Le cronache raccontano che nella piazza Omonia di Atene, dove Tsipras ha tenuto l’ultimo grande comizio della vigilia, c’era tanta gente comune, lontana dalla politica attiva, senza bandiere né slogan. Era il segnale tangibile che qualcosa si era mosso nelle profondità della società greca. Del resto i sondaggi delle ultime ore indicavano che la vittoria di Tsipras sarebbe stata alimentata da un voto che arrivava a Syriza da tutta la popolazione, anche da quei greci che alle ultime elezioni del 2012 avevano votato per la destra sperando di trovare così una via d’uscita alle loro sofferenze. C’era chi prevedeva che un 10 per cento dei consensi sarebbero venuti da quella parte di Nuova Democrazia ostile all’estremismo liberista del premier uscente Samaras. Gente per nulla di sinistra, ma che, questa volta, voleva punire un governo colpevole di avere decurtato pensioni e stipendi portandoli a livelli di sussidi.
D’altra parte quando superi il 35 per cento dei consensi vuol dire che i voti ti arrivano un po’ da tutti i ceti sociali, almeno da tutti quelli che la crisi ha messo con le spalle al muro, da quel 30 per cento di famiglie ridotte in povertà, da quei cittadini che in massa fanno la fila per rimediare medicinali e cibo. Se la nostra media della disoccupazione è al 12 per cento e ci fa paura, quella greca ha sfondato il 26 per cento, più del doppio, e si calcola che un milione e mezzo di occupati abbia sulle spalle otto milioni e mezzo di connazionali ridotti alla sussistenza.
Ormai si organizzano viaggi di studio per vedere e capire come Syriza sia riuscita a organizzare 400 centri di erogazione di servizi sociali in tutto il paese. Si resta increduli a sentire che si può comprare un appartamento per 5.000 euro, che il catasto è inservibile, ma che gli armatori sono ancora i potentissimi padroni di Atene.
Questo paese distrutto dalla guerra economica e governato dalla Troika oggi trova la forza di riacciuffare la speranza. Dando fiducia a una forza di sinistra nuova, impegnata in tutto il territorio nazionale a fianco dei più deboli, con un programma politico che fa della rinegoziazione del debito e la cancellazione dei Memorandun la leva a cui agganciare un’agenda di provvedimenti molto precisi: tetto minimo di 700 euro agli stipendi, tredicesima per le pensioni minime, cancellazione di tasse sulla casa e blocco delle aste giudiziarie, banche controllate dallo stato, patrimoniale sulle grandi ricchezze cresciute all’ombra della crisi.
Una proposta di governo ormai conosciuta come il “programma di Salonicco” che Tsipras ha promesso di perseguire a prescindere da come andrà la trattativa con le istituzioni europee. Di fronte allo sfascio di un paese che nella sua storia recente ha conosciuto pagine drammatiche fino al colpo di stato dei colonnelli negli anni ’70, il fatto che Syriza abbia sbarrato la strada alla destra eversiva è un risultato che sarebbe imperdonabile sottovalutare anche solo semplicemente sotto il profilo della difesa democratica.
Una destra sempre presente (con i neonazisti di Alba Dorata che contendono il terzo posto al raggruppamento di centrosinistra To Potami), perché se Tsipras dovesse fallire, in Grecia arriverà l’estrema destra. Lo sanno bene le cancellerie internazionali che si spingono a pur caute aperture verso una trattativa, come dimostra la linea aperturista del Financial Times.
Perché quello che sta vivendo oggi l’Europa, dalla Francia all’Ucraina, con la natura violenta, isolazionista, xenofoba, nazionalista delle destre che si stanno riorganizzando, potrà essere fermato solo da un rapido, benefico contagio del vento greco, da una cosmopolita sinistra europea di nuova generazione (fissata nell’immagine, a piazza Omonia, dell’abbraccio tra Tsipras e Iglesias, leader di Podemos).
