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Il WWF sul preliminare al Piano territoriale del Friuli-VG
30 Novembre 2006
In giro per l'Italia
La puntuale analisi del WWF - Friuli-Venezia Giulia. al “Documento preliminare” del PTR della giunta Illy (novembre 2006). In calce il link al testo in .pdf

1.IL TESTO

Si osserva innanzitutto che la dimensione stessa del documento “preliminare” (550 pagine, più gli allegati cartografici), unitamente al tempo ristrettissimo previsto per la formulazione di pareri e osservazioni – tramite il sito internet della Regione – non depongono certo a favore della serietà dell’approccio scelto, per quanto concerne la partecipazione degli stakeholders all’analisi e alla valutazione del documento stesso.

Si tratta inoltre di un testo di difficile lettura, problematico:

- perché composto da più scritti separati (non solo per temi affrontati, ma anche per tempo di stesura, concezione, impostazione, livello di approfondimento, ordine e stile espositivo);

- per la mancanza di un filo ordinatore, di raccordo tra i singoli argomenti;

- per l’assenza quindi di integrazione tra le parti, per la frammentazione che ne deriva, per lo sviamento rispetto all’obiettivo primo, unificatore, che è la pianificazione territoriale;

- per la prolissità con cui vengono trattati argomenti di importanza secondaria e l’eccessivo semplicismo riservato di contro a questioni che sono invece essenziali;

- per le frequenti ripetizioni, risultato di semplici copia/incolla, per la dispersione che ne consegue e rende arduo arrivare al centro delle questioni;

- per il linguaggio, troppo spesso pretenziosamente tecnicistico, o non pertinente alla materia, anche perché traslato da altri settori, specialmente da quello economico, aziendale-produttivo o prettamente borsistico;

- per la stessa fraseologia, per la struttura delle espressioni, a volte così mal formulate da rendere incomprensibile il senso delle frasi;

- per i concetti, che, pur all’interno di uno stesso tema, appaiono tra loro disomogenei, fuori scala, scoordinati, e complessivamente confusi;

per la commistione tra descrizione di problemi, asserzioni e definizione di obiettivi, per cui non è sempre facile distinguere dai presupposti quelli che sono gli effettivi intenti, e tanto meno capire se tutte le questioni e gli aspetti individuati, o che si devono comunque affrontare, trovino poi una corrispondente proposta di soluzione.

Un testo, insomma, disorganico, non chiaro e non sempre comprensibile, nel quale è difficile orientarsi e cogliere la sostanza delle cose, vale a dire capire quali siano gli indirizzi fondamentali, direttamente attinenti alla pianificazione territoriale, che l’Amministrazione regionale intende assumere per il piano.

Un testo quindi che di per sé, già per come è concepito e formulato, è di ostacolo all’attuazione di una vera, seria, ampia, partecipazione da parte di quei soggetti esterni che si dice di voler coinvolgere.

Soggetti esterni (gli stakeholders), peraltro quanto mai variegati, di formazione ed esperienza diversa, con competenze, interessi, linguaggi anch’essi diversi, ma tutti comunque chiamati ad esprimersi su una stessa materia, su quel tema, composito ma allo stesso tempo unitario, che è per l’appunto la pianificazione territoriale; tutti comunque tenuti a dare un giudizio sia sulla molteplicità di aspetti che essa considera, sui loro caratteri specifici ma anche sulle reciproche interrelazioni, a dover valutare gli obiettivi proposti e le loro possibili ricadute, a doverlo fare sia per singoli settori ma non di meno in termini complessivi, vale a dire a dover considerare la valenza che, in conseguenze delle scelte, il nuovo piano regionale verrebbe ad avere nel suo insieme.

