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Paolo Boccacci
Insolera e Benevolo "Troppi re del mattone e poca architettura"
9 Maggio 2008
Roma
Continua il dibattito sullo scandalo romano, relegato dai grandi giornali nelle pagine di cronaca. La Repubblica, Roma, 9 maggio 2008

Urbanistica romana, dopo la bufera è l’ora degli schieramenti. Ma è proprio vero che le centralità, i nuovi quartieri-città che si stanno alzando nelle periferie, sono state per lo più disegnate su ettari d’oro dei grandi costruttori? «Si potrebbe rispondere di sì» risponde Italo Insolera, il padre della storia dell’urbanistica romana. «Perché è quello che si vede. Ma non mi soffermerei a parlare solo di questo. Il problema è la struttura del piano regolatore. E a questo proposito è uscito un libro interessante dell’economista Franco Archibugi, che ora insegna in Inghilterra e che sostiene che in una metropoli moderna le centralità possono essere una, al massimo due. Lo Sdo, il famoso sistema direzionale orientale, era una vera alternativa al centro. Mentre otto o più centralità sono una balla. Non esistono in nessuna città del mondo».

E la mancanza di servizi o per lo meno il fatto che nascano prima le case e poi le infrastrutture? «Non è vero» continua Insolera «che si tratti di un vizio, per così dire, romano di sempre. Perfino l’Ina Casa, nel periodo più duro della ricostruzione, ovvero dopo la fine della guerra, si preoccupava di fornire in modo pronto i servizi dei quartieri che costruiva. Noi, allora giovani architetti, progettavamo insieme case e servizi con i finanziamenti del Piano Fanfani. Magari subito subito non c’erano, ma dopo un mese, i nuovi abitanti avevano tutto a disposizione. Non solo, c’era qualità architettonica, che ora, è opinione comune, nelle case dei nuovi quartieri non si vede. Gregotti si è impegnato per il piano di Acilia Madonnetta, ma, a parte lui, avete mai visto le abitazioni di qualcuno di questi quartieri periferici finire sulle riviste di architettura?».

Un altro urbanista di fama, Leonardo Benevolo, parla dal suo studio vicino Brescia. «Finora ho soltanto sentito critiche giornalistiche. Lo studio di un Piano è un’altra cosa. Ma quello di Roma è una canovaccio che sottolinea i temi da sviluppare, un’idea interessante, dopo il prg del ‘62 che ha scatenato l’abusivismo. Forse si è abusato di accordi di programma estranei al Piano stesso. Ma la questione centrale è un’altra. L’ente pubblico non si può limitare a dare autorizzazioni a costruire, altrimenti perde il controllo del territorio. Deve scendere in campo, come viene fatto in tutta Europa, con società miste con i privati, deve comprare le aree, urbanizzarle, scegliere i progetti e poi rivenderle. È un circolo virtuoso, che darebbe all’amministrazione il compito di disegnare veramente, da un punto di vista urbanistico e architettonico, la nuova metropoli».

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