Le televisioni mettono ogni tanto in circolazione un film del 1985 intitolato “Cinque minuti dalla fine”, del regista sovietico (allora esisteva ancora l’URSS) Andrej Končialovskij. La storia è presto detta: due detenuti, uno anziano e uno giovane, fuggono da un penitenziario e saltano su quattro potenti locomotive in movimento senza sapere che il guidatore è morto di infarto. Le locomotive corrono senza controllo; i dirigenti della compagnia ferroviaria non riescono a fermarle e possono solo dirottare il convoglio su un binario morto. Il detenuto anziano, interpretato da un eccellente John Voight (premio Oscar), si sfracella contro una montagna dopo essere riuscito a sganciare l’altra locomotiva su cui si trova il detenuto giovane che si salva, così, a “cinque minuti dalla fine”. Mi è tornato in mente questo film come metafora di quello che potrebbe succedere se continua lo sfrenato aumento della concentrazione nell’atmosfera di alcuni gas, come anidride carbonica, ossido nitroso, metano, composti clorurati e alcuni altri. Secondo l’opinione della maggior parte degli studiosi tali gas trattengono una parte del calore solare all’interno dell’atmosfera con conseguente riscaldamento anche degli oceani e dei continenti e crescenti mutamenti climatici, da siccità (ce n’è una catastrofica adesso in California) a improvvise piogge torrenziali.
L’aumento della concentrazione di tali gas (detti “gas serra” perché il riscaldamento planetario ha luogo con un fenomeno simile a quello che avviene nelle serre) è attribuito al crescente uso di combustibili fossili e a vari processi chimici industriali. Pertanto, se continuasse ad aumentare la quantità di fonti di energia e di merci prodotte e “consumate” dalla popolazione terrestre, aumenterebbero, in maniera crescente e irreversibile, la temperatura del pianeta, le bizzarrie climatiche e i conseguenti danni sotto forma di perdita di raccolti, di distruzione di edifici e strade, di innalzamento del livello dei mari con allagamento di zone costiere. Per rallentare tali danni e dolori futuri, bisognerebbe, perciò, diminuire i consumi di fonti di energia e di beni materiali, disturbando però, così, quella divinità intoccabile che è la crescita economica e merceologica.
Questa prospettiva non piace, anzi disturba molto, molte persone. Prima di tutto i venditori di carbone, petrolio e gas naturale, i quali vedrebbero compromessi i propri profitti; per lo stesso motivo non piace ai venditori di minerali, macchinari, prodotti chimici, alimenti, eccetera. E tutti questi hanno buon gioco nello spiegare che, se si desse retta alla tesi sopra esposta, milioni di persone perderebbero il lavoro. La proposta di mutamento non piace ai ricchi, naturalmente, che non vogliono rinunciare ad avere più beni di lusso, ma non piace neanche a molti abitanti dei paesi industriali che sono appena riusciti a possedere l’automobile e la casa, e piace ancora meno agli abitanti dei paesi poveri i quali chiedono di avere beni materiali per uscire dalla miseria e dall’arretratezza.
Proprio per cercare una riposta alle preoccupazioni per i mutamenti climatici, nelle settimane scorse molti scienziati si sono riuniti presso le due Accademie pontificie, quella delle Scienze e quella delle Scienze sociali, e hanno concluso i lavori con una dichiarazione in cui si afferma che “l’azione umana, attraverso l’uso di combustibili fossili, ha un impatto decisivo sul pianeta. Se continuano le tendenze attuali, questo secolo sarà testimone di cambiamenti climatici senza precedenti e della distruzione dell’ecosistema, con conseguenze drammatiche per noi tutti”. Le cause sono state riconosciute nel massiccio uso di combustibili fossili da parte dei paesi ricchi mentre i danni climatici colpiscono maggiormente gli abitanti dei paesi poveri, nelle “pratiche agricole su scala industriale che stanno distruggendo ecosistemi”, nell’ampliamento delle disuguaglianze economiche e sociali.
L'articolo è stato inviato contemporaneamente a La Gazzetta del Mezzogiorno