- Il che evidentemente comporta la necessità che il testo risulti uniformemente accessibile; e per esserlo, si ritiene che debba essere qualificato da:

- un linguaggio costantemente chiaro e comprensibile, in ogni parte, e per ogni settore specificatamente trattato;

- un linguaggio comunque rigoroso – e non vago, semplicistico, o fuorviante – di terminologia appropriata, precisa, pertinente alla materia;

- adeguata spiegazione – perché no, corredata da un glossario – dei termini a carattere prettamente tecnico o relativi a settori specifici oppure ripresi da altre lingue, tuttavia utilizzabili solo se indispensabili, privi di un corrispettivo nell’italiano, ormai entrati a far parte dell’uso corrente;

- eliminazione di parole inutilmente pretenziose, spesso frutto di invenzioni fantasiose, probabilmente in nome di ambizioni fintamente intellettualistiche o di una malintesa modernità, ma che danno in realtà l’impressione di una cattiva conoscenza dell’italiano, creano un effetto rozzo, grossolano, appesantiscono il testo, ne rendono ardua la lettura e la comprensione;

- grande ordine espositivo sia nella formulazione dei concetti che nella struttura, nell’articolazione e nella sistemazione per temi, capitoli, elenchi;

- una forte capacità di sintesi per non costringere a disperdersi tra generalità, lungaggini, parti decisamente ovvie, ripetitive, di nessun peso e incidenza;

la messa in evidenza dei contenuti che hanno un’importanza essenziale, per dare il senso di quali siano le priorità, per facilitarne l’individuazione, per consentire di focalizzare l’attenzione sugli elementi effettivamente portanti e considerarli alla giusta stregua, rispetto a questioni e proposte di minor incidenza o, in ogni caso, conseguenti o puramente discorsive.

Un testo, in definitiva, di grande pulizia e correttezza linguistica e strutturale è quello che occorrerebbe. Contro il marasma delle 550 pagine, dove in realtà quelle che contano sono ben poche. Ma perché il testo sia tale, conciso, comprensibile, non è che i contenuti debbano essere stati ben ponderati, verificati, digeriti, chiari in primo luogo a chi ne è autore? È allora un problema di sostanza? Una sostanza che è ancora nebulosa per la stessa Amministrazione regionale? Ma come si fa a spiegare quello che è ancora oscuro a chi lo propone?

2. Le procedure

La (presunta) procedura partecipativa sul sopra citato ponderosissimo documento preliminare del PTR, che pomposamente fa riferimento ad “Agenda 21”, si è in definitiva risolta in una sorta di “videogame”, tramite la compilazione da parte degli stakeholders – avendo a disposizione tempi oltre tutto ridottissimi (7 giorni, poi aumentati a 10!) – di una sorta di questionario on line.

Nessuna meraviglia che solo una trentina degli oltre 200 stakeholders individuati abbia partecipato all’operazione.

A ciò hanno fatto seguito alcuni “forum” tematici (l’ambiente, gli aspetti sociali, ecc.), sfociati in stringatissimi e sostanzialmente vuoti documenti di sintesi, il cui effettivo utilizzo nel prosieguo dell’iter del futuro PTR è peraltro alquanto misterioso.

Non è difficile perciò comprendere le ragioni per le quali la scrivente associazione ha deciso, fin dal principio dell’operazione, di non prestarsi ad avallare un “processo partecipativo” tanto equivoco e ha perciò evitato di partecipare alle fasi “partecipative” sopra descritte.

3. I "PRESUPPOSTI STRATEGICI”

Difficilmente del resto, a giudizio della scrivente associazione, i contenuti del documento preliminare al PTR avrebbero potuto essere diversi, stanti le premesse “strategiche” (altrimenti definite “Linee di indirizzo”, cfr. par. 3 del documento) a monte dello stesso.

Va rilevato infatti come tra tali premesse vengano citati principalmente:

a) il “Programma di governo regionale 2003-2008” (che NULLA contiene in merito alle politiche territoriali e urbanistiche);

b) lo studio di Monitor Group “Verso una visione economica condivisa”, documento chiaramente improntato alla definizione di obiettivi di politica economica, NON urbanistica e territoriale, che contiene riferimenti a scelte territoriali esclusivamente in funzione di obiettivi economici; la pianificazione del territorio è vista cioè come ancella dell’economia, intesa per di più nel senso tradizionale della crescita misurata mediante il PIL;

c) il Piano strategico 2005-2008 “Al centro della nuova Europa” (cfr. par. 3.2 del documento preliminare), derivato dalle analisi del Monitor Group e pressoché interamente incentrato su obiettivi di potenziamento infrastrutturale in ogni settore, assunti come postulati indiscutibili, senza alcun bisogno di verifiche e analisi relativamente a costi, sostenibilità ambientale, effettiva necessità delle opere, ecc.;

