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Benedetto Vecchi
Internet colpita dalla crisi
24 Gennaio 2009
Capitalismo oggi
Analisi dell’alleanza fra industrie della rete e ideologia neoliberista: il cyberspazio ad una svolta. Da il manifesto , 24 gennaio 2009 (m.p.g.)

Ipotesi a cui seguono congetture, gole profonde che sfornano scenari apocalittici, mentre la borsa procede il suo andamento caotico al ribasso, ma alla fine è certo: la Microsoft "metterà in libertà" una parte consistente dei suoi dipendenti. L'unica incertezza è sul numero dei licenziati. C'è chi parla di "aggiustamento strutturale"; chi si limita a sottolineare, con cinica amarezza, che all'annuncio di ieri sui cinquemila licenziamenti da qui a Luglio ne seguiranno altri, perché la società di Bill Gates vuole disfarsi degli "esuberi" in vista di una ristrutturazione interna per reggere al ciclone della recessione. Indipendentemente dai motivi che stanno portano la Microsoft a una riduzione drastica di forza-lavoro qualificata, è certo che si sta chiudendo un'epoca, quella che ha portato l'high-tech a essere il settore portante dell'economia mondiale negli anni Novanta.

Alcuni analisti finanziari dicono che nel quartier generale di Redmond i dirigenti di Microsoft stanno pensando di rinnovare a Yahoo! la proposta di acquisto; altri guru dell'hi-tech invitano invece a guardare con realismo alla crisi economica, di cui gli effetti attuali sono solo il prodromo di ben altri scosse che cambieranno radicalmente il panorama dell'industria informatica. Nel frattempo, i grani del rosario di dolore hanno come nomi Google, Ibm, Dell, Hewlett Packard, Intel, Cisco: imprese leader del settore che hanno tutte annunciato licenziamenti. Finora, gli esuberi sono individuati fuori dai confini statunitensi, quasi a scarica fuori dagli Stati Uniti gli effetti della crisi, ma non è detto che nel futuro sarà sempre così.

I guerrieri del software

Dunque fine di un lungo periodo, quello che ha visto il neoliberismo andare a braccetto con l'industria high-tech. Un legame certo burrascoso, ma che ha comuqnue caratterizzato la cosiddetta "rivoluzione del silicio". In primo luogo, perché la critica antigerarchica presente nella sottocultura tecnologica è stata piegata al una flessibile organizzazione capitalistica del lavoro; dall'altro l'insofferenza verso l'intervento statale nell'economia, perché sinonimo di burocrazia e negazione della creatività necessaria a sviluppare prodotti hardware e software innovativi. Società come Microsoft, Cisco, Intel hanno infatti organizzato la produzione prendendo congedo da quella separazione tra ideazione e esecuzione, cioè da uno degli imperativi dell'organizzazione scientifica del lavoro che hanno contraddistinto l'operato delle grandi imprese novecentesche. Ora, la forza-lavoro deve ideare e al tempo stesso trovare le procedure per rendere esecutivo ciò che è stato progettato in brain storming che coinvolgono gran parte della forza-lavoro. La crisi irreversibile della Ibm in quanto produttore di computer e di software alla metà degli anni Ottanta del Novecento è esemplificativa di quel cambio di paradigma nell'organizzare la produzione nel settore hig-tech.

La critica antigerarchica dei pionieri dell'industria high-tech è quindi diventata un senso comune anche alla Microsoft, che formalmente era ed è organizzata come un "impresa tradizionale". Ne I guerrieri del software - volume pubblicato in Italia da Utet e che è diventato una sorta di cult nella ricostruzione della genesi della "rivoluzione al silicio" - il suo autore Pascal Zachary si sofferma a lungo sulle aporie tra l'organizzazione del lavoro formale e quella effettiva in Microsoft, per giungere alla conclusione che una impresa che si vuole innovativa deve necessariamente ridurre al minimo i livelli gerarchici. Le lancette della storia dovevano scorrere un po' di anni per apprendere che alla Microsoft non tutto era rose e fiori.

È toccato a uno scrittore come Douglas Coupland descrivere la fuga dei Microservi (Feltrinelli) dal regno panoptico di Bill Gates, mentre alcuni giornalisti e attivisti sindacali documentavano negli stessi anni, come ad esempio nel libro sui Netslaves (Fazi), che a Redmond il controllo sulla forza-lavoro veniva esercitato attraverso l'accesso alle stock option (la possibilità cioè di acquistare azioni della società a prezzi facilitati), stringendo in un abbraccio mortale i dipendenti ai successi dell'impresa; oppure che c'era una sottile, ma feroce linea divisoria tra chi lavora alla Microsoft. Da una parte ci sono infatti i temps, cioè programmatori, analisti con un contratto a tempo determinato che non accedono alle stock options né ai fondi pensione e che non hanno copertura sanitaria nonostante siedano accanto e svolgano lo stesso lavoro dei perms, cioè quella forza-lavoro che è pagata profumatamente, ha il proprio fondo pensione e l'assicurazione sanitaria.

