L’ultimo, bellissimo articolo ("L’immondizia nel paese che si è rotto") era uscito il 20 gennaio scorso. Ieri Pasquale Coppola è morto, improvvisamente dopo una lunga e tormentata malattia. Scrittore brillante e analista tra i più anziani e acuti tra quelli la cui firma ricorre spesso su queste pagine, non ha bisogno di presentazioni. Aveva il gusto innato, anzi la passione, per la comunicazione a mezzo stampa; passione che non aveva trasformato in vero e proprio mestiere a tempo pieno, ma aveva saputo trasmettere alla amatissima figlia Alessandra, redattrice degli esteri de "Il Corriere della Sera".
Pasquale Coppola era soprattutto, come sanno generazioni di studenti toccati dalla sua didattica chiara e coinvolgente, un professore universitario e aveva piena consapevolezza della responsabilità delle sue funzioni. Le esercitava come magistero a tempo pieno dividendosi tra la cura per l’insegnamento e la paterna attenzione profusa nei confronti di una moltitudine di allievi che ha continuato caparbiamente a tirar su anche quando il far scuola era diventato ormai incompatibile con lo stato delle risorse della nostra università.
Geografo sensibile e aggiornato, era stato allievo di Domenico Rocco ed era entrato a insegnare, giovanissimo, all’Università "L’Orientale". Vi era giunto in tempo per partecipare, all’inizio degli anni Settanta, alla trasformazione di questa istituzione in un ateneo multifacoltà, proteso a superarsi e reinventarsi al di là di un’antica e specialistica connotazione filologico letteraria. Aperto allo studio di una geografia umana profondamente influenzata dal magistero di Lucio Gambi, Coppola fu tra i fondatori della facoltà di Scienze politiche e tra i fautori di uno studio interdisciplinare che seppe animare con ricerche e iniziative scientifiche di livello internazionale. Attento da sempre alla "questione Mezzogiorno" ha dedicato a questo tema numerosi studi concentrandosi in particolare sul significato delle nuove morfologie produttive della Basilicata. Ma la sua attenzione si è anche rivolta ad altri temi che scaturivano dall’infittirsi di un quadro di relazioni scientifiche internazionali che gravitava in larga parte sul mondo francofono a cui era particolarmente legato. Uno studio sul Marocco e vari contributi sull’area mediterranea mettono bene il luce questo settore della sua attività che si conclude, poco prima della sua scomparsa, con una ricerca condotta con alcuni allievi e dedicata agli insediamenti dell’immigrazione straniera in Campania. Sono tutte testimonianze di un percorso scientifico e culturale solido e apprezzato ai livelli più alti della comunità scientifica, ma che rendono solo parzialmente conto della ricchezza della sua personalità.
Pasquale Coppola mostrava di possedere naturalmente un forte senso di appartenenza a un’istituzione, l’Università considerata come depositaria di valori e di pratiche civili essenziali per il funzionamento e la sopravvivenza della società democratica costruita sulle rovine della guerra. Di questa visione, schernita e impoverita dai cattivi costumi accademici e dalle disgreganti omissioni delle classi politiche nazionali si sentiva, senza alcuna ingenuità, depositario e rigido difensore. Un indiano della riserva o un dinosauro, nella affettuosa espressione di qualche giovane allievo. Sicuramente una persona che ci mancherà molto e di cui cercheremo di continuare a seguire l’esempio.