d) la L.R. 30/2005 (si veda il commento del WWF sulla stessa, in all. 1);

e) la relazione dell’assessore regionale alla pianificazione territoriale all’incontro “La nuova politica urbanistica della Regione” (cfr. par. 3.7 del documento preliminare), tenutosi a Villa Manin il 24 febbraio 2005. Si tratta di un documento prettamente politico, che da un lato postula la necessità di riformare la L.R. 52/1991 e predisporre il PTR (senza avvertire alcun bisogno di un’analisi critica dell’esperienza fatta con la L.R. 52/1991, della mancata attuazione di sue parti fondamentali, del ruolo svolto dai Comuni e delle conseguenze di una pianificazione in gran parte delegata ai Comuni sul territorio, ecc.), dall’altro delinea con chiarezza il ruolo di un’urbanistica al servizio della crescita economica, poiché elenca tra gli obiettivi della “nuova politica urbanistica” i seguenti: “diventare una regione più ricca e più civile”, “produrre un vantaggio competitivo territoriale”, “perseguire l’obiettivo della centralità del cittadino e delle imprese nel fare il nuovo PTR”, “devolvere le competenze in direzione degli Enti locali, quale mezzo per corrispondere meglio alle esigenze dei cittadini e delle imprese”, “il governo del territorio e dei Comuni”, ecc. Appare perciò chiaro, a giudizio della scrivente associazione, l’intento di costruire un sistema normativo e di pianificazione regionale in cui da un lato l’Ente locale diventa (più di quanto già non sia) l’unico vero referente dei cittadini e dell’imprenditoria per le decisioni che riguardano insediamenti produttivi e residenziali, con gli effetti che si possono facilmente immaginare. Sono tra l’altro quanto mai significativi, a tale proposito, i riferimenti, contenuti nella premessa del documento preliminare al PTR, alla riforma urbanistica nazionale (cfr. par. 2.2 e 2.4), vale a dire la c.d. “Legge Lupi” – fortunatamente decaduta con la fine della precedente legislatura prima dell’approvazione definitiva – per quanto concerne in particolare i principi della “perequazione” e della “compensazione dei diritti edificatori”. Dall’altro lato, la Regione persegue chiaramente l’obiettivo di riservare a sé le decisioni concernenti le grandi infrastrutture (di trasporto ed energetiche), che costituiscono il cuore e di fatto l’unico vero contenuto del PTR.

4.GLI OBIETTIVI DEL PTR

4.1. Premessa

Contenuti nella Parte II - Repertorio degli obiettivi, quivi elencati, gli obiettivi del PTR sono preceduti in Premessa dalla spiegazione dei presupposti e intenti comuni. Molti gli interrogativi che si aprono, a cominciare dai riferimenti alla L.R. 30/2005, o perché scorretti o comunque tali da riproporre la ridiscussione sulla legge medesima (in merito alla quale si ripropongono le valutazioni già formulate a suo tempo, v. all. 1).

Scorretta, se non altro perché priva di un preciso riscontro, appare l’affermazione iniziale secondo la quale:

“Gli articoli 6 e 8 della legge regionale 13 dicembre 2005, n. 30Norme in materia di piano territoriale regionale’prevedono che la formazione del nuovo Piano Territoriale Regionale (di seguito P.T.R.), si articoli in tre fasi che produrranno, rispettivamente, i seguenti elaborati:

1.ilDocumento preliminare al nuovo P.T.R, (è propedeutico alla costruzione della strategia del nuovo piano e rappresenta il primo atto di politica territoriale per la sua costruzione);

2.ilProgetto di P.T.R.(è predisposto dalla Giunta regionale che lo sottopone al parere del Consiglio delle Autonomie locali);

3.ilProgetto definitivo di P.T.R.(è elaborato dalla Giunta regionale, anche sulla base delle valutazioni e delle proposte raccolte in esito al parere del Consiglio delle Autonomie locali)”.

In realtà, l’art. 6 della L.R. 30/2005 disciplina i “Contenuti ed elementi del PTR”, per quanto riguarda i suoi elaborati costitutivi in termini globali e definitivi, senza esplicitarne le fasi di formazione; l’art. 8 tratta delle procedure di “Adozione e approvazione del PTR”, fissandone la sequenzialità temporale, ma senza alcun accenno al Documento preliminare al nuovo P.T.R.

