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Vittorio Emiliani
Il TAR boccia i direttori dei musei
26 Maggio 2017
Beni culturali
Se questi ministri non sanno neppure fare leggi conformi alla Costituzione e alle altre leggi dello Stato dobbiamo dire: (1) viva il TAR; (2) è colpa di Franceschini se il mondo non ci rispetta. Articoli di Adriana Pollice, Tomaso Montanari, Francesco Erbani, Vittorio Emiliani.

il manifesto , la Repubblica,il Fatto quotidiano. 26 maggio 2017 (c.m.c)

il manifesto
MIBACT, IL TAR BOCCIA I DIRETTORI DEI MUSEI
di Adriana Pollice

«E' l'ennesima stroncatura di un provvedimento simbolo dei mille giorni del governo Renzi: la sentenza accoglie i ricorsi e annulla cinque nomine per vizi di procedura e criteri magmatici nel giudizio. Contestata anche la partecipazione di stranieri»

«Il mondo ha visto cambiare in due anni i musei italiani e ora il Tar Lazio annulla le nomine di cinque direttori. Non ho parole ed è meglio»: il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, ieri mattina ha dato avvio alle ostilità contro i giudici amministrativi via social. Il Tar mercoledì ha depositato due sentenze con cui ha accolto i ricorsi contro le nomine dei direttori del museo di Mantova; degli Archeologici di Napoli, Taranto e Reggio Calabria; le Gallerie Estensi di Modena. Salvo il Parco archeologico di Paestum, grazie a un difetto di notifica. Due i rilievi: la legislazione italiana non consente di affidare ruoli direttivi a stranieri e ci sarebbero state irregolarità durante le selezioni.

Si tratta dell'ennesima bocciatura di un provvedimento simbolo dei mille giorni del governo Renzi: dei venti musei diventati autonomi con la riforma introdotta nel 2015, sette sono stati assegnati a direttori provenienti da oltreconfine. Effetti immediati però ci saranno solo per Peter Assman, alla guida del Palazzo ducale di Mantova, oggetto del ricorso. Con lui lasciano Martina Bagnoli, Eva Degli Innocenti, Paolo Giulierini e Carmelo Malacrino. Eike Schmidt resta agli Uffizi e Cecile Holberg alla Galleria dell’Accademia di Firenze perché il Tar non ha accolto le ragioni contro le rispettive nomine. Schmidt è tra i pochi che ha rilasciato un commento: «Ero molto più scioccato quando i centurioni hanno vinto con l’aiuto del Tar e sono tornati al Colosseo. Sarebbe però disastroso se tutto venisse paralizzato dai meccanismi di tutela di interessi particolari».

Ieri il ministero ha fatto partire il ricorso al Consiglio di stato con la richiesta di sospensiva delle sentenze: «Sono preoccupato per la figura che l’Italia fa nel resto del mondo e per le conseguenze pratiche», ha spiegato Franceschini. I due pronunciamenti hanno effetto immediato: i cinque siti saranno affidati ad interim in attesa di un nuovo grado di giudizio. «Che si faccia riferimento al fatto che i direttori sono stranieri – ha proseguito il ministro – stride con la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea e del Consiglio di Stato. La selezione internazionale per i direttori pubblicata sull’Economist ha ricevuto apprezzamenti ovunque».

Il Tar ha accolto il ricorso di Francesco Sirano (che aveva corso per le posizioni di direttore a Napoli, Paestum, Reggio Calabria, Taranto) e di Giovanna Paolozzi Maiorca Strozzi (in corsa a Mantova e Modena). La decisione della sezione presieduta da Leonardo Pasanisis contesta tre aspetti del concorso. La partecipazione di stranieri quando «nessuna norma consentiva al Mibact di reclutare dirigenti al di fuori delle indicazioni della legge sul pubblico impiego del 2001». La norma prevede che i cittadini comunitari possono lavorare nelle amministrazioni pubbliche ma in posizioni che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri.

I giudici hanno anche valutato poco chiari i criteri della commissione (magmatici li hanno definiti): non si comprenderebbe, scrivono, «il reale punteggio attribuito a ciascun candidato» durante la prova orale; inoltre «lo scarto minimo dei punteggi tra i candidati meritava una più puntuale manifestazione espressa di giudizio, piuttosto che motivazioni criptiche e involute». L’orale, poi, si è svolto a porte chiuse quindi non è stato assicurato il libero ingresso ai concorrenti «al fine di verificare il corretto operare della commissione». Almeno in due hanno sostenuto la prova via Skype.

