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Vittorio Emiliani
In Campania favori alla camorra. Abbandonati i tesori sardi
30 Dicembre 2016
Beni culturali
«Soprintendenze distrutte. Anche al Sud sono devastanti gli effetti della riforma dei Beni culturali e paesaggistici».

Il Fatto Quotidiano, 30 dicembre 2016 (p.d.)

La Sardegna è un formidabile museo all’aperto. Soltanto i misteriosi Nuraghe sono 8.815. Mentre i grandi Musei da “far fruttare” non esistono. Il Compendio Garibaldino di Caprera non ha un direttore, il Museo Sanna, archeologico ed etnografico, di Sassari è diretto da un geometra riqualificato antropologo. Senza direttore pure l’Antiquarium di Porto Torres e il Museo di Nuoro. Tutti offrono oggi servizi peggiori rispetto a quelli ante-riforma. Due anni fa, con la gestione della Soprintendenza, l’Archeologico di Cagliari ha quasi raddoppiato visitatori e incassi.

“Il Polo Museale in Sardegna creato artificiosamente”, mi dice Igor Staglianò, autore di memorabili inchieste per la Rai (l’ultima sui parchi nazionali semi-abbandonati), “ha avuto una ben misera dotazione, 150 mila euro in tutto. C’è un solo sparuto archeologo per l’intero circuito. La Soprintendenza ne contava 11 prima della riforma. Pochi e però l’unione faceva la forza. Separando i musei archeologici dal vero museo sardo che è il territorio, il ministero ha valorizzato, da Roma, una generale debolezza.”

Dedolante la situazione degli Archivi: non ci sono soldi per la digitalizzazione; gli Archivi di Stato sono retti da facenti funzione; alla funzionaria di Cagliari hanno scaricato pure Oristano. L’unica dirigente archivistica dell’isola deve pensare anche a guidare la conservazione degli archivi di Comuni, scuole, ospedali, ecc. A fronte di 150 mila euro richiesti ne ha ottenuti sei mila. A quattro Soprintendenze ne sono subentrate due che però devono tutelare 24.100 chilometri quadrati (più della Lombardia) con 18 sedi operative e depositi archeologici enormi (quattro statali e una trentina comunali), con un patrimonio alimentato da diverse civiltà mediterranee. Le due Soprintendenze “olistiche” hanno avuto da Roma 450 mila euro con cui tutelare l’isola, 1800 km di coste, migliaia di Nuraghe e aree di scavo, oltre a manutenzioni, bollette, impianti di sicurezza, ecc. Da piangere. Lavori di scavo? Messe in sicurezza? Zero euro. Auto? Le due Panda presto verranno ritirate: da un anno nessuno riesce a pagarne il leasing. Fra 1971 e 2011 le abitazioni (moltissime seconde case), sono balzate da 392 mila a 960mila(+ 136%). Percontro la Soprintendenza del Nord conta su 3 architetti (2 a tempo parziale), a fronte di circa 7.500 richieste annue di parere per nuove licenze e condoni paesaggistici: a pieno organico, 12 pratiche e mezzo a testa al giorno. Con l’umiliazione del silenzio/assenso (voluto da Renzi) e guasti paesaggistici inesorabili. A quei pochissimi custodi del paesaggio (pagati 1700 euro al mese e anche meno) toccano pure conferenze dei servizi, dichiarazioni di interesse culturale, pareri per l’impatto ambientale, progetti e direzioni dei restauri, manutenzione delle sedi.

La giunta Soru, col validissimo coordinamento dell’urbanista Edoardo Salzano, aveva approvato nel 2004 rigorosi piani di tutela delle coste isolane dopo un tempestivo decreto “salva coste.” La giunta Coltellacci (centrodestra), pur provandoci con forza, non è riuscita a devitalizzare il tutto. “Se non altro”, commenta lo stesso Salzano “sono state eliminate dalle previsioni dei piani urbanistici vigenti 15 milioni di metri cubi”. Una colata di cemento.

Nel sud i Musei sono soprattutto archeologici. Nelle chiese, nelle abbazie, o nei grandi palazzi, sta ancora la maggior parte delle pale, delle tele e delle tavole, degli affreschi, delle statue, insomma quanto al centro-nord si trova invece nelle Pinacoteche, statali e civiche. E qui la “riforma” Renzi-Franceschini dimostra in pieno tutta la sua assurdità. Come scindere i Musei archeologici dagli scavi? In Puglia, alla città di Taranto sede del bellissimo Museo nazionale della Magna Grecia e pure, da fine ’800 della Soprintendenza archeologica dell’intera Puglia, quest’ultima è stata “scippata”a vantaggio di Lecce e di Foggia. La creazione di tre Soprintendenze accorpate ha burocraticamente diviso fra loro territori omogenei come quelli abitati da Peucezi e Dauni. Il Chiostro del Convento di San Domenico (dove c’era la Soprintendenza Archeologica unica della Puglia, coi poderosi archivi regionali da fine ’800) è stato assegnato al Polo Museale che però non pare per niente interessato. Nell’area metropolitana di Bari ci dovrebbero essere cinque archeologi e però due soli operano qui perché altri due sono occupati altrove e uno ha ricevuto dal Polo anche l’incarico di dirigere il Museo di Manfredonia. Un solo archeologo a Foggia, altri due sono “in prestito” da Bari.

In Campania alla ex Soprintendenza di Caserta e Benevento i due storici dell’arte presenti nel 2015 sono andati in pensione. La Soprintendenza unica di Salerno e Avellino ha pochi archeologi perché qui sono migrati al Polo dove è confluita una decina di piccoli musei archeologici. Fanno incassi? No, perciò li aspettano giorni cupi. Migrano gli esperti e però gli archivi restano dove sono e quindi i primi devono trasformarsi in corrieri. Gli archivisti sono sempre meno e quindi le pratiche tardano anche più di dieci giorni. L’appena istituito Parco Nazionale dei Campi Flegrei ingloba solo i monumenti, non il loro contesto, ma sono confluiti in esso pure monumenti “minori” chiusi al pubblico. In alcuni hanno sede gli uffici periferici della tutela che dovrebbero traslocare a Napoli. Un caos per la gioia degli abusivi, dei tombaroli, dei camorristi.

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