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Enrico Franceschini
Invasione dell’Iraq: inutile e disastrosa
7 Luglio 2016
2015-La guerra diffusa
«Il rapporto Chilcot, nei suoi dodici volumi, non è soltanto un atto d’accusa sul piano politico e morale, ma l’analisi sul come si è giunti al conflitto medio orientale di oggi. Bush jr e l’amico Blair hanno ignorato la Storia», Articoli di Bernardo Valli ed Enrico Franceschini,

«Il rapporto Chilcot, nei suoi dodici volumi, non è soltanto un atto d’accusa sul piano politico e morale, ma l’analisi sul come si è giunti al conflitto medio orientale di oggi. Bush jr e l’amico Blair hanno ignorato la Storia», Articoli di Bernardo Valli ed Enrico Franceschini,

La Repubblica, 7 luglio 2016


IL RAPPORTO CONTRO BLAIR
“LA GUERRA A SADDAM NON ERA NECESSARIA”
di Enrico Franceschini

Pubblicata l’inchiesta sull’intervento britannico. I familiari delle vittime: “Un criminale da perseguire”

«Una lezione su come non andare in guerra». È la conclusione del rapporto Chilcot sull’invasione dell’Iraq: un atto di accusa senza precedenti contro l’allora primo ministro Tony Blair. «La guerra non era necessaria», afferma sir John Chilcot, il presidente della commissione d’inchiesta, riassumendo un’indagine di 13 volumi, durata 7 anni e costata 10 milioni di sterline. «Non c’era un’imminente minaccia da parte di Saddam Hussein», l’intervento militare «non era l’ultima opzione» perché c’era ancora spazio per azioni diplomatiche, l’esistenza di armi di distruzione di massa in Iraq (poi si scoprì che non ce n’erano) fu presentata come una certezza «in maniera ingiustificabile», non è chiaro perché il Procuratore Generale cambiò idea all’ultimo momento giudicando la guerra legale, ed i preparativi, l’occupazione, l’intelligence furono altamente inadeguati.

Il rapporto non dimostra bugie o imbrogli da parte di Blair, ma è un grave colpo alla sua reputazione politica. La frase «starò con voi in qualunque caso», trovata in una email al presidente americano Bush, «dovrebbe diventare il suo epitaffio », commenta il Guardian.

Fuori dal palazzo di Westminster dove viene diffuso il rapporto, dimostranti chiedono che l’ex-premier venga messo sotto processo; e i familiari dei soldati uccisi si «riservano il diritto» di portarlo in tribunale. «È lui il terrorista peggiore di tutti», dice la madre di uno dei 200 soldati inglesi morti in Iraq. «Mi scuso a nome del mio partito per la disastrosa decisione di entrare in guerra », dichiara alla camera dei Comuni il leader laburista Jeremy Corbyn. Ma il primo ministro dimissionario Cameron osserva che dal rapporto non emerge la volontà di Blair di ingannare il paese. Cameron ha annunciato che la prossima settimana il Parlamento dedicherà due giorni a discutere il rapporto Chilcot, le sue conseguenze, e le sue lezioni.

“HO FATTO LA COSA GIUSTA”

di Enrico Franceschini

Ha gli occhi lucidi e a tratti gli trema la voce. Eppure, in una sala del palazzo dell’Ammiragliato, di fronte alla piazza che porta il nome della battaglia di Trafalgar, Tony Blair si difende come un imputato convinto di essere innocente e di avere ragione. «Accetto la mia responsabilità per gli errori descritti dal rapporto Chilcot, ma prenderei di nuovo la decisione di invadere l’Iraq », dice l’ex-premier laburista a un gruppo di giornalisti. «Se impariamo le lezioni giuste, la prossima generazione vedrà l’alba della pace nel luogo dove tutto è cominciato e dove tutto deve finire: il Medio Oriente».

Signor Blair, riuscirebbe a guardare negli occhi i familiari di un soldato britannico ucciso in Iraq e giurare di non avere ingannato il paese per entrare in guerra?
«Riuscirei a dirlo ai familiari dei soldati e a chiunque altro: non ho ingannato il mio paese, ho preso questa decisione in buona fede e sono ancora convinto che fosse la decisione giusta».