Mancanza, o scorrettezza, marginale, di poco peso, semplice superficialità, ma che comunque stupisce, e non poco, essendo il “ Documento preliminare” un atto comunque ufficiale, proveniente da un soggetto istituzionale, come tale presentato e pubblicizzato proprio dalla stessa Amministrazione regionale, e sulla base del quale altre istituzioni e soggetti sono chiamati dalla medesima a doversi impegnare ed esprimere un parere.

Richiamo alle finalità strategiche ex art. 5 della L.R. 30/2005. La loro riproposizione e rilettura fa riaffiorare le perplessità sorte con l’emanazione della legge. In particolare, quelle inerenti:

- la mancata considerazione per l’intera gamma delle componenti e delle interrelazioni esistenti a scala di territorio regionale;

- l’impostazione che privilegia, rispetto a ogni altra, una visione del territorio come bene di consumo in funzione decisamente economico-produttiva;

- l’interpretazione distorta di concetti fondamentali quali lo “sviluppo sostenibile”, e il suo abbinamento, in termini subordinati e peraltro incomprensibili, alla “competitività del sistema regionale”;

- la genericità e vacuità di finalità come “coesione sociale della comunità”, “miglioramento della condizione di vita”, “migliori condizioni per il contenimento del consumo del suolo e dell’energia, … sviluppo delle fonti energetiche alternative”…

Metodo per l’individuazione degli obiettivi. Illustrato per esteso, ma in maniera disorganica, prolissa e dispersiva – anche per le ripetute traslazioni con semplici copia/incolla dalla prima parte del documento ( Quadro delle conoscenze e criticità) – sembra ambire, e per le lungaggini e per la terminologia, a una certa scientificità; in realtà consiste in null’altro che nel racconto semplicistico, acritico, e peraltro confuso, su quanto è stato fatto e sul da farsi.

Gli esiti a cui perviene aprono non pochi interrogativi (v. ad es. i “macrobiettivi” che, dopo tutto il marchingegno delle fasi di elaborazione che qui si tenta di spiegare, alla fine sono ancora – come vengono dichiarati – “di tipo intuitivo e teorico” e niente di più).

4.2. Obiettivi del Piano Territoriale Regionale

Sono tanti: ben ventotto. Di peso e scala diversa, ma compresi in un unico elenco: alcuni di valenza complessivamente, o piuttosto genericamente territoriale; altri ancora settoriali, o addirittura sottosettoriali, e pur sempre, anche questi, generici; alcuni decisamente estranei alla materia pianificatoria; altri di portata globalmente politica e amministrativa. Tutti, appiattiti al medesimo livello.

Obiettivi che hanno comunque più il significato di enunciazioni di buona volontà, di raccomandazioni che l’Amministrazione regionale fa a se stessa, che di obiettivi veri e propri che l’Amministrazione si dà e intende concretamente perseguire. Obiettivi che appartengono a una fase ancora tutta preliminare, interna, piuttosto che a quella pubblica, di consultazione all’esterno, come vengono invece presentati.

Quando più precisi, gli obiettivi appaiono disciplinarmente discutibili (ove pongono ad es. sullo stesso livello pianificazione e monitoraggio), paradossali (v. bonifica e rinaturalizzazione delle aree edificate o infrastrutturate), palesemente dubbi, ambigui, o comunque adattabili alle più varie interpretazioni e applicazioni (v. “ esercitare in modo flessibile la funzione del governo del territorio”).

La descrizione degli obiettivi è infarcita di termini quali competitività, competizione, competitivo, competere, tanto da risultare stressanti e da dare l’impressione di non avere per oggetto un territorio, peraltro unitario, da dover considerare e pianificare al meglio e per intero, ma di essere un’azienda, di occuparsi di produzione e non dell’ambiente complessivo di vita; di doversi mettere nell’ottica di uno contro tutti, per avere e fare di più, a vantaggio esclusivo del singolo, frammentato, ambito di competenza, quasi che vi si fosse confinati e lo spazio di vita, il diritto a un territorio più bello, funzionale, meglio godibile, non continuasse al suo esterno.

