Questi condoni edilizi ogni nove anni, che denunciano l’insania dominante in Italia, presentano il loro simbolo più inquietante nella cartolina del Vesuvio superpopolato. Il caso del massimo e più temerario abusivismo, infatti, è quello delle costruzioni tollerate per decenni sulle pendici del vulcano e spinte fino a breve distanza dal cratere. Quali e quante amministrazioni locali furono responsabili d’un simile scempio, a prospettiva disastrosa per 700 mila persone? Tutte o quasi, sotto la pressione della camorra o della densità di popolazione in Campania. Ora i dati raccolti da Gian Antonio Stella, nell’inchiesta pubblicata sul Corriere , segnalano una somma di scandali cronicizzati con fatti e cifre anche recenti. Reiterate sanatorie, solo venti demolizioni dal 1997 in poi, quasi 50 mila domande di condono, imprese abusive della camorra che intimidisce i possibili appaltatori degli abbattimenti. E l’incentivo a sfollare almeno l’area del maggior pericolo, giacché secondo l’Osservatorio Vesuviano «prima o poi dovremo fare i conti con una nuova eruzione», prevede solo buoni casa di 25 mila euro per famiglia.
Eppure si tratta del vulcano più temibile d’Europa, sempre vivo benché da 59 anni dormiente. Negli ultimi due secoli furono sette le maggiori eruzioni, dal 1822 al 1944, quando la colata lavica rovinò su abitati come San Sebastiano e Massa di Somma. Si teme in particolare la calotta calcarea, che può esplodere, anche se dopo macroscopici e prolungati segni premonitori controllabili dai sistemi d’allarme in un’area d’oltre 110 chilometri.
Che fare dinanzi a un’eruzione, sia pure non improvvisa e tuttavia intensa come quella del 1631, che giunse a devastare un’area di 500 chilometri quadrati? Il sonno lungo d’un vulcano a tendenza esplosiva non è affatto un dato rassicurante, come avvertono i vulcanologi rievocando l’esperienza storica dei risvegli più calamitosi dal 79 d.C., l’anno di Ercolano e Pompei, al 1980 del Mount Saint Helens esploso in America.
Nel settembre 1995 fu annunciato un Piano Vesuvio della Protezione Civile, che nel caso d’allarme dovrebbe organizzare l’esodo collettivo da un’area divisa in tre zone, rossa, gialla, blu, in tempi diversi secondo l’intensità immediata del pericolo. Per la zona rossa, tempo massimo una settimana. Anche se la maggioranza degli esperti considera improbabile per i prossimi tempi un’eruzione simile a quella del 1631, ora si vorrebbe sapere se quel progetto per l’emergenza è aggiornato, a distanza di otto anni, secondo i dati più recenti sull’abusivismo. E poi, si tiene conto veramente di tutto? Per esempio, del panico prevedibile dopo il semplice annuncio del primo allarme, delle fughe di massa nel timore d’una paralisi di porti e stazioni ferroviarie, delle conseguenze d’una pioggia di ceneri propagate dai venti su persone, motori, sistemi elettrici o meccanici.
Questo, in brevi termini semplificativi, è il massimo e peggiore scandalo nazionale dell’abusivismo edilizio, benché non se ne discuta quasi mai dalle tribune pubbliche. Ma è anche un esempio delle questioni vitali che dovrebbe trattare la politica seria, ben oltre le schermaglie tra schieramenti politici sui loro interessi e le dispute sulle opere pubbliche spettacolo. Se qualcuno vuole obiettare, come sempre, che il pessimismo allarmista deprime, la risposta è che l’ottimismo lassista deresponsabilizza.