Quando ha scritto a Bush che sarebbe stato con l’America “in qualunque caso”, era un assegno in bianco per l’intervento militare?
«Non lo vedo come un assegno in bianco, tanto più che poi ho persuaso il presidente a ottenere una risoluzione dell’Onu prima dell’intervento».

Cosa intendeva con le parole “in qualunque caso”?
«Qualunque difficoltà politica fosse emersa, ma l’intervento si doveva fare nel modo giusto».

Accetta il fatto che le famiglie dei soldati uccisi in Iraq vorrebbero vederla punita?
«Sta a loro decidere cosa fare».

Come risponde all’accusa del rapporto secondo cui la guerra ha aumentato il rischio di terrorismo per Londra?
«Saremmo stati attaccati comunque. I terroristi attaccano la Francia, il Belgio. Le radici di questo terrorismo sono molto più profonde della guerra in Iraq».

Perché non avete protetto i vostri soldati con mezzi e armi più adeguati?
«Non abbiamo mai detto di no a nessuna richiesta».

Il leader laburista Corbyn l’ha accusata di avere ingannato il parlamento.
«Non ho ingannato il parlamento ».

Allora di quali accuse contenute nel rapporto si sente responsabile?
«Avremmo dovuto pianificare meglio il dopo guerra. Avrei potuto condividere certi documenti, come il parere sulla legalità della guerra, con tutto il governo. E avrei potuto interagire in modo diverso con gli Stati Uniti».

Il rapporto la accusa di avere sovra estimato la sua capacità di influire su Bush.
«L’ho convinto a tentare la strada della risoluzione dell’Onu, contro il parere del vicepresidente americano e dei suoi ministri ».

Ma perché ci teneva tanto all’alleanza con Bush, un leader di cui pochi si fidavano?
«Perché dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 ho ritenuto che fossimo davanti a una nuova minaccia e che per affrontarla non si potesse lasciare sola l’America».

Molti iracheni rimpiangono il tempo di Saddam, cosa direbbe loro?
«Direi che l’Iraq oggi ha una chance e sotto Saddam non ce l’aveva. Fate il confronto con la Siria: due paesi vicini, in preda alla guerra, ma a Bagdad c’è un governo eletto democraticamente che si batte contro il terrorismo, a Damasco c’è un dittatore che collabora con i terroristi».

Si sente più sollevato o più angosciato davanti al rapporto?
«L’angoscia per la mia decisione controversa resterà dentro di me finché vivo, ma spero che questo rapporto metta la parola fine alle teorie di cospirazioni, menzogne ed inganni. La gente può criticarmi, ma dovrebbe riconoscere che ho agito in buona fede per quello che ritenevo fosse l’interesse del paese».


COSÌ LA MISSIONE IN IRAQ
HA SCONVOLTO IL MEDIO ORIENTE
E RAFFORZATO IL TERRORISMO
di Bernardo Valli
CI SONO voluti 7 anni, 12 volumi, più di 2 milioni e mezzo di parole, quante ne ha scritte Tolstoj in Guerra e Pace (ha calcolato il New York Times), per stabilire, infine, che l’invasione dell’Iraq voluta da Bush Jr, con Tony Blair al suo fianco, era non solo inutile, ma anche disastrosa. La titanica fatica della commissione presieduta, a Londra, da John Chilcot ha condotto a una verità già nota dal 2003, quando cominciò il conflitto.
Aveva tuttavia bisogno di una conferma solenne. La quale assomiglia a una sentenza, benché non preveda alcun processo per “crimine di guerra” a carico dell’inquisito Blair, come chiedevano ieri i manifestanti londinesi. La commissione Chilcot non aveva poteri giudiziari. E del resto Blair ebbe l’autorizzazione del Parlamento, sia pur strappata con quella che si può chiamare una menzogna. La questione delle responsabilità penali è affiorata sempre ieri per iniziativa dei familiari dei morti. Che furono duecento britannici (di cui centosettantanove militari), quattromila cinquecento americani e più di 140mila iracheni. Limitando il bilancio alla prima fase della guerra.

Ai Comuni, dove non è stato tenero con il suo predecessore alla testa del Labour, Jeremy Corbyn ha chiesto scusa a nome del suo partito per «l’aggressione militare basata su un falso pretesto». E ha parlato di «violazione della legge internazionale», da parte di un primo ministro laburista, quel era all’epoca Blair. Il rapporto Chilcot equivale a una condanna politica e morale per quanto riguarda l’inquisito britannico, e in modo indiretto la stessa condanna vale anche per George W. Bush. Del quale, si disse allora che l’obbediente Tony Blair fosse il “barboncino”.

