Al Forte Village di Santa Margherita di Pula e fino al 13 novembre la Wolkswagen ha organizzato un evento al fine di presentare il suo ultimo modello a operatori e possibili compratori provenienti da 150 Paesi, tra cui ci sono i concessionari del Canada, dell’America del Nord, del Giappone, dei Paesi dell’Est Europeo. Si tratta di uno dei più importanti meeting internazionali organizzati avendo come scenario la Sardegna, o meglio una porzione della costa del sud, e si tratta anche di un caso di successo di turismo congressuale, così come più volte auspicato in diversi sedi, istituzionali ed economiche. In ragione di ciò, certamente saranno numerosi coloro che enfatizzeranno le ricadute economiche e simboliche di questo evento sulla nostra isola.
Considero il turismo strategico per la Sardegna e sono una sostenitrice del turismo congressuale, non ultimo perché l’università dà il suo piccolo contributo a questo settore, ma avverto il bisogno di avanzare due semplicissime domande: “quanta ricchezza prodotta da questo meeting rimarrà in Sardegna” e “quale immagine dell’Isola rimarrà impressa nei protagonisti di questo incontro”. Ho paura che sia facile rispondere alla prima domanda, anche perché l’intera organizzazione dell’incontro così come la struttura di accoglienza sono del tutto estranee alla Sardegna. Sulla seconda domanda, dalle cronache si evince che in questi giorni non si faranno solo affari automobilistici ma ci sarà oltre lo spazio internazionale che risponderà alle esigenze dei numerosi ospiti, uno spazio “mediterraneo”. Presumo che ci si riferisca soprattutto a cibi dell’economia locale, ma collocare la cultura della Sardegna in un apposito “spazio” appare di per sé significativo.
In realtà, il rischio che questo evento alimenti facili illusioni appare molto alto.
La prima illusione è che si debba rafforzare la monocultura del turismo, purtroppo radicata nei nostri territori, tanto che anche il più piccolo comune da alcuni anni finalizza parte delle sue scarse risorse finanziarie per organizzare occasioni di attrazione turistica (per lo più sagre). Senza peraltro fare mai un bilancio dei costi e dei benefici di questi investimenti. Ma non ogni territorio possiede una vocazione turistica e, soprattutto, quasi nessuno possiede le professionalità adeguate per entrare in un sistema complesso qual è il turismo. L’idea che tutto possa tradursi in turismo ha avuto un impatto devastante sulle città e sulle campagne, e ciò non riguarda solo la Sardegna ma è problema comune a tutti i Paesi a sviluppo avanzato, come ha messo in risalto la European Environment Agency nel 2006, sia perché si è tradotto prevalentemente in consumo del suolo sia perché un certo tipo di turismo – compreso quello di Santa Margherita di Pula – in realtà costituisce una minaccia per la stessa cultura europea, e sarda per ciò che ci riguarda.
La seconda illusione è che si rafforzi l’idea che in Sardegna sia necessario costruire alberghi di lusso un po’ ovunque, proprio per diffondere questo tipo di turismo di elite. Ciò significherebbe mettere in secondo piano ancora una volta le unicità paesaggistiche tuttora presenti nella nostra Isola. Ad esempio, mi aspetto che il caso del meeting della Wolkswagen venga utilizzato dai sostenitori del progetto di Capo Malfatano di Teulada come un buon esempio da diffondere e come argomento per dire, a chi si oppone, che costruire strutture ricettive per ricchi valga il sacrificio di luoghi tra i più incontaminati del Mediterraneo.
La terza illusione è che sia sufficiente avere alberghi a 5 stelle per organizzare grandi eventi, magari coinvolgendo archistar. Penso per ultimo alla recente polemica sul mancato Betile e al flusso di visitatori che, secondo alcuni, avrebbe potuto innescare questa costruzione griffata, prendendo ad esempio il successo del Maxxi a Roma. Ma soprattutto penso a Mita Resort di La Maddalena. Tutti esempi che ci portano, guarda caso, agli stessi proprietari.
In conclusione, le sirene del turismo sono sempre in agguato e finora sono servite ad allontanare il nostro sguardo dalle potenzialità reali della Sardegna, meno male che i movimenti degli operai e dei pastori fanno di tutto perché non dimentichiamo troppo.
Postilla
Più che “illusioni” le chiamerei gli “obiettivi” che la maggior parte dei promotori del turismo come salvezza della Sardegna si pone. Quale che sia l’occasione che spinge il viandante a muoversi, l’obiettivo reale, utile, fecondo per l’ospitante e per l’ospitato è la conoscenza. Se vado in un altro paese ciò che devo ottenere (e, magari, ciò che mi spinge ad andare qui invece che là) e allargare la mia conoscenza del mondo: dei suoi luoghi, le sue culture, il suo popolo, le sue abitudini, storie, cibi, odori, luci. Il turismo può diventare lo strumento che aiuta l’ospitante a non vivere l’identità della sua comunità come qualcosa che esclude chi non le appartiene, ma come qualcosa che si arricchisce comunicandosi; e che aiuta l’ospitato a comprendere come la diversità – dei luoghi e dei popoli – è un ricchezza per tutti, e la conoscenza degli altri un modo per conoscere meglio se stesso.
Sono rimasto molto colpi di sentire, con le mie orecchie, un autorevole esponente dalla politica sarda, il consigliere regionale Cuccureddu, già sindaco di Castelsardo e accanito oppositore di Renato Soru, esternate il pensiero esattamente opposto a quello che ho ora esposto. Raccontava degli incontri che aveva avuto con i cinesi, e della proposte che stava elaborando per accogliere molti cinesi in Sardegna, e diceva: «Se dalla Cina mi chiedono: “quali sono le 10 cose che possiamo indicare ai nostri cittadini come cose da vedere in Sardegna”, io non posso rispondere, che so, i nuraghi, perché per loro sono solo degli ammassi di pietre; ma posso dir loro – proseguì con orgoglio – da qui, prendendo un aereo, possono essere in un’ora o poco più a Parigi e vedere la Tour Eiffel, o a Roma e vedere San Pietro e il Colosseo, o a Pisa la sua torre, o a Barcellona ecc. ecc.».