Considerazioni del tutto analoghe vanno fatte per altre “parole d’ordine” (sempre le solite), contenute nella descrizione degli obiettivi: sussidiarietà, adeguatezza, principio di responsabilità, equiordinamento (regione-comuni), ecc.

Come se non bastasse, la definizione delle finalità del PTR è infarcita di contenuti risibili, paradossali, incomprensibili o fuori tema. Eccone un (limitato, per carità di patria) florilegio:

- distribuire, nelle aree deboli, il rischio tra i diversi settori, favorendo una programmazione integrata”, par. 4.3.5., pag. 499;

-il mitico offrire sostegno alla zootecnia ed al pascolo (con reintroduzione di cavalli, mucche, ovini che a livello di coscienza collettiva contribuiscono a ‘fare paesaggio’)”, par. 5.2;

- Consolidare il patrimonio rurale”, pag, 504, I capoverso;

- modello dell’albergo diffuso” (?); pag, 504 nel II capoverso al par. 5.2.3;

- dotazione di verde e arredo urbano” come unici servizi citati in par. 5.3;

- Valorizzare il patrimonio insediativo e della cultura”, par. 5.3.2, pag. 504;

- animazione del paesaggio”, par. 5.3.4, pag. 504;

- tassazione a carico di autoveicoli pesanti”, par. 7.1.1.10, pag. 515.

5.IL RAPPORTO AMBIENTALE

La direttiva 2001/42/CE, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, all’articolo 5 individua, come strumento di valutazione degli effetti sull’ambiente di piani e programmi, il rapporto ambientale.

Quest’ultimo al proprio interno, come specificato nell’allegato I della direttiva 2001/42/CE, dovrebbe contenere tra le varie argomentazioni i seguenti punti: i contenuti degli obiettivi principali del piano o programma e del rapporto con altri pertinenti piani o programmi; lo stato attuale dell’ambiente e sua evoluzione probabile senza l’attuazione del piano o del programma; i possibili effetti significativi sull’ambiente; le misure previste per impedire, ridurre e compensare nel modo più completo possibile gli eventuali effetti negativi significativi sull’ambiente dell’attuazione del piano o del programma; la sintesi delle ragioni della scelta delle alternative individuate e una descrizione di come è stata effettuata la valutazione, nonché le eventuali difficoltà incontrate (ad esempio carenze tecniche o mancanza di know-how) nella raccolta delle informazioni richieste; e la descrizione delle misure previste in merito al monitoraggio.

La stessa premessa del rapporto ambientale, per il documento preliminare del PTR (pag. 6) afferma che, come da direttiva 2001/42/CE, il rapporto stesso: “…deve individuare, descrivere e valutare gli effetti significativi che l’attuazione del Piano potrebbe avere sull’ambiente, nonché le ragionevoli alternative alla luce degli obiettivi e dell’ambito territoriale del piano, individuando tutte le misure necessarie per mitigare o compensare le varie criticità di natura ambientale e territoriali.

Il Rapporto Ambientale, all’interno del processo del piano territoriale regionale, viene a configurarsi come uno strumento utile e necessario per determinare gli elementi di verifica delle scelte di piano in coerenza con gli obiettivi generali di sostenibilità definiti dal piano stesso”.

A questo punto, analizzato il rapporto ambientale per il documento preliminare del PTR, ci si accorge di essere di fronte a un documento carente delle caratteristiche intrinseche richieste dalla direttiva europea 2001/42/CE, in quanto non contiene e non sviluppa gli argomenti richiesti dall’allegato I. Non basta: è carente anche rispetto ai propositi dichiarati nella premessa del rapporto, il che non può non scandalizzare.

Nello specifico manca la valutazione degli effetti delle politiche di piano sull’ambiente, anche perché lo stesso documento preliminare del PTR non fa cenno alcuno di quali siano le politiche da adottare. Gli obiettivi previsti possono essere raggiunti come si vuole, o come vuole il politico di turno, senza valutare gli effetti che avranno sull’ambiente; quindi ogni azione e ogni politica è lecita. L’imperativo pare essere quello di raggiungere lo sviluppo e la “competitività territoriale” ad ogni costo, anche a discapito dell’ambiente stesso.

Conseguenza di questa mancanza è l’impossibilità di fornire adeguate alternative a scelte (politiche) che potrebbero danneggiare in modo irreparabile il territorio in cui viviamo e vivranno i nostri figli, quindi contraddicendo i principi della Convenzione di Rio de Janeiro (art. 1) e quelli di Agenda 21, che indicano la sostenibilità del territorio come via da seguire.

