il manifesto, 2 luglio 2017 (c.m.c.)
Le tante bandiere di Articolo 1 e quelle dei Verdi sventolano, i palloncini arancioni volano in aria. Giuliano Pisapia ha appena terminato il suo intervento dal palco romano di piazza Santi Apostoli sotto la sede che fu dell’Ulivo, e Iseiottavi, la Rino Gaetano Tribute band alla quale viene affidata la colonna sonora del pomeriggio, attacca Il cielo è sempre più blu. È solo l’ultimo rewind, quello che chiude poco prima delle otto di sera «Insieme», il lancio di una «casa comune inclusiva e innovativa», promette l’ex sindaco di Milano.
«Nascerà una casa più grande e più bella… Dipende da voi, da tutti noi, la costruzione di una casa in cui non saremo più da soli». Lo aveva detto Piero Fassino, su quelle stesse note di Rino Gaetano, dieci anni fa, chiudendo a Firenze il congresso che congedava i Ds per dare l’avvio al Pd. «Da oggi parte la casa comune per una nuova sinistra, un nuovo centrosinistra. Una casa comune che guarda al futuro e guarda al passato. Non una fusione a freddo, ma una fusione a caldo», insiste ora Pisapia congedando la piazza del 1 luglio per dare un nuovo appuntamento a «Insieme» a settembre, quando «sceglieremo il nuovo nome, insieme» anche per i nuovi gruppi parlamentari.
Il futuro e il passato da non buttare tutti alle ortiche, come chiede Pier Luigi Bersani che, intervenendo prima di Pisapia, rivendica gli anni ’90 perché allora «abbiamo vinto ovunque, dall’Europa agli Stati uniti, proponendo una globalizzazione dal volto umano. Economia di mercato sì, società di mercato no, come diceva Jospin». Ma «discontinuità radicale» con le politiche degli ultimissimi anni, chiede l’ex segretario del Pd e ripete l’ex sindaco, il primo con un duro attacco a Matteo Renzi e al renzismo (applauditissimo, del resto la piazza è appunto dominata dalle bandiere di Mdp che Gad Lerner invita a sventolare con moderazione), il secondo senza citare mai Renzi (forse anche per questo applaudito con meno fragore) ma elencando i temi sui quali marcare la discontinuità.
E chiarendo anche che «in tempi non sospetti avevo detto di considerare un errore l’abolizione dell’articolo 18», scandisce Pisapia «l’anti-leader» (lo definisce il «presentatore» Lerner), a segnare in questo modo una distanza netta dall’attuale segretario del Partito democratico che da Milano aveva attaccato a testa bassa una piazza messa insieme dalla «nostalgia di un passato che non è mai esistito». Non a caso è attento, Pisapia, a cercare di allontanare quella sensazione di «nostalgia» parlando ripetutamente di futuro, della necessità di unire «indipendentemente dalle bandiere e dalle storie». Del resto all’inizio della manifestazione il colpo d’occhio della piazza parla molto del centrosinistra che fu, passeggiano – più o meno coinvolti nella «nuova casa» – diversi ex ministri dei governi di Romano Prodi e di Massimo D’Alema, da Livia Turco a Barbara Pollastrini a Giovanni Maria Flick a Antonio Bassolino con seguito di fan… E applausi anche per Massimo D’Alema, al suo arrivo nella folla. Passeggia poi Gavino Angius, che fu capogruppo dei Ds. Ma ci sono anche Bobo Craxi che ascolta seduto sulla sua bicicletta e si rivedono pure ex dc non esattamente «ulivisti» o «unionisti» come Angelo Sanza, arrivato nel Centro democratico di Bruno Tabacci dopo essere passato per Forza Italia e per l’Udc.
Il rischio revival è nell’aria. Anche se l’atteso messaggio-benedizione di Prodi non arriva. E pure quello fusione a freddo, come appunto evidenzia Pisapia seppure dicendo che «Insieme» non ripeterà l’errore che riporta a quel congresso di Firenze e al Rino Gaetano di dieci anni fa. La scommessa è questa, la piazza è piena solo perché il palco è stato montato in posizione strategica per evitare vuoti, e dal palco e ai camion delle tv resta una fetta piuttosto limitata. Certo è il primo luglio, è un sabato e venerdì a Roma era anche festa e Pisapia dice «ci davano dei matti, ma ce l’abbiamo fatta», salutando «la bellissima piazza». Non c’è il messaggio di Prodi ma ci sono i pontieri del Pd. Gianni Cuperlo, Cesare Damiano e il ministro della giustizia Andrea Orlando ascoltano attentamente da dietro il palco dove si è sistemato un gruppetto di bersaniani. Il ministro in realtà cerca di spostarsi altrove, «siamo la delegazione straniera», scherza, ma sotto il palco è difficile arrivare. C’è il presidente della regione lazio Nicola Zingaretti e ascolta in posizione un po’ arretrata il franceschiniano David Sassoli. Selva di telecamere per la presidente della camera Laura Boldrini
Sul palco si susseguono le «storie» vere – come le chiama Pisapia, raccontate da Stefania Cavallo del centro antiviolenza di Tor Bella Monaca, Elvira Ricotta della rete italiani senza cittadinanza, Alessio Gallotta che parla della vertenza Amazon… Poco prima della fine della manifestazione è l’attore Claudio Amendola (tocco di romanità da coniugare con la milanesità dell’anti-leader) a parlare esplicitamente del rapporto con i dem, di una «forza che dovrà essere la sentinella del Pd». Dal PD renziano la piazza è molto lontana. Ci sono anche i giornalisti dell’Unità «rottamata dal Pd». «Ci rivolgiamo al popolo del centrosinistra, disilluso, deluso, che sta a casa e ha ascolta il comizio di Renzi e sente che le parole gli scivolando addosso, come l’acqua sul marmo», dice ancora Bersani tra gli applausi. Perché «noi abbiamo un pensiero, se ne prenda atto. Ma voi del Pd che pensiero avete? Ora si sono liberati di D’Alema e il pensiero ce lo darà Bonifazi… Basta voucher, basta licenziamenti collettivi e disciplinari, basta stage che diventano lavori in nero, basta bonus, basta meno tasse per tutti come dice Berlusconi. E basta arroganza, il mondo non gira attorno alla Leopolda».
«Senza i più poveri, gli esclusi, questo Paese non cresce. Lo sciopero del voto ci spinge a ridare dignità al lavoro, solo così ripartirà lo sviluppo. Non si crea sviluppo pensionando i diritti», dice ancora Pisapia citando Rodotà e chiedendo la legge per lo ius soli. «Siamo partiti col piede giusto per costruire un nuovo progetto politico, ora si tratta di allargarlo. Stiamo andando verso le elezioni. Se questa forza avrà forza allora dopo il voto riapriremo il confronto» con il Pd. In piazza c’è la delegazione di Sinistra Italiana (De Petris, Marcon, Fassina…), c’è Pippo Civati. I «civici» del Brancaccio non ci sono. Quanto la casa sarà grande e comune è tutto ancora da vedere .