccia. Come laggiù, nel resto d'Italia ogni giorno c'è una crepa che si apre, un monumento che cede, un marmo che si crepa. La colpa è solita: decenni di sperperi, incuria, soldi buttati, scarsa manutenzione. L'ultimo allarme in ordine di tempo viene da Pisa, dove il museo delle navi antiche, 30 imbarcazioni del Terzo secolo avanti Cristo riemerse dalle piene dell'Arno 12 anni fa, dopo l'inaugurazione in pompa magna con passerella di politici, è abbandonato a se stesso. Ma i casi sono decine.

Talmente tanti che non esiste nemmeno un dossier aggiornato, né una commissione parlamentare che vigili. Mentre la mozione di sfiducia che sarà discussa in Parlamento dopo le feste di Natale fa infuriare il ministro Sandro Bondi, che parla di aggressione politica e mediatica, resta il fatto che al dicastero dei Beni culturali perdono il conto dei disastri. Non sanno bene quanti e quali siano i siti a rischio: dalle mura romane corrose dalle piogge acide alle pericolanti Torri di Bologna, viviamo in una macabra lotteria nazionale. La prossima volta potrebbe toccare all'anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere nel casertano come alla Cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze. Potrebbe essere la cinta muraria di Aurelio a crollare sotto i colpi del traffico romano, come invece il Colosseo a cedere di nuovo, oppure il tempio greco di Selinunte.

Quello che è certo è che le falle che si aprono negli scavi archeologici sono troppe per i conti in rosso del ministero. "Non si deve intervenire con una grande guerra, ma con una lotta continua, un'azione perseverante come nelle battaglie anti-terrorismo, altrimenti finisce tutto sottoterra", spiega Andrea Carandini, presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali. Eppure solo quest'anno è stato tagliato più di un miliardo e mezzo da un budget insufficiente da almeno un decennio. Il personale è metà di quel che servirebbe. E poi chi va in pensione non viene sostituito: "Serve un commissario", replica il governo ogni volta che un crollo riporta l'attenzione sul più grande dramma silenzioso del Paese: l'eutanasia di Stato per scavi e rovine.

CROLLI A NORD

A Roselle si poteva passeggiare attorno alle mura etrusche. Enormi pietre incastonate a secco sei secoli prima di Cristo. Tre chilometri di storia sopravvissuta a guerre e saccheggi. Da lì si guardava la collina, il bosco verde scuro, addirittura la sagoma della Corsica che spuntava dal mare così come la vedevano sei secoli prima di Cristo. Adesso un'impalcatura sbarra la strada e la visuale. Se appoggi la mano alla pietra gelata senti l'acqua che le scorre nelle venature. Buchi e crepe di tre, anche cinque centimetri la fanno tremare. Le piante l'hanno infilzata con le radici legnose e, da dentro, rischiano di abbattere il muro che si oppose per secoli a eserciti e predatori. Tre chilometri di cinta che potrebbero cadere come un domino. Da quando la parete principale, lunga un centinaio di metri, è stata dichiarata pericolante. Un allarme corale, che parte dai responsabili della soprintendenza toscana, Fulvia Lo Schiavo e Carlotta Cianferoni per arrivare al sindaco di Grosseto, Emilio Bonifazi. Che dopo i crolli di Pompei ci pensa ogni notte. Inutile dire che anche qui basterebbero i soldi. Un piano di interventi metterebbe in salvo quel patrimonio dell'umanità. E invece fra ritardi, tagli e blocco delle assunzioni, chi lavora a Roselle si sente abbandonato a se stesso. Lo dicono i custodi che, dopo i crolli, non hanno visto nessuno venire da Roma. Lo ripete la gente cui non resta che sperare che "la mobilitazione per Pompei faccia ricordare a qualcuno che esistiamo anche noi".

Nel cuore di Bologna, poi, è ormai straziante il lamento della Garisenda. È la più bassa delle due Torri ed è in pericolo come la sorella maggiore degli Asinelli. Lo ha detto il sismologo Enzo Boschi. Lo ha ripetuto Legambiente. Lo ammettono pure al ministero. Ma soldi non se ne vedono. A Firenze la musica è la stessa. Il segretario della Uil Beni culturali, Gianfranco Cesaroli, lo ripete da mesi. La cupola di Santa Maria in Fiore è monitorata costantemente. L'ex convento di Sant'Orsola è abbandonato da anni. E dove l'acqua non fa paura, ci pensa invece il cemento. A Canossa l'antico insediamento gallo-romano sta per essere schiacciato da decine di condomini. È dagli anni Novanta che a Reggio Emilia si vive di emergenza. Quella spianata è stata resa edificabile ormai vent'anni fa, ma finora Legambiente era sempre riuscira a impedire che dalle parole si passasse ai fatti. Anni di pace, con gli scavi che continuavano e le aree archeologiche aperte agli alunni delle scuole. Un sogno nell'Italia che va in pezzi, destinato a diventare un incubo. E così il consiglio comunale ha adottato la variante al piano regolatore. Una delibera che trasforma un parcheggio a ridosso dell'area di Luceria in palazzine di cemento armato. Con il dubbio che fra i proprietari dell'area possano spuntare, ripetono gli abitanti di Canossa, pure i nomi di un paio di politici locali.