Un rapporto ambientale dovrebbe inoltre contenere la descrizione delle misure previste in merito al monitoraggio, in modo che il piano rispetti le soglie che si è dato.

A parte il fatto che il documento preliminare del PTR non si è dato delle soglie da non superare, il fatto grave è che il rapporto rimanda al processo di Agenda 21 la scelta degli indicatori ambientali, e sconta quindi la conseguente mancanza di parametri che possano indicare lo stato del territorio e dell’ambiente al momento attuale, con le conseguenti alternative possibili per le politiche da adottare per raggiungere alcuni obiettivi strategici.

Ancor più grave è l’assenza di spiegazioni su come saranno gestiti i monitoraggi e sul rapporto che ci sarà tra monitoraggio e obiettivo. In altri termini: per raggiungere un obiettivo sarà o dovrebbe essere già individuata un’azione di piano o una politica e il monitoraggio dovrebbe controllare il suo svolgersi nell’arco del tempo, ma se questa politica dovesse superare le soglie che la Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia si è data, come si interverrà per reindirizzare l’azione di piano in modo corretto? Questo non è dato sapere, mentre il rapporto ambientale non dovrebbe assolutamente eludere questo aspetto.

Si può quindi concludere che il rapporto ambientale si riduce a un mero elenco dello stato del territorio e di obiettivi, sviluppato per di più in modo superficiale, senza entrare nel merito dei propositi indicati dalla Direttiva 2001/42/CE, riguardo alla funzione di verifica e correzione dei contenuti e delle scelte del PTR.

6. IL PAESAGGIO

In considerazione del fatto che il “documento preliminare” prefigura per il PTR anche la funzione di piano paesaggistico (ex D.Lgs. 42/2004), conviene premettere alcune considerazioni storico-metodologiche.

6.1. Paesaggio e beni culturali

Di paesaggio e beni culturali, il Documento parla separatamente, peraltro, nelle parti propedeutiche, più con riferimento a quanto prescritto dalla legge 42/2004 che provvedendo a illustrare i principi, gli indirizzi, e soprattutto le linee culturali che è la Regione a voler assumere e con le quali essa intende darvi seguito.

Paesaggio e beni culturali trattati quindi come componenti disgiunte, in una visione acritica e palesemente passiva rispetto alle recenti norme sovraordinate, nonché in un’ottica complessivamente frammentaria e parecchio confusa rispetto agli ulteriori molteplici aspetti (ambiente, scelte economiche localizzazioni insediative e infrastrutturali) che vi sono correlati e che con esse – e con il loro futuro –inevitabilmente interagiscono.

Un approccio pertanto ai beni paesaggistici e culturali che ha più dell’atto dovuto, del puro adempimento amministrativo, dell’obbligo di legge, che del risultato di un’effettiva consapevolezza del patrimonio che essi rappresentano per la comunità, del bene pregiato che costituiscono, dell’importanza e centralità che rivestono ai fini delle complessive politiche territoriali, della particolare attenzione e sensibilità che specificatamente richiedono.

Manca in sostanza l’idea del paesaggio e dei beni culturali come valori e beni insostituibili; non trapela il pieno necessario convincimento della loro importanza in quanto – innanzitutto – elementi primari di identificazione di una determinata comunità. Il Documento li riduce a oggetto di trattamenti parcellizzati, i più disparati e disomogenei, generici o eccessivamente minuziosi, puramente dichiaratori o vagamente tecnicistici, ma mai, come invece necessario, provenienti da una vera, solida cultura, relativamente a tutti i molteplici aspetti che concorrono a costituirne e a rivelarne l’essenza fondamentale.

Le trascuratezze e mancanze di base trovano poi riconferma, e non potrebbe essere altrimenti, nelle previsioni, quanto mai sbrigative e scoordinate, del corrispondente Repertorio di obiettivi: una lista semplicistica e disomogenea di cose da farsi, che sembra dettata più dal dover comunque trovare qualcosa da dire e metter giù, che da un reale approfondimento e ripensamento sulle finalità da doversi perseguire e da una conforme ricerca degli indirizzi e dei contenuti più opportuni.