Una sinistra che cita molto Gramsci, che ha solide radici a sinistra ma che intende lasciarsi alle spalle le zavorre novecentesche, capace di rinnovare radicalmente modelli partitici, leadership e culture politiche. La vittoria di Syriza è solo l’inizio di un percorso pieno di trappole, ostacoli, contraddizioni. Prendersi la responsabilità di governare un paese distrutto sembra quasi una missione impossibile.
Nel libro di Teodoro Andreadis Synghellakis, “Alexis Tsipras, la mia sinistra”, il leader di Syriza spiega molto bene che si tratta «di una scommessa enorme, simile a quella del Brasile di Lula» e avverte che «non possiamo permetterci il lusso di ignorare che gran parte della società greca, e anche una percentuale dei nostri sostenitori, abbia assorbito idee conservatrici». Dunque consapevolezza della prova che l’attende e determinazione nel perseguire l’obiettivo «che oggi non è il socialismo ma la fine dell’austerità».
Ma questi sono i momenti della festa, della svolta, della vittoria contromano, della bellissima rivincita che la Grecia si prende dopo sei anni vissuti come una piccola cavia nel grande laboratorio tedesco. Un paese da punire in modo esemplare per educare tutti gli altri: se non volete finire come la Grecia ingoiate l’amara medicina dei tagli a salari e pensioni (anche noi abbiamo assaggiato questa frusta e ingoiato questa pillola). Il debito vissuto come colpa (avete voluto vivere al di sopra delle vostre possibilità) con tutto l’armamentario dei luoghi comuni che ancora oggi sentiamo ripetere in tv e leggiamo sui giornali.
Ora dobbiamo attenderci un ampio fuoco di sbarramento contro la svolta sociale di Syriza che appunto ribalta la prospettiva e rimette la realtà con i piedi per terra.
Quando nel febbraio dello scorso anno Tsipras venne in Italia in vista delle elezioni europee, come prima tappa fece visita alla redazione del manifesto (Renzi non trovò il tempo di riceverlo). Ci parlò a lungo del cammino verso una sinistra unita e di quello che poi sarebbe diventato il programma di governo. Ci regalò una piccola barca di porcellana della collezione del museo Benaki, quasi un auspicio, un pronostico. Due coloratissime vele gonfie. Un anno fa il vento in poppa era un auspicio e forse un pronostico. Ora è una realtà sulla quale la sinistra italiana dovrebbe riflettere molto. E anche in fretta.
«Nikissame! Nikissame!», «Abbiamo vinto! Abbiamo vinto», festeggiavano ieri i greci radunati nei vari centri elettorali di Syriza ad Atene, a Salonicco, dal nord al sud del paese. Una svolta radicale, un vento progressista in Grecia, un messaggio per un’altra Europa da riflettere al resto del vecchio continente.
Alle 7 di domenica sera, subito dopo la chiusura delle urne, la buona notizia: Syriza appariva chiaramente come il partito vincente, secondo i primi exit-poll. La sinistra radicale ha ottenuto una vittoria di dimensioni storiche in Grecia, in Europa, raccogliendo tra il 35,5% e il 39,5% con 146–158 seggi, senza avere la certezza di poter formare un governo monocolore. Sconfitta la Nea Dimokratia che raccoglieva, sempre secondo gli exit-pool, tra il 23% e il 27% con 65–75 seggi.
Nelle elezioni più importanti degli ultimi decenni, ha vinto la speranza nel cambiamento e con essa la dignità, l’ orgoglio per il giorno dopo di un popolo che ha subito tanti sacrifici negli ultimi anni. Hanno vinto la democrazia, la giustizia sociale, la solidarietà.
Hanno perso la paura promossa dai conservatori, dai creditori internazionali, da chi vede nelle sinistre il diavolo rosso; hanno perso tutti coloro che nel nome di un risanamento economico del Paese hanno provocato questa crisi umanitaria senza precedenti, la recessione, la depressione collettiva, la violazione di leggi e di vite umane.
