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Maaza Mengiste
In Italia il razzismo fa parte della cultura nazionale
17 Settembre 2013
Italiani brava gente
Altro che mito degli italiani brava gente: basta guardare alla nostra storia coloniale, e alle cronache più recenti come le aggressioni al ministro Kyenge, per scoprire l'ovvio e immaginabile, radicato pregiudizio, anche nelle mancate reazioni politiche.
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The Guardian, 10 settembre 2013 (f.b.)

Titolo originale: Italy's racism is embedded – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

Settimana scorsa a Roma poco prima della visita del ministro Cécile Kyenge, prima esponente di pelle nera a occupare questa carica, sono stati trovati davanti all'edificio pubblico dei manichini spruzzati di finto sangue. E sparpagliati dei volantini che dicevano: “L'immigrazione è genocidio dei popoli, Kyenge dimettiti!”. Si tratta solo dell'ultimo di una serie di sconvolgenti attacchi e minacce da quando la Kyenge è entrata in carica a aprile. L'ha paragonata a un orango un ex ministro; l'ha accostata a una prostituta un vicesindaco; le hanno scagliato addosso delle banane mentre teneva un discorso.

Con la sua nomina non solo ha gettato luce sui problemi del paese con la tolleranza razziale, ma si è anche cominciato a capire quanto sia stereotipato il concetto di italiano caro e gentile, affettuoso e sorridente, capace soltanto di cercare le migliori cose. Un popolo in fondo più mediterraneo che europeo, magari un po' disorganizzato, ma sempre pronto ad accogliere tutti a braccia aperte, mai a insultare o minacciare. Un'idea riassunta dal modo di dire “italiani brava gente” [in italiano nel testo n.d.t.]. Questa è l'idea che mi ha condotta in Italia a preparare il mio libro. Perché contrastava con l'esperienza di mio nonno, della sua generazione che aveva combattuto contro l'invasione fascista dell'Etiopia, subendo poi cinque anni di occupazione italiana. Una contraddizione che mi ha portata a Roma, dove ho abitato per parecchio tempo, e dove ho fatto ricerche negli archivi dell'era coloniale.

Benito Mussolini e il suo partito fascista hanno governato dal 1922 al 1943, periodo nel quale l'Italia ha costruito il suo impero allargandosi dalla Libia, Eritrea e Somalia. Nel 1935 viene invasa l'Etiopia. Quel popolo subisce in modo devastante e contemporaneo un assalto dall'aria e da terra. Vengono usati i gas, i campi di concentramento, i massacri. Tattiche che l'Italia aveva già usato il Libia, nel corso di una brutale guerra durata trent'anni, ed eufemisticamente definita “campagna di pacificazione”.

I resoconti dalla guerra di Etiopia erano regolarmente censurati, e gli articoli enfatizzavano invece la missione civilizzatrice del paese. Il linguaggio dei pezzi è accuratamente scelto per per convincere gli italiani non solo del loro diritto ad occupare quel territorio, ma delle ottime intenzioni del gesto. Si sottolineano le realizzazioni di infrastrutture, senza dire che quelle strade, ponti, linee telefoniche, servono a migliorare le comunicazioni tra le forze militari, e costano anche vite umane per la costruzione. Certo il tentativo dell'Italia di mascherare gli aspetti sanguinari delle proprie ambizioni imperiali non è diverso da quello delle altre potenze coloniali, ma la cosa che colpisce è la quasi assenza di queste cose dai libri di storia e dal dibattito nazionale. Solo nel 1996 – 60 dopo gli eventi – il ministero della difesa italiano ammetterà che sono stati usati i gas.

La Germania ha avuto il Processo di Norimberga, il Sud Africa la sua Commissione per la Riconciliazione, ma in Italia manca del tutto quel tipo di bilancio post-bellico che obbliga a far luce sugli aspetti più gravi, e iniziare il difficile percorso di riconciliazione. Questi momenti di riflessione collettiva ci hanno dimostrato come affrontare fatti dolorosi possa contribuire a costruire una memoria condivisa, fissare un ethos, sviluppare un dialogo. Unire quelli che avevano il potere di colpire, e quanti hanno quello di perdonare. Attraverso questo tipo di linguaggio un paese si trasforma, costruisce identità nazionale. Dal momento dell'unificazione nel 1861, l'obiettivo dell'Italia è stato di forgiare unità a partire da gruppi straordinariamente diversi e spesso in conflitto. C'è una frase molto nota, attribuita allo statista Massimo d'Azeglio, che recita: “Abbiamo fatto l'Italia. Adesso dobbiamo fare gli italiani”. Qualunque carattere collettivo deriva da una consapevole e attenta costruzione. E storicamente questa costruzione comprende la pelle bianca. Quanto la presenza della Kyenge mette in discussione.

L'Italia, che le piaccia o meno, sta subendo una trasformazione. Nuovi italiani di prima e seconda generazione, e italiani da sempre, la stanno innescando: lottano contro leggi discriminatorie, e lottano non solo per una maggiore consapevolezza del passato, ma anche per le potenzialità del futuro. C'è speranza, ma molta strada da fare. Ricordo di una cena a Roma insieme a degli amici e colleghi. L'occasione festosa fu guastata da un commento urlato a proposito del colore della mia pelle, condito da allusioni sessuali. Gli amici attorno a me erano esterrefatti. Mi guardai attorno, e c'era un anziano che mi faceva l'occhiolino. Alle mie proteste rispose con una risata e sollevando le mani. E immediatamente tornò alla sua conversazione, ignorandomi.

Se non si fosse fatto caso a quel che aveva detto, la scena poteva sembrare quella di un piccolo equivoco da parte di un simpatico signore, e una reazione un po' esagerata. Insomma un altro italiano bonaccione, uno della “brava gente”. Certo gli attacchi alla Kyenge sono molto più violenti: difficile vederci l'italiano gioviale. Ma il mito resiste, finché non si interviene in qualche modo contro i politici e i gruppi che ne sono responsabili. Ci deve essere una riflessione nazionale che coinvolga tutti. Ascoltato dell'ultimo insulto alla Kyenge, ho sentito un'amica italiana di origine somala per chiederle cosa ne pensa. “Questo è il mio paese – mi ha risposto – e lavoriamo per cambiarlo. Ora più che mai l'Italia ha bisogno di persone come me”.

Riferimenti
Nell'archivio di eddyburg un'intera cartella raccoglie scritti su "italiani brava gente". In particolare vi raccomando gli scritti di Nello Aiello, Angelo Del Boca e moltissimi altri che scoprirete sfogliando le pagine dei sommari di quella cartella.

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