Il paesaggio e i beni culturali costituiscono un patrimonio nel loro insieme: non possono essere considerati una semplice somma di elementi singoli e, in prospettiva, di provvedimenti staccati e peraltro palesemente casuali, ma vanno primariamente intesi nel complesso organico che essi, assieme, rappresentano e attraverso le relazioni che li raccordano e, altresì, li strutturano. Aspetti e relazioni che sono a carattere naturalistico, ambientale, storico e paesaggistico, oltre che espressione della cultura, delle tradizioni, insediative e economiche, della storia, della vita di una determinata comunità in rapporto al suo territorio. Comunità e territorio che meritano pertanto la massima attenzione, da doversi conoscere approfonditamente nelle loro connessioni, e nelle dinamiche che li caratterizzano, al fine di arrivare attraverso il piano all’individuazione di tutte le misure necessarie a difendere il medesimo territorio dai già troppo presenti e diffusi processi e pericoli di corrosione, di omologazione e di conseguente svalutazione.

Se questo patrimonio ha significato soprattutto in quanto elemento di riconoscimento dell’identità di una comunità, e se la bellezza è pur sempre un valore, è d’altra parte vero che a contribuirvi concorrono anche componenti spesso ancora trascurate come la biodiversità e i caratteri naturali, e che pertanto logiche parziali e concezioni esclusivamente estetizzanti, come pure operazioni di pseudovalorizzazione sul genere Eurodisney, sono insufficienti o palesemente dannose.

Se da un lato, per quanto riguarda specificatamente i beni culturali, nella parte propedeutica del Documento, in merito a tale aspetto di gran lunga più approfondita delle altre, si riconosce sia l’esistenza che l’insuperabilità del binomio costituito per l’appunto dai beni culturali e dal paesaggio, dall’altro lato resta comunque il fatto che, pur sulla base di tale presupposto nonché di ulteriori considerazioni che riconfermano quanto sopra osservato, poi il tutto si traduce e conclude in quello che lo stesso Documento definisce un “elenco”, peraltro “sintetico”, di obiettivi, vale a dire in una lista, quanto mai frettolosa e disorganica, di previsioni spurie e fuori scala. Un’elencazione priva di consequenzialità al suo interno e della necessaria chiarezza sul rapporto tra le azioni ivi definite e quelle assunte per il paesaggio e per le altre componenti che con i beni culturali (e con il paesaggio, in quanto entità complessiva) vanno evidentemente ad interagire. Anche nei casi più ovvi, come ad esempio, relativamente alle politiche insediative e se non altro con riguardo a una materia, tanto vicina o meglio di pertinenza comune, come quella rappresentata dai centri storici, che, qualificati dall’essere sia insediamenti sia beni culturali, richiedono un insieme complessivo e unitario di provvedimenti che di tale loro duplice caratterizzazione tenga per l’appunto debito conto.

A proposito dei sopra citati aspetti naturalistici, che concorrono alla formazione del paesaggio, in connessione, questa volta, con la componente spiccatamente ambientale, si precisa inoltre quanto segue.

6.2. L’evoluzione del concetto di paesaggio

Le tre fasi storiche nell’evoluzione del pensiero mesologico, ovvero nella branca della biologia che studia l’ambiente in cui vivono gli organismi, sono riassumibili nella conservazione della specie, la conservazione dell’habitat e la conservazione delle serie dinamiche.

In termini temporali la prima fase si sviluppa a partire dalla fine dell’800 fino al 1920 circa, mentre successivamente si inizia a parlare di habitat come entità spaziali che permettono di conservare le specie (e a questo pensiero risponde la Direttiva “Habitat” 92/43/CEE), mentre oggi si preferisce riferirsi alla conservazione delle serie dinamiche, intese come gli stati e i tipi di vegetazione che sono incollegamento dinamico fra loro, in termini di rapporti temporali, di rapporti spaziali e delle diverse situazioni geologiche e pedologiche.

Il paesaggio è quindi costituito dalla base litologica e geomorfologia, dalle grandi condizioni climatiche e dagli elementi vegetali e dalle loro interconnessioni temporali e spaziali.