Verso le 10 di sera i risultati non erano ancora definitivi. 36,5% per il Syriza con 150 seggi, 27,7% per i conservatori della Nea Dimokratia con 76 seggi. Al terzo posto i nazisti di Alba dorata (Chrysi Avghi) con 6,3% e 17 seggi, il Fiume (To Potami) con 5,9% e 16 seggi, i comunisti del Kke con 5,6% e 15 seggi, il Pasok con 4,8% e 13 seggi e i Greci indipendenti (Anel) con 4,7% e 13 seggi.
Non sono riusciti a superare la soglia del 3% e rimangono fuori dal parlamento il Movimento dei socialisti democratici, fondato dall’ ex premier Yorgos Papandreou (2,5%, la Sinistra democratica, gia componente del Syriza e ex partner del governo di coalizione di Antonis Samaras (0,5%) e Antarsya, formazione della sinistra (0,6%).
Oltre alla preoccupazione che ha provocato a tutti il mantenimento della forza elettorale dei nazisti, la domanda che si poneva fino a tarda serata era se Syriza sarebbe riuscita a formare un governo monocolore e in secondo luogo se Alexis Tsipras avrebbe preferito una maggioranza debole (150–151 seggi sui 300) e la diminuzione della sua forza di trattattiva nei confronti dei creditori internazionali, oppure una collaborazione con un’ altra forza politica che di fatto avrebbe limitato la sua forza politica nell’applicazione del suo programma. «Faremo un altro invito al Kke» ha detto Dimitris Stratoulis, dirigente del Syriza, «ma se continuano a rispondere negativamente, tratteremo con altre forze politiche».
Secondo fonti di Syriza, la sinistra radicale esclude ogni collaborazione con le forze pro-memorandum (Nea Dimokratia, Pasok, To Potami), lasciando aperta l’ eventualità di una cooperazione con i Greci indipendenti, il partito di destra nazionalistico, l’ unico ad essere chiaramente anti-memorandum.
A parte le eventuali alleanze post-elettorali, a sentire i dirigenti di spicco del Syriza ai talk-show televisivi «i greci, e non solo quei che hanno votato per la sinistra radicale, hanno preso una grande boccata di ossigeno». Non certo tutti, ma almeno una parte sono consapevoli delle difficoltà, che il nuovo governo dovrà affrontare; ma a sentire questa gente che ieri gridava vittoria per le strade di Atene, «Tsipras durante i negoziati con la troika avra un ottimo alleato».
Piena soddisfazione tra gli attivisti della «Brigata kalimera» radunata in piazza Klathmonos nel pieno centro di Atene. Smentita la telefonata di Matteo Renzi a Tsipras, mentre la prima reazione da Berlino è arrivata da Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, la Banca centrale tedesca, da sempre custode del rigore del bilancio e avversario di Mario Draghi, il quale ha detto con toni minacciosi che «gli aiuti economici verso Atene continueranno soltanto se la Grecia rispetta i patti». La risposta di Syriza è stata immediata. «Parleremo e tratteremo a livello politico con la leadership europea, non con i suoi rappresentanti» ha detto ieri il vice-presidente dell’ europarlamento, Dimitris Papadimoulis, anticipando l’ atteggiamento del nuovo governo di Atene nei confronti della troika (Fmi, Ue, Bce).
Il risultato ottenuto dalla Nea Dimokratia difficilmente sarà gestito dal premier uscente Antonis Samaras. Samaras ha usato un linguaggio nazionalistico adottato pure da Alba dorata, come per esempio lo slogan della campagna elettorale «patria, religione, famiglia» che ha fatto allontanare molti elettori di destra. Problemi e lamentele si sono sentite ieri anche nel quartier generale dei socialisti del Pasok. Il vice-presidente del governo di coalizione e leader del Pasok, Evanghelos Venizelos probabilmente si allontanerà, ma «non come sconfitto» secondo i suoi stretti collaborattori.
ESPLODE LA GIOIA DELL’ALTRA EUROPA
di Jacopo Rosatelli
L’Unione europea è quella del tendone di piazza Klafthmonos, dove Syriza ha chiamato a raccolta i suoi sostenitori. Pieno all’inverosimile, caldo quasi insopportabile, pochi istanti prima delle 7 ore locale la tensione si taglia con il coltello: facce concentrate, cenni di incoraggiamento reciproco. Poi l’annuncio degli exit polls, e ci si scioglie in un abbraccio collettivo.