Il risultato della commissione britannica non arriva con tredici anni di ritardo rispetto alla guerra del 2003. Il conflitto è ancora in corso. La mischia nella valle del Tigri e dell’Eufrate ne è la conseguenza. Il detonatore di quel che accade oggi, terrorismo compreso, è stata l’invasione di allora. La situazione era pronta per un’esplosione. È vero. La guerra nell’Afghanistan, occupato dai sovietici, aveva rafforzato il jihadismo di Al Qaeda, irrobustitosi con il decisivo aiuto americano. Nella guerra fredda l’Islam servì agli Stati Uniti come arma contro l’Urss. E il lungo conflitto, durante quasi tutto il decennio degli ottanta, tra l’Iraq di Saddam Hussein, a forte governo sunnita, e l’Iran sciita di Khomeini, aveva risvegliato la tenzone tra le due grandi correnti dell’Islam adesso in aperto confronto.

Nonostante gli avvertimenti insistenti di esperti e diplomatici, la coppia Bush-Blair si è inoltrata nel Medio Oriente incandescente dichiarando di volervi portare la democrazia e al tempo stesso annientare le armi di distruzione di massa, non meglio precisate se chimiche o nucleari, ma delle quali non c’era prova. E che comunque si rivelarono immaginarie. Noi cronisti, a Bagdad, la prima notte dei bombardamenti, indossammo le tute e le maschere che avrebbero dovuto proteggerci dall’iprite e da non so quale altro veleno. Dopo qualche ora ci liberammo di tutto, accorgendoci che tra i tanti pericoli che ci attendevano non c’erano quelli propagandati dagli invasori in arrivo. L’uso dei gas nella sterminata e popolata Bagdad sarebbe equivalso a un auto-olocausto.

La commissione di inchiesta accusa Blair, e di riflesso Bush jr, di non avere approfittato di tutte le opzioni pacifiche a disposizione per arrivare a un disarmo concordato. È un appunto di rilievo perché Blair rivendica il fatto di avere comunque contribuito ad abbattere un dittatore feroce qual era Saddam Hussein. Gli inquirenti, in sostanza, sostengono che restasse uno spazio per trattare con il rais di Bagdad, considerato tra l’altro, quando era in guerra con l’Iran, un alleato obiettivo.
L’irresponsabilità più grave denunciata da John Chilcot è quella dimostrata nella prima fase del dopo guerra, quando gli occidentali Bush e Blair proclamano anzi tempo la vittoria. L’ignoranza è sottolineata più volte. Il saccheggio delle città da parte della popolazione, sia a Bagdad dove c’erano gli americani, sia a Bassora dove c’erano i britannici, toglie ogni fiducia negli invasori stranieri. I quali risultano incapaci di garantire la sicurezza.

L’esercito nazionale viene sciolto, ma non disarmato. Il partito Baath, funzionante da Stato, è subito disperso e i suoi dirigenti imprigionati e privati dei loro beni. Giusta punizione ma il paese resta senza un’amministrazione. I militari sunniti si danno alla macchia con ufficiali e cannoni, presto raggiunti dai jihadisti provenienti da tutti i paesi arabi. I saddamisti laici si alleano con i salafiti. Gli americani e gli inglesi hanno offerto un campo di battaglia su cui affrontarli. Le milizie sciite, emerse dopo una lunga sottomissione alla minoranza sunnita, sfidano spesso gli occupanti. Che non considerano liberatori perché hanno cacciato il dittatore che li opprimeva, ma invasori. L’impatto dell’intervento occidentale sgretola i fragili confini disegnati sulle rovine dell’impero ottomano alla fine della Grande Guerra. Nel 1918. I paesi del Medio Oriente si decompongono. Prima l’Iraq poi la Siria. Nel frattempo le primavere arabe mettono in crisi i regimi dei rais che funzionavano da gendarmi. L’intervento americano con l’appoggio britannico spezza gli equilibri regionali. Il rapporto Chilcot, nei suoi dodici volumi, non è soltanto un atto d’accusa sul piano politico e morale, ma l’analisi sul come si è giunti al conflitto medio orientale di oggi. Bush jr e l’amico Blair hanno ignorato la Storia.

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