Il paesaggio nel suo complesso non è più quindi opinabile, come nelle antiche teorie estetiche, ma è dato dalla somma dell’intersezione delle relazioni temporali e spaziali, che sono alla base dei modelli cenotici su cui si fonda la moderna scienza del paesaggio.

Quindi, in base a questa concezione (recepita sostanzialmente anche nella Convenzione europea del paesaggio del 20 ottobre 2000), il paesaggio si sottrae a una percezione soggettiva estetizzante, oggi di fatto ampiamente superata.

Alcuni di questi concetti fondamentali erano già stati recepiti nella pianificazione delle aree protette contenuta nel Piano Urbanistico Regionale Generale (PURG) del 1978, in cui – ad esempio – i grandi fiumi (individuati come Parchi regionali) dovevano garantire una funzione di collegamento verticale fra fasce orizzontali molto diverse (montagna, fascia collinare, alta e bassa pianura, fascia costiera), anticipando un sistema di reti ecologiche che dovrebbero intersecare tutto il territorio regionale.

Uno dei principali obiettivi che deve porsi un Piano paesaggistico è perciò la restituzione della connettività biologica, da opporre alla frammentazione degli habitat, che per potersi mantenere devono non soltanto avere superficie sufficiente, ma anche essere collegati fra loro. Ciò è reso sempre più problematico dalla progressiva urbanizzazione e dal conseguente consumo del suolo, che porta come conseguenza all’alterazione e, appunto, alla frammentazione degli habitat. Diventa perciò centrale la previsione di “corridoi ecologici” adeguati.

6.3. Il paesaggio nel documento preliminare del PTR

Il documento preliminare del PTR – in materia di paesaggio – conserva un approccio prettamente estetico e vedutistico, legato ancora alla normativa anteguerra (la Legge 1497 del 1939) e appare perciò da un lato insufficiente e dall’altro concettualmente arretrato, anche rispetto all’impostazione presente già nel PURG del 1978.

Nel documento non si considera infatti lo strumento del vincolo in termini di reti ecologiche e quindi in modo positivo per la valorizzazione del patrimonio naturalistico, con le relative ricadute culturali, ma al contrario si lascia trasparire una forte negatività delle aree assoggettate a vincolo, negatività che si manifesta ad esempio nella carta “intensità della tutela sul territorio” (tavola 1/B), in cui vengono sovrapposti i diversi tipi di vincolo (secondo una scala da 0 a 6), in termini meramente quantitativi e senza una reale considerazione delle valenze paesaggistiche presenti sul territorio. Davvero non si comprende a cosa possa servire una tale cartografia!

Si aggiungano a ciò “perle” come ad esempio la seguente (già citata sopra), tratta dalla descrizione degli obiettivi del PTR: “offrire sostegno alla zootecnia ed al pascolo (con reintroduzione di cavalli, mucche, ovini che a livello di coscienza collettiva contribuiscono a ‘fare paesaggio’)” - (par. 5.2). Ogni commento pare superfluo.

6.4. La mancanza di un adeguato quadro delle conoscenze

Per concretizzare l’obiettivo della creazione di reti ecologiche è fondamentale una profonda conoscenza del territorio (rappresentabile – ad esempio – almeno con una carta della vegetazione e unacarta litologica) e si osserva come nel documento presentato il quadro delle conoscenze non appaia sufficientemente approfondito e adeguato a sostenere una moderna pianificazione paesaggistica.

Le relazioni e le tavole grafiche allegate al documento preliminare sono infatti un mero assemblaggio di relazioni disorganiche, relative in realtà alle politiche regionali di settore, senza la minima traccia di conoscenze relative ai caratteri fisico-strutturali della regione come ad esempio i “caratteri” geologici, pedologici, idrogeologici, idrografici. Né vi è traccia di un elaborato che evidenzi i rischi idraulici, idrogeologici e le vulnerabilità territoriali.

Pare incredibile che, per quanto concerne specificamente le conoscenze relative al patrimonio naturalistico e ambientale, gli estensori del documento preliminare al PTR non siano ricorsi alle immense banche dati e al patrimonio di informazioni, dati ed esperienze disponibili presso le Università regionali (e in particolare presso il Dipartimento di Biologia dell’Università di Trieste).

Ci si riserva di integrare eventualmente le considerazioni sopra esposte con ulteriori elementi e si porgono con l’occasione i più distinti saluti.

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