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Giorgio Nebbia
In corsa senza freni
25 Maggio 2015
Giorgio Nebbia
Le televisioni mettono ogni tanto in circolazione un film del 1985 intitolato “Cinque minuti dalla fine”, del regista sovietico ...(continua a leggere)

Le televisioni mettono ogni tanto in circolazione un film del 1985 intitolato “Cinque minuti dalla fine”, del regista sovietico (allora esisteva ancora l’URSS) Andrej Končialovskij. La storia è presto detta: due detenuti, uno anziano e uno giovane, fuggono da un penitenziario e saltano su quattro potenti locomotive in movimento senza sapere che il guidatore è morto di infarto. Le locomotive corrono senza controllo; i dirigenti della compagnia ferroviaria non riescono a fermarle e possono solo dirottare il convoglio su un binario morto. Il detenuto anziano, interpretato da un eccellente John Voight (premio Oscar), si sfracella contro una montagna dopo essere riuscito a sganciare l’altra locomotiva su cui si trova il detenuto giovane che si salva, così, a “cinque minuti dalla fine”. Mi è tornato in mente questo film come metafora di quello che potrebbe succedere se continua lo sfrenato aumento della concentrazione nell’atmosfera di alcuni gas, come anidride carbonica, ossido nitroso, metano, composti clorurati e alcuni altri. Secondo l’opinione della maggior parte degli studiosi tali gas trattengono una parte del calore solare all’interno dell’atmosfera con conseguente riscaldamento anche degli oceani e dei continenti e crescenti mutamenti climatici, da siccità (ce n’è una catastrofica adesso in California) a improvvise piogge torrenziali.

L’aumento della concentrazione di tali gas (detti “gas serra” perché il riscaldamento planetario ha luogo con un fenomeno simile a quello che avviene nelle serre) è attribuito al crescente uso di combustibili fossili e a vari processi chimici industriali. Pertanto, se continuasse ad aumentare la quantità di fonti di energia e di merci prodotte e “consumate” dalla popolazione terrestre, aumenterebbero, in maniera crescente e irreversibile, la temperatura del pianeta, le bizzarrie climatiche e i conseguenti danni sotto forma di perdita di raccolti, di distruzione di edifici e strade, di innalzamento del livello dei mari con allagamento di zone costiere. Per rallentare tali danni e dolori futuri, bisognerebbe, perciò, diminuire i consumi di fonti di energia e di beni materiali, disturbando però, così, quella divinità intoccabile che è la crescita economica e merceologica.

Questa prospettiva non piace, anzi disturba molto, molte persone. Prima di tutto i venditori di carbone, petrolio e gas naturale, i quali vedrebbero compromessi i propri profitti; per lo stesso motivo non piace ai venditori di minerali, macchinari, prodotti chimici, alimenti, eccetera. E tutti questi hanno buon gioco nello spiegare che, se si desse retta alla tesi sopra esposta, milioni di persone perderebbero il lavoro. La proposta di mutamento non piace ai ricchi, naturalmente, che non vogliono rinunciare ad avere più beni di lusso, ma non piace neanche a molti abitanti dei paesi industriali che sono appena riusciti a possedere l’automobile e la casa, e piace ancora meno agli abitanti dei paesi poveri i quali chiedono di avere beni materiali per uscire dalla miseria e dall’arretratezza.

A conforto di questi scontenti molti scienziati sostengono che non sono le attività produttive e i consumi a modificare la composizione chimica dell’atmosfera. E che una tale modificazione, anche se esiste, non è responsabile di un riscaldamento planetario. E che, anche se tale riscaldamento ci fosse davvero, si tratterebbe di un fenomeno già verificato nel passato e niente di preoccupante perché il pianeta si adatterebbe con meccanismi di autodifesa. E che comunque, se non ci fosse un tale adattamento del pianeta ai mutamenti climatici, è possibile diminuirne, mitigarne, i danni con dighe, innovazioni nei macchinari e negli edifici, nell’uso del territorio, con progetti di “geoingegneria” (filtrando la radiazione solare con polveri immesse nell’atmosfera, aumentando la capacità degli oceani di assorbire l’eccesso di gas serra), insomma con la scienza e la tecnica. E, infine, che se i mutamenti climatici fossero davvero dovuti ai gas serra, è possibile continuare nel glorioso cammino dei consumi e degli affari ricorrendo a fonti energetiche che non emettono gas serra, come quelle solari e eoliche e, udite!, con l’energia nucleare.

Proprio per cercare una riposta alle preoccupazioni per i mutamenti climatici, nelle settimane scorse molti scienziati si sono riuniti presso le due Accademie pontificie, quella delle Scienze e quella delle Scienze sociali, e hanno concluso i lavori con una dichiarazione in cui si afferma che “l’azione umana, attraverso l’uso di combustibili fossili, ha un impatto decisivo sul pianeta. Se continuano le tendenze attuali, questo secolo sarà testimone di cambiamenti climatici senza precedenti e della distruzione dell’ecosistema, con conseguenze drammatiche per noi tutti”. Le cause sono state riconosciute nel massiccio uso di combustibili fossili da parte dei paesi ricchi mentre i danni climatici colpiscono maggiormente gli abitanti dei paesi poveri, nelle “pratiche agricole su scala industriale che stanno distruggendo ecosistemi”, nell’ampliamento delle disuguaglianze economiche e sociali.

Fra i rimedi gli scienziati riuniti in Vaticano suggeriscono “la tassazione e la regolamentazione degli abusi ambientali, l’imposizione di vincoli all’enorme potere delle imprese transnazionali e un’equa redistribuzione della ricchezza”. Gli scienziati finiscono con un messaggio di gioia e di speranza che sia possibile realizzare “un mondo più sano, più sicuro, più giusto, più prospero”. Molti attendono l’enciclica ecologica di Papa Francesco per avere qualche indicazione morale, più convincente della miope saggezza dei governanti, in grado di indurci a rallentare la corsa della locomotiva umana, oggi senza frenatore.

L'articolo è stato inviato contemporaneamente a La Gazzetta del Mezzogiorno

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