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Francesco Merlo
In corteo con i ragazzi in lotta aspettando l´assalto dei casseur
10 Febbraio 2007
Articoli del 2006
La rabbia dei precari da sempre, contro quella dei precari di domani. La Repubblica, 5 aprile 2006 (m.p.g.)

ARRIVANO quando scende la sera e il corteo dei settecentomila si sta lentamente sciogliendo. Tutti hanno paura di questi predatori di banlieue, di queste "squadracce pasoliniane" che sono la sola drammatica novità dell´ennesimo sessantotto francese, e non certo perché spaccano, come in passato, le vetrine, e perché attaccano la polizia.

Ma perché adesso piombano sui cortei come gli uccellacci sugli uccellini, derubano gli studenti, scippano loro i telefonini, sfilano ai ragazzi persino le scarpe. Tutti aspettano i casseurs come si aspetta il terremoto, perché questa è la loro natura: quando non ci sono, incombono; e quando ci sono, depredano i manifestanti come i pirati depredavano i galeoni spagnoli, e intanto lanciano biglie sulle porte delle boutiques e sassi contro la polizia.

I casseurs non risparmiano nessuno. Poi, veloci come i ratti, si dileguano con il loro bottino verso la periferia, che è covo e rifugio, come per i pirati lo furono Algeri o l´isola della Tortuga.

A Parigi fanno la loro incursione alle 7 della sera. A Rennes e Marsiglia sono stati più spavaldi. Ma a Parigi il servizio d´ordine dei sindacati ha esibito i manganelli proletari, e quattromila gendarmi hanno presidiato le stazioni, hanno perquisito, arrestato, e hanno sequestrato coltelli, bastoni, biglie e molotov. Eppure, durante il corteo, tutti sapevamo che, da qualche parte, c´erano anche i pirati che per tutta la scorsa settimana avevano picchiato e derubato i liceali in sciopero, scompigliando soprattutto i piccoli cortei, dopo avere trasformato Les Invalides in un campo di battaglia il 23 marzo scorso; e dopo essere stati affrontati con i cannoni d´acqua il 28 marzo. Venerdì scorso sul boulevard Montparnasse, mentre i beduini di banlieue distruggevano automobili in sosta e arraffavano marsupi, giubbotti, maglioni e magliette, avevo visto i tradizionali estremisti dei cortei, gli anarchici e i trotzkisti, chiedere e ottenere la protezione dell´odiata polizia. E la stessa cosa accade ora, dopo le 20 della sera, in place d´Italie. Ed è un inedito paesaggio che ci era sconosciuto: l´alleanza della città contro i teppisti sottoproletari delle banlieue, il centro unito contro la periferia. Ho visto tre di questi razziatori senza identità buttare per terra un ragazzino: lo hanno letteralmente spogliato, anche le calze gli hanno portato via.

I casseurs, tra i quali per un momento io stesso mi sono sentito prigioniero quando sono apparsi in mezzo al fumo, alle sirene, ai manganelli; i casseurs che si muovono come i topi, che si materializzano quando tutti scappano e nessuno capisce quel che accade tranne loro che riescono anche a scomparire, o come oggi ad uscire dal loro buco solo quando tutto sembra ormai finito; i casseurs fanno più paura dei black bloc. Mentre scrivo, casseur, estremisti e black bloc sono tutti all´opera, in place d´Italie, tutti chiusi in un angolo dalla polizia di Sarkozy, il ministro che non distingue e li chiama tutti casseurs.

Ma la differenze ci sono. I black bloc lavorano su licenza dei cortei che, tenendoli dentro, in qualche misura li autorizzano. Sono la parte estrema del movimento, la parte che lo corrode, sono i vermi nel formaggio. I casseurs sono invece i topi che si avventano sul formaggio e anche sui suoi vermi, non hanno l´autorizzazione di predare e propongono la razzia come dato connaturale di chi abita in quel deserto di opportunità che si chiama banileue, un deserto dove la risorsa non appartiene a nessuno se non all´ultimo che ci arriva.

E qui si vede quanto sbagliava Pasolini, quanto l´utopia arcaica di Pasolini si sia trasformata in pericoloso futuro.

Innamorato del sottoproletariato che aveva in testa e che gli pareva come il tempio della premodernità antifascista, Pasolini non aveva visto all´opera questi casseurs abilissimi nell´incursione, tecnici dell´arte predatoria, in rivolta contro la rivolta. Non aveva visto la rivolta dei simbiotici che succhiano il sangue a tutti, la rivolta dei "pidocchi".

Sicuramente sono loro, i nomadi sognati da Toni Negri e raccontati da Attali, la "rivelazione", drammaticamente gravida di futuro, di questo movimento francese contro la precarietà, contro l´idea di precarietà. Sono loro che resteranno nella mente di tutti noi che pure abbiamo tranquillamente navigato, sotto un cielo pieno di palloni colorati, tra enormi pupazzi di cartepesta con la faccia deformata di Chirac, di Villepin, di Sarkozy, tra sassofoni, tamburi e persino violini, in un mare di strada che cercava il sessantotto del duemila ma era lontano ventimila leghe da quel mare. A Parigi gli studenti che manifestano sono più studenti che altrove, e non solo perché ci sono la Senna, la Sorbona, la piazza della Bastiglia, e questa volta pure il sole.