Greci, tedeschi, spagnoli, francesi, inglesi, italiani, e chissà da quante altre parti del Vecchio continente: un enorme, corale urlo di gioia cancella l’ansia e la fatica. Ora si può festeggiare. Esiste un’altra Europa, è quella che si è data appuntamento qui, nel centro di Atene.
«Questo è uno di quei momenti in cui si dimostra che anche i piccoli possono fare la storia, possono cambiare il mondo» ci dice subito, tra lacrime di gioia, Raffaella Bolini, l’infaticabile organizzatrice della Brigata Kalimera e di mille altre avventure politiche internazionali. «C’è chi ha ironizzato sul nostro viaggio per criticarci, ma noi siamo venuti a immergerci nella realtà greca: non torneremo in Italia uguali a come eravamo alla partenza, perché questa esperienza ci ha davvero arricchiti», afferma una raggiante Rosa Rinaldi, tra le principali artefici del «miracolo» della fondamentale raccolta firme in Valle d’Aosta per la lista delle europee. «Ora la speranza si materializza: vale per i greci, ma vale anche per noi, perché Syriza al governo ad Atene significa una rivoluzione democratica per l’intera Europa. Persino il nostro pusillanime premier Matteo Renzi potrà ora avere più margini di manovra nei confronti dei partner continentali, e a noi a sinistra spetta il compito di costruire una vera alternativa di società: senza copiare modelli di altri Paesi, ma cogliendo la straordinaria occasione di questo momento», conclude Rinaldi.
«Il messaggio di domenica sera – riflette Maso Notarianni, anima dell’Altra Europa a Milano – è che nella sinistra italiana dobbiamo finalmente abbandonare un atteggiamento minoritario ancora troppo diffuso: qui in Grecia ci dimostrano che si può fare. Bisogna essere convinti che un’utopia può diventare realtà».
La soddisfazione in piazza Klafthmonos è ovviamente di tutti, indipendentemente dalla nazionalità. Ciascuno ha però un compito diverso nel proprio Paese.
In Spagna lo scenario politico più simile a quello greco: «La svolta nella politica europea è possibile. La sfida per noi è prendere ad esempio Syriza e mettere da parte personalismi o divisioni infondate, concentrandoci nella cosa più importante, che è unire le forze», ragiona Alberto Garzón, il nuovo (e giovane) leader di Izquierda unida. Il messaggio che invia dal tendone ateniese è diretto a Podemos, che finora nicchia sulla possibilità di costruire un cartello unitario alle elezioni di autunno.
Parole simili da Enest Urtasun, brillante eurodeputato della sinistra ecologista catalana, «pontiere» fra i Verdi e il gruppo del Gue (Sinistra unitaria europea) nel parlamento di Strasburgo: «La scelta giusta è quella fatta a Barcellona per le prossime municipali: lista unitaria di tutti quelli che si battono contro l’austerità». Di diverso avviso è l’attivista di Podemos Ramón Arana: «non voglio alleanze con i partiti del ‘vecchio sistema’, ma parlo a titolo personale». Pensionato 64enne, Ramón è venuto ad Atene da Madrid «per assistere alla presa della Bastiglia del ventunesimo secolo».
I tedeschi della Linke – muniti di cartelli inequivocabili: «La nuova Europa comincia in Grecia» – usano toni meno enfatici, ma la sostanza è la stessa: niente potrà essere più come prima. «La cancelliera Angela Merkel dice sempre che non ci sono alternative alle attuali politiche, ma la vittoria di Syriza mostra che è falso» ci dice Katharina Dahme della direzione nazionale del partito. «Il nostro compito sarà mostrare ai cittadini del nostro Paese che la politica del nuovo governo di Atene non sarà solo nell’interesse dei greci, ma anche dei lavoratori in Germania, che hanno bisogno di salari più alti e di una politica sociale differente», conclude la dirigente del principale partito dell’opposizione tedesca.