Huffington Post online, 16 luglio 2017
Davvero non verrebbe voglia di parlare del libro di Renzi: anche perché viene da piangere pensando che un editore con la storia di Feltrinelli si sia prestato a questa grottesca operazione di marketing politico. Ma discutere di alcuni dei nodi toccati nelle innumerevoli anticipazioni del libro è almeno un modo per dirci con chiarezza cosa vuol dire oggi essere di sinistra. Parlando delle cose, e dei problemi: e non seguendo e alimentando, invece, il terrificante borsino quotidiano delle distanze di Pisapia da D'Alema, roba capace di far crollare ai minimi storici l'affluenza alle prossime elezioni.
Nella pagina ritagliata per il quotidiano dei vescovi, Avvenire, Renzi scrive che: «Avere rifiutato di menzionare le radici cristiane dell'Europa appare dunque un tragico errore che, in nome di un astratto principio di rispetto multiculturale, ha impedito una definizione più precisa della nostra identità. Quasi che avessimo paura a definirci per quello che siamo dal punto di vista oggettivo della cultura continentale, non certo dal punto di vista soggettivo del culto individuale».
Ecco, questa è una posizione inequivocabilmente di destra. Perché pensa di usare una costituzione europea per definire una identità escludente: ritenendo che l'Europa sia “casa nostra”, ben distante dalle case in cui dovremmo aiutare (cito sempre Renzi) i migranti musulmani. Devo dichiarare che sono cristiano, e cattolico praticante. Ma sono anche uno strenuo sostenitore della più rigorosa laicità dello Stato. Perché sono profondamente convinto – cito Oscar Luigi Scalfaro, il più cattolico e anche il più laico dei nostri presidenti – che «lo Stato deve essere la casa di tutti». Lo Stato italiano: e a maggior ragione l'Europa.
Matteo Renzi, che pure si è laureato con una tesi su Giorgio La Pira, forse non ricorda il dibattito alla Costituente del 22 dicembre 1947. Con la Carta sul filo del traguardo (verrà approvata quello stesso giorno), il cattolicissimo deputato fiorentino propose di inserire un preambolo che contenesse il nome di Dio. A questo punto intervennero, mirabilmente, Palmiro Togliatti, Concetto Marchesi e Piero Calamandrei: tutti garbatamente, ma fermamente, contrari. Marchesi – comunista, partigiano e grande umanista – disse che «questo mistero, questo supremo mistero dell'universo non può essere risoluto in un articolo della Costituzione, in un articolo di Costituzione che riguarda tutti i cittadini, quelli che credono, quelli che non credono, quelli che crederanno».
La Pira, alla fine, ritirò saggiamente la sua proposta, per non spaccare la Costituente sul nome di Dio. Ma il punto qui più rilevante è quello in cui La Pira chiarisce il senso della sua proposta: che voleva essere un alto riferimento ad una dimensione spirituale, non una dichiarazione confessionale. Il Dio che La Pira voleva in Costituzione, insomma, non era il Dio cristiano: «L'importante è di non fare una specifica affermazione di fede, come è nella Costituzione irlandese:"In nome della Santissima Trinità"», disse.
Oggi, settant'anni dopo, Renzi vorrebbe invece per l'Europa proprio quella dichiarazione di una matrice confessionale che La Pira non voleva allora. Ed è fin troppo evidente che Renzi non è più cattolico di La Pira: ma oggi questioni altissime come questa vengono cucinate sul fuoco della più brutale ricerca del consenso. Perché è chiaro che un'affermazione identitaria come quella che vorrebbe Renzi va letta nel quadro della retorica securitaria: nella retorica che definisce una “casa nostra” in opposizione alla “casa loro”. L'idea tristissima di un'Europa così incapace di futuro, e riversa su stessa, da trasformare la propria storia in un muro.
Allora, no: il “tragico errore” di cui parla Renzi non è certo quello di aver saggiamente rinunciato alla menzione delle “radici cristiane”. Da fiorentino e, appunto, da cristiano vorrei ricordare al mio ex sindaco un suo personale “tragico errore”: quello di essersi opposto in tutti i modi alla costruzione di una moschea a Firenze.
«Non vedo spazi nel centro storico di Firenze per farla, in questo momento» diceva Renzi nel marzo 2011. Nacque allora un ampio dibattito, e quando gli scrissi una mail con la proposta di cercare quello spazio in una chiesa sconsacrata (è successo per esempio a Palermo), Renzi mi rispose: «È una bella sfida, Tomaso. Davvero una bella sfida...». Naturalmente una sfida mai raccolta: Firenze non ha una moschea.
E ancora recentissimamente Renzi ha rimbrottato il suo successore Dario Nardella, che finalmente dà qualche timido segnale di indipendenza e che aveva individuato un luogo dove fare la moschea, rimproverandogli di mettere a rischio un confinante affare immobiliare (dell'imprenditore che aveva comprato l'Unità).
Ecco: inscrivere nella costituzione europea le “radici cristiane” è un'idea di destra, che va d'accordo con la linea politica (di destra) di un'amministrazione che fa di tutto per non permettere la costruzione di una moschea.
È difficile esagerare la portata di una questione come questa. In un recente, magnifico libro (Ma quale paradiso? Tra i Jihadisti delle Maldive, Einaudi 2017) Francesca Borri racconta che quando un maldiviano apprende che lei è italiana, reagisce così: «Ho visto quelle foto di ... come si chiama, con tutti i musulmani che pregano nei parcheggi dei supermercati!». E l'autrice commenta: «Si chiama Nicolò De Giorgis, il fotografo. L'Italia ha 1,3 milioni di musulmani. E 8 moschee. I musulmani pregano in palestre dismesse, campi incolti. In periferie di cemento e ciminiere, tra vecchi copertoni. Al riparo di teli di plastica». Questa la percezione dell'Italia, alle Maldive: il paese del lusso per gli occidentali, e anche il paese con il più alto numero pro capite di foreign fighters, cioè di musulmani che vanno a combattere in Siria, con l'Isis.
Basta questo per capire che, se stiamo facendo un “tragico errore”, quell'errore non è certo evitare l'ennesimo arroccamento identitario dettato dalla paura, ma piuttosto quelli di non camminare a grandi passi sulla via non solo dell'integrazione, ma della giustizia.
Costruire giustizia, inclusione, eguaglianza: ecco cosa vuol dire essere di sinistra. E cioè provare a costruire un futuro migliore, e più giusto. E si potrebbe anche aggiungere: fare cose cristiane, invece che sbandierare radici cristiane. Può darsi che queste siano cose “estremistiche” o “radicali” rispetto al teatrino delle prossimità variabili tra i leader senza popolo di una sinistra che non c'è. Allora, spero che le sere di questa estate servano a discutere di queste cose: a costruire una sinistra un po' più radicale.