Parigi, si sa, è l´America d´Europa. Tutto è nato qui: lo stato moderno, la repubblica, la rivoluzione, e anche il sessantotto.

E infatti dal sessantotto in poi, le manifestazioni, gli slogan, i cortei e le bandiere, ripetitivi perché la giovinezza è ripetitiva, sono sempre un sessantotto parigino, un nuovo maggio francese, un´altra primavera della Sorbona. Anche gli slogan sono arrangiamenti di una vecchia musica: «Sous le pavés, la plage», sotto i sampietrini, la spiaggia. Oppure «CRS-SS». Invece di «nous demandons l´impossible» gridano «tout ce que nous demandons est possible». Qualcuno grida «La France est irreformable». Su una specie di carro a due ruote c´è issato uno striscione con le lettere tricolori: «La chienlit, oui. La réforme, non» che è il rovescio esatto della famosa frase pronunziata da De Gaulle il 19 maggio del 1968: «La réforme, oui. La chienlit, non». Ce´ è pure un curioso «Barroso, Berlusconi, Sarkozy, la jeunesse est unie».

Farsi anguilla in questo mare, lasciarsi trasportare dalla corrente in un bel pomeriggio, fa dunque pensare al sessantotto molto più di quanto accade nelle mille analoghe manifestazioni delle città d´Europa. Più che altrove, a Parigi la piazza è teatralizzazione delle oltranze accidiose, delle riserve astiose che appunto nella teatralizzazione perdono la loro veemenza e diventano colori, suoni, canti, balli e giovinezza: «Chirac en prison / Villepein démission». È vero che la politica in piazza è ormai uno stanco rito attraverso il quale viene cooptata e segnalata la nuova classe dirigente, sono i giovani che si preparano a diventare vecchi, ma è meglio illudersi con Parigi che disilludersi con tutte le altre città del mondo.

Eppure alle 20,30 in place d´Italie ci sono ancora i casseurs. Con la loro rabbia assoluta attaccano la città, picchiano e smascherano la città, la Parigi gelosa che tiene a distanza le periferie marginali, le quali mandano queste loro avanguardie sottoproletarie, pasolinane appunto, a eroderne la compostezza, ad insidiare i privilegi centripeti. La polizia li circonda, li arresta, li malmena un pochino, li disperde. Ma sono casseur tutti questi arrestati? «Ogni casseur arrestato sia un casseur condannato» è l´ordine di Sarkozy. Ma quando si picchia è difficile identificare chi non ha un´identità. Intervengono i pompieri, le ambulanze, fumo, grida, calci, ferite. Noi siamo convinti che i casseurs non sono più là. «I casseurs non sopportano che la ribellione abbia un obiettivo, che la rivolta abbia un´etica», ha scritto Jean Daniel. In realtà il movimento degli studenti sta producendo, come al solito, tanti bravi leaderini pieni di etica, intervistati e coccolati dai media, ma non ci sono i figli degli immigrati tra di loro, e le sole università di Parigi che non sono coinvolte nella rivolta sono quelle di banlieue. Se la Sorbona, transennata da alte barriere di lamiera erette nelle stradine comprese tra la rue Saint Jacques e il boulevard Saint Michel, sembra un´isola prigione, come Manhattan nel film «Fuga da New York», al contrario Paris-VIII, nella periferia Seine-Saint-Denis, è tranquilla, non sono saltati né una lezione né un esame. Visitarla in questi giorni è come passare il confine verso un altro mondo, fertile e ordinato.

Paris-VIII è frequentata soprattutto dai figli degli immigrati e per l´università è già una promozione sociale. Ecco dunque un´altra novità apparentemente paradossale: nel momento più caldo sono rimasti freddi i posti più caldi. I nomadi della periferia esprimono sia gli studenti di Paris-VIII, vale a dire il massimo della compostezza, e sia i casseurs razziatori, vale a dire il massimo della violenza: sono le due faccia della stessa rabbia etnica. A loro infatti non importa nulla della precarietà. Gli studenti della città di Parigi protestano contro la teoria della flessibilità, un´idea ancora astratta perché il lavoro a Parigi è e rimane garantito. Ma la flessibilità è un valore connaturato al bedunio di periferia, è la sostanza stessa dell´abitante del deserto metropolitano, con un´identità indefinita e cangiante da passamontagna, da zingaro, da pirata, o da viaggiatore, con abitudini itineranti, lavori che ci sono e non ci sono, una vita d´espedienti, il trasloco.

Ecco perché i casseurs attaccano gli studenti garantiti, chiedono loro di pagare il biglietto. Ed ecco perché la critica più estrema del capitalismo vede nei casseurs insensati e irresponsabili l´avanguardia scombiccherata dei nemici dell´Impero, come se i casseurs fossero le forze speciali dei nuovi invasori, gli stessi che dal Messico entrano negli Stati Uniti, i cinesi che occupano i mercati delle città nel Meridione d´Italia, i nordafricani, gli albanesi, gli indiani, il terzo mondo, l´oriente povero che stringe d´assedio le città dell´occidente ricco.

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