L'assenza di rigide gerarchie, l'invito alla creatività e all'innovazione sono diventate una forte spinta affinché il neoliberismo si potesse affermare quale modello dominante nella produzione della ricchezza. È solo con la crisi del 2001 e il fallimento di molte imprese dot.com che il neoliberismo mostra come fosse "strumentale" la sua attitudine libertaria. Per sopravvivere alla crisi del 2001, molte imprese hi-tech cominciano a sviluppare "tecnologie della sicurezza" che prevedono una limitazione nella libertà d'azione della forza-lavoro in nome appunto della sicurezza e della segretezza per prevenire l'azione dei "terroristi".

Il neoliberismo mostra così il suo lato autoritario, teso a esercitare il controllo sulla forza-lavoro e a regolamentare la produzione e circolazione della conoscenza, che in questo settore è indiscussa materia prima. La definizione, a livello sovranazionale, dei Trips (i trattati relativi al commercio della proprietà intellettuale del Wto), così come le continue revisioni delle norme nazionali sul diritto d'autore e sui brevetti hanno sempre un duplice obiettivo. L'appropriazione privata della conoscenza è il primo, mentre l'uso della proprietà intellettuale per disciplinare i comportamenti nel World wide Web e della forza-lavoro è sicuramente il secondo.

Nel saggio scritto nel pieno della crisi delle imprese dot-com, Manuel Castells mette a fuoco i cambiamenti che stanno modificando La Galassia Internet (Feltrinelli), inviduando nelle eterogenee "culture" presenti nel World wide web un antidoto all'autoritarismo del capitalismo. Ciò che però lo studioso di origine catalana sottovaluta è il fatto che l'high-tech è diventato il settore trainante del capitalismo contemporaneo. I microprocessori e il software sono presenti nei frigoriferi come nelle televisioni, nei lettori dvd come negli aeroplani, nelle automobili come nei telefoni cellulari. L'innovazione è il mantra che tutti recitano. Ma innovazione vuol dire che gli equilibri, i rapporti di forza tra le imprese e tra queste e la forza-lavoro sono instabili. Microsoft rischia così di diventare una comparsa su Internet quando fanno l'irruzione sulla scena altre società, come Google. E quando la convergenza tecnologica tra informatica, telecomunicazioni e televisione diviene realtà il panorama comincia freneticamente a movimentarsi di nuovo.

La società di Redmond reagisce, forte anche del flusso di cassa garantito dalla sua egemonia nei sistemi operativi, ma è in affanno. La parola d'ordine nella rete è social networking, ma Microsoft non ha mai amato la condivisione della cononoscenza. E perde quindi colpi su Internet, dove la cooperazione e relazioni sociali che lì sono considerati la fonte dell'innovazione, nonché "bacino" per accurate strategie di marketing per chi vende le sue merci. Su tutto ciò Microsoft è solo una comparsa. Quando i subprimes fanno implodere l'accurata strategia del credito al consumo "affinata" nel corso del tempo, anche la locomotiva dell'high-tech perde colpi. E la strategia del plunder, il "saccheggio" delle risorse fisiche e intellettuali tipico del neoliberismo sembra giunto su un binario morto, come ha più volte ricordato su queste pagine Ugo Mattei.

Produttori alla pari

L'attuale recessione ha certamente messo in secondo piano i nodi irrisolti di Internet. Silenti sono gli studiosi che parlavano di wikinomics (pessimo neolinguismo derivanta dall'unione tra il termine wikipedia e economics) e di peer to peer production (la produzione alla pari tanto amata dai libertari della rete). Solo Yochai Benkler, autore dell'importante saggio su La ricchezza della rete (Università Bocconi editore), continua a sostenere che estendendo fuori lo schermo l'organizzazione produttiva nata nel web il capitalismo può uscire da questa crisi. Ma al di là del fatto che quella organizzazione produttiva, quella messa al lavoro della cooperazione e delle relazioni sociali è già dominante al di fuori dello schermo, aiutando a comprendere meglio tanto i comportamenti della forza-lavoro che delle imprese, resta il fatto che le notizie che vengono dall'high-tech appiano come un bollettino di guerra, dove le perdite significano licenziamenti, ristrutturazioni industriali. In altri termini distruzione di intelligenza collettiva, quasi una masochistica rinuncia alla fonte dell'innovazione. Nel frattempo, Google annuncia la cacciata di esuberi per razionalizzare le spese; Intel "mette in libertà" centinaia di tecnici. L'informato Wall Street Journal sostiene che Microsoft, oltre ai cinuquemila licenziamenti, ne dovrà fare altri diecimila, indipendentemente dalle scelte imprenditoriali che vorrà fare per mantenere la posizione.

La crisi è sempre un periodo di trasformazione. E forse ciò che stiamo assistendo è l'avvio di quella "distruzione creativa" che il capitalismo usa per innovarsi e per riprendere il controllo su una situazione ingovernabile. La distruzione di intelligenza collettiva a cui stiamo assistendo è forse il prezzo da pagare affinché la necessaria discontinuità rispetto al passato coincida con la continuità del capitalismo stesso.

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