L'uscita di scena di Berlusconi e la forte leadership del governo tecnico hanno cambiato lo scenario delle primarie, molto diverse, oggi, dal rito liberatorio e plebiscitario tributato al tempo di Prodi e Veltroni. Allora finì nell'urna un grande no a Berlusconi, oggi non c'è proprio aria di plebiscito, per nessuno dei cinque candidati. Si esprimerà, invece, un giudizio ponderato perché è chiaro a tutti che il risultato condizionerà la prossima legislatura. A seconda del consenso ottenuto da Vendola, potremmo avere due importanti conseguenze: un primo, netto no al montismo e una prefigurazione dei futuri equilibri a sinistra.
C'è un campo da ricostruire, rifondare, rinnovare e milioni di persone credono di avere nelle primarie un bonus da spendere per iniziare questo lavoro. Una scommessa rilevante, pur con molti limiti. Il più evidente si riferisce proprio alla forma di partecipazione: una replica del modello leaderistico, che nulla aggiunge a quel bisogno di democrazia partecipata, connotato prevalente dell'intenso fermento alla sinistra del Pd. Così è stato nella natura delle mobilitazioni vincenti degli ultimi referendum e delle elezioni amministrative, così pure nelle forme creative di partecipazione dei movimenti nati dentro la grande crisi economica, sociale e politica.
Tuttavia, cogliere i limiti delle primarie non significa esserne spettatori indifferenti. Tanto più sea mettersi in fila, per condividere, anche fisicamente, una scelta di voto, risponde al forte vento populista, contestando l'idea di sostituire al corpo uanto dal signore un corpo consacrato da internet. Tra l'altro, nei racconti di chi è andato a registrarsi nelle vecchie sezioni del Pci, emerge un particolare che forse non piacerà agli ideologhi della rottamazione: molti anziani a prendere le iscrizioni, molti giovani a prenotarsi.