«manifesto, 20 ottobre 2013
È stato un risultato inaspettato e incontestabile. I movimenti per il diritto all'abitare, i No Tav e i No Muos, quello dei migranti e dei rifugiati che chiedono l'abolizione della legge Bossi-Fini, i sindacati di base (Usb e Cobas), le reti antagoniste dei movimenti sociali, e anche quelle degli altri centri sociali, entrambe presenti in forze ieri a Roma al corteo della «sollevazione generale», hanno superato una prova complicata, gestendo in maniera dura ma in fondo limitato un «assedio» alla Cassa Depositi e Prestiti e ai ministeri dell'Economia e delle Infrastrutture che poteva trasformarsi in un'ecatombe politica e in una mattanza di giovani, famiglie occupanti e migranti. Questo può essere un primo passo verso una politica contro l'austerità, che ha chiare basi sociali e mette al centro la richiesta del blocco degli sfratti per morosità, la riforma del Welfare e la richiesta di un reddito minimo. Potrebbe essere questo un primo, serio, tentativo per superare lo choc provocato dalla sconfitta politica del 15 ottobre 2011 che hanno fatto implodere il movimento, mentre negli Stati Uniti nasceva Occupy Wall Street, in Spagna si affermavano gli indignados e in Italia ci si è rinfacciati il risentimento e le responsabilità.
Settantamila persone, forse anche di più, hanno partecipato al corteo della «sollevazione generale», parola che ha acquisito un nuovo significato. Erano in molti fino a ieri mattina, alla partenza di un corteo possente, allegro, cosmopolita a temere scontri all'ultimo sangue con le forze dell'ordine. In serata, all'arrivo a Porta Pia, la «sollevazione» è stata intesa come «sollievo», ma anche come una presa di parola estranea al desiderio mimetico che tiene in ostaggio i movimenti italiani rispetto a quanto si muove all'estero. Da oggi, forse, si potrà cambiare registro, e non dire che bisogna fare come negli Stati Uniti o come in Spagna «perché in Italia non può succedere niente».
I segnali di un nuovo, tremendo fallimento, c'erano tutti, a cominciare da una campagna mediatica criminalizzante, ricavata da veline di questura o da «rapporti dell'intelligence» che sin dal mattino, dal sito dell'Huffington Post ad esempio, preannunciava l'incredibile, surreale, uso da parte dei manifestanti inevitabilmente «violenti» di «macchine idropulitrici» contro gli agenti in servizio. La scena che invece si è presentata a piazza San Giovanni è stata quella di una marea umana di almeno 15 mila persone in testa al corteo, quelle che vivono nelle sessanta occupazioni di palazzi pubblici abbandonati, residence e hotel al centro come nelle periferie della Capitale. Uno spettacolo di umanità commovente, orgogliosa, che accusa l'ipocrisia delle larghe intese con il cartello di alcuni migranti ripreso sui social network: «Scusate se non siamo affogati» a Lampedusa. Rivendica con gli eritrei, i somali, i maghrebini, i peruviani, gli africani, i rom la riscrittura di tutti i trattati europei sull'immigrazione, il cosiddetto «Dublino 2», dell'efferata Bossi-Fini e della sua genealogia securitaria che risale alla precedente legge Turco-Napolitano. Chiede il blocco degli sfratti, un piano casa per affrontare in maniera sistematica una tragedia della crisi: gli sfratti e i pignoramenti. E, infine, di cancellare le «grandi opere», a partire dall'odiata Tav Torino-Lione, di rinunciare ai «grandi eventi» sui quali viene costruita l'economia nazionale (dalla più visibile Expo 2015 a Milano alle mega-manifestazioni sportive o culturali), redistribuendo risorse in base a criteri di giustizia sociale.
Strappato il velo della disinformazione, il corteo della «sollevazione» ha assunto il profilo più netto di una società, tendenzialmente maggioritaria nel sentire comune, che inizia a riconoscersi a partire dalla vita negata, da un mutuo che non può essere pagato a causa della perdita di un lavoro o di una precarietà che non lascia tregua con poche centinaia di euro al mese, quando va bene. Una «sollevazione» che non ha alcuna rappresentanza in parlamento, sia essa «grillina», «legalitaria», «anti-berlusconiana» e nemmeno di «sinistra». Questa è la nuova questione sociale che, a cinque anni dall'inizio della crisi, sta provando a darsi una rappresentanza autonoma.
Ci sono state due «sanzioni». La prima, la più dura, all'ingresso del Tesoro in via Quintino Sella dove a più riprese il cordone composto da quattro camionette della Finanza è stato bersagliato da petardi, bottiglie, sassi a cui è stato risposto con una carica di allegerimento da parte dei Carabinieri. La seconda è stata contro il consolato tedesco in via San Martino della Battaglia. I manifestanti le hanno intese come azioni contro le politiche dell'austerità che producono, in Italia come in Germania, la schiavitù dei contratti a termine o dei «mini-job».