PERICOLO CAPITALE

Roberto Cecchi è il commissario delegato per le aree archeologiche di Roma e Ostia. Significa metà dei monumenti italiani o giù di lì. Dopo uno screening accurato, ha varato 65 interventi urgenti nell'area di Roma. E tra i tanti pericoli è ancora il Palatino a correre i rischi più gravi. Il piano di interventi c'è. E per quanto possano le tasche della Soprintendenza, è pure partito. Per il colle dei Cesari sono 15 gli interventi in corso. Una spesa di 9,6 milioni di euro e ne restano altri due da impegnare. Molte situazioni pericolose sono state sanate, sono stati aperti nuovi percorsi, scoperti luoghi sacri e affreschi mai svelati. Ma non basta mai. Resta la grande emergenza della Domus Tiberiana, il palazzo imperiale modificato nei secoli, chiuso al pubblico da trent'anni e ormai imprigionato nella rete metallica delle impalcature. Lesioni, crepe, dissesti strutturali (in profondità si scorge un metro di vuoto fra le murature) stanno impegnando a pieno ritmo architetti, ingegneri, geologi, archeologi: una situazione di instabilità, legata alla stessa conformazione del colle, che è aggravata dalla presenza di gallerie sotterranee e cavità (ora allo studio con nuovi strumenti di indagine) dove si accumulano le piogge. "L'acqua è un nemico pericoloso in un terreno sfruttato nei millenni", sottolinea Maria Grazia Filetici, architetto della Soprintendenza: "Si devono quindi evitare sia accumuli che smaltimenti errati, ripristinando, dov'è possibile, le condutture antiche".

L'acqua è anche il nemico, anzi il killer, della Domus Aurea sul colle Oppio. Il soffitto è un prato e, quando piove, l'acqua non assorbita cade all'interno. L'ultimo allarme è stato il crollo di alcuni mesi fa, che fortunatamente non riguardava le sale affrescate. L'ennesimo. Dopo che il padiglione era già chiuso da quattro anni. Certo i tecnici della Soprintendenza sono al lavoro. Ma il problema è che i soldi non bastano: "Con i cinque milioni dei primi due lotti", spiega il commissario Luciano Marchetti, "stiamo provvedendo sia a mettere in sicurezza che a impermiabilizzare questa zona, la prima a riaprire entro due anni, di più non possiamo fare. Per completare i lavori necessari occorrono ben altri investimenti, almeno 15 milioni di euro".

È la stessa storia del Colosseo. Quando, a poco più di un mese dal crollo nella Domus, una malta della struttura originaria si stacca da un ambulacro centrale e crolla al suolo. Un crollo che è anche il simbolo del fallimento del ministro Bondi, che avendo il budget prosciugato, ha aperto la caccia agli sponsor privati. Servono 25 milioni per tentare un recupero definitivo del più famoso monumento del mondo.

SPROFONDO SUD

In Sicilia è da dieci anni che esiste la "Carta del rischio dei beni culturali". È una specie di cartella clinica che traccia lo stato di salute di monumenti, siti archeologici e musei. La paga Bruxelles scucendo 4 milioni di euro. Eppure degli oltre 10 mila beni censiti, soltanto un quarto a distanza di nove anni dall'avvio del monitoraggio ha una scheda specifica. Dati parziali, ma già allarmanti. Quei documenti raccontano una Sicilia che cade letteralmente a pezzi. Tanto le aree considerate più a rischio, cioè le provincie di Palermo, Catania e Messina. Quanto Caltanissetta e Enna, ufficialmente immuni dal degrado, ma protagoniste dei peggiori crolli degli ultimi anni. Basti pensare che proprio in provincia di Caltanissetta, a metà novembre, è caduto il portale dell'antico santuario di Maria d'Alemanno, una chiesa del Tredicesimo secolo realizzata dall'Ordine dei cavalieri teutonici. Il santuario di Gela attende il restauro dal 1985, quando lo stato di conservazione era già considerato a rischio di cedimenti. Eppure rimasta senza soldi.

Anche dove i fondi alla fine arrivano, spesso restano sulla carta. Da sette anni, ormai, la villa romana del Casale di Piazza Armerina è un cantiere a cielo aperto. Dal 1997 la Villa è inserita nella World Heritage List dell'Unesco. Per salvare i cento milioni di tessere dei mosaici, disposti su un'area di oltre 4 mila metri quadri della dimora patrizia, sono piovuti oltre 18 milioni di euro dall'Unione europea e dalla Regione Sicilia. Quattrini assegnati già nel gennaio del 2003 al consorzio stabile Beni culturali di Firenze. Ma basta passarci per capire che i lavori sono ancora in alto mare, nonostante all'impresa toscana fossero stati concessi due anni per completare il ripristino. Dopo tre anni spesi a litigare per le nomine dei tecnici, con da un lato Vittorio Sgarbi nel ruolo di Alto commissario per la Villa e dall'altro gli uffici del Sovrintendente di Enna, il progetto di restauro viene finalmente approvato dalla Commissione regionale. Ma alla fine del 2006 arriva l'ennesimo stop, con la Regione che sospende l'affidamento: due delle cinque imprese non avevano i requisiti tecnici necessari. Poi i lavori partono, ma non finiscono mai. Tanto che da metà novembre Piazza Armerina è di nuovo chiusa. E la nuova data per la consegna è slittata alla primavera 2011. Stesso copione anche per il tempio di Selinunte. Dal 2007 si parla di lavori di ripristino, ora l'accesso al pubblico è limitato per evitare che i calcinacci del cemento, utilizzato per il restauro di mezzo secolo fa, vengano giù sulla testa dei turisti. È il parco archeologico più grande d'Europa e continua a sbriciolarsi con i visitatori costretti alle acrobazie tra pedane di ferro e tubi di alluminio.

A Cagliari i giganti di Is Concias sono umiliati. Prima i vandali passavano indisturbati nel nurago, adesso sono addirittura i turisti a smontarlo pietra dopo pietra. Per allestire, su quei massi antichi, i loro moderni barbecue. Le associazioni sarde da mesi denunciano lo scempio, ma la risposta del Comune è la solita: stiamo aspettando i soldi.

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