Il MIBACT ha diffuto i dati sul boom di presenze nei musei (più 7 milioni di ingressi, più 50 milioni di incassi dal 2013 al 2016) per poi replicare ai rilievi in una nota: la procedura si sarebbe svolta in conformità al diritto europeo e nazionale, con «una commissione di altissimo profilo scientifico presieduta dal presidente della Biennale di Venezia affiancato dal direttore della National Gallery di Londra, il rettore del Wissenschaftskolleg di Berlino e l’attuale consigliera culturale del presidente francese Macron». Sulla nomina di stranieri, il ministero si appella al principio di libera circolazione dei lavoratori nella Ue: «Il Tar del Lazio sembra aver applicato in modo restrittivo la legge sul pubblico impiego, ignorando i progressi fatti». Riguardo al concorso, ha fatto sapere il Mibact, ogni passaggio è stato pubblicato sul sito del ministero e i colloqui orali «sono stati registrati su file audio accessibili, come tutti gli altri atti della selezione».

Anche Matteo Renzi è partito all’attacco dei giudici via social: «Nei mille giorni abbiamo fatto molte cose belle. Una delle scelte di cui sono più orgoglioso è aver dato ai più bravi la possibilità di concorrere per la direzione dei musei italiani. Non possiamo più essere una Repubblica fondata sul cavillo e sul ricorso. Abbiamo sbagliato perché non abbiamo provato a cambiare i Tar». Il ministro della Giustizia ed esponente della minoranza Pd, Andrea Orlando, si è allineato al segretario: «I Tar andrebbero certamente cambiati, senza demonizzarli».

Il fronte comune democratico ha offerto il fianco alla replica dei parlamentari 5S: «Renzi ormai si è berlusconizzato. Dal segretario del Pd è arrivata un’intimidazione nei confronti di tutti gli organi giurisdizionali. L’ex premier ha fatto capire che, se arrivano sentenze sgradite dal governo e dalla maggioranza, bisogna cambiare i giudici e non i provvedimenti scritti male o incostituzionali».

Mdp con Miguel Gotor ha invitato Franceschini a rispettare le regole. Anche l’Associazione nazionale magistrati amministrativi ha ribattuto: «Le istituzioni rispettino i magistrati, chiamati semplicemente ad applicare le leggi. La nomina di dirigenti pubblici stranieri è vietata nel nostro ordinamento. Se si vogliono aprire la porte all’Europa, e noi siamo d’accordo, bisogna cambiare le norme, non i Tar». Ma secondo il giudice emerito della Corte Costituzionale, Sabino Cassese, il Tar avrebbe ignorato «che il diritto europeo consente la nomina di cittadini stranieri come direttori di Musei anche statali».

il manifesto
IL MINISTRO FAI DAI TE
ARROGANTE E PASTICCIONE
di Tomaso Montanari«Beni culturali. La nomina dei superdirettori oggetto dei ricorsi esaminati ha due gravi difetti. Il primo è che viola una legge del 2001 che impone che la dirigenza pubblica sia riservata ai cittadini italiani. Il secondo è che le modalità della selezione sono state così opache da non garantire i diritti di tutti i concorrenti»

Mercoledì il ministro per i Beni Culturali Dario Franceschini ha detto di aver licenziato i volontari che mandano avanti la Biblioteca Nazionale di Roma perché è «tenuto a rispettare la legge». Giovedì, invece, ha detto che il Tar del Lazio ha fatto fare una «figuraccia all’Italia».

Perché ha cassato un suo atto che non ha rispettato la legge. Se ne ricava che il governo rispetta la legge quando coincide con le sue idee.

E ieri Matteo Renzi e Andrea Orlando sono intervenuti, in magnifica armonia (tra loro, e con il miglior Silvio Berlusconi), per dire che siccome un Tar ha dato torto al governo, ebbene bisogna riformare i Tar. Insomma: «Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo».

È il degno epilogo di un triennio di sommo disprezzo delle regole e delle persone che costituiscono l’amministrazione pubblica. Il renzismo procede a spallate, e quando un giudice (come la Corte Costituzionale con la Legge Madia) o il popolo italiano (con la riforma costituzionale) resiste alla spallata, la reazione non è un bagno di umiltà, ma un rigurgito di arroganza.

Se la reazione svela l’analfabetismo democratico, il merito delle due sentenze appare interessante. Esse affermano che la nomina dei superdirettori oggetto dei ricorsi esaminati ha due gravi difetti. Il primo è che viola una legge del 2001 che impone che la dirigenza pubblica sia riservata ai cittadini italiani. Il secondo è che le modalità della selezione sono state così opache da non garantire i diritti di tutti i concorrenti.

Sarà il Consiglio di Stato a dire l’ultima parola sul piano giuridico. Ma sul piano politico e culturale va detto che il Tar mette il dito in una piaga purulenta.

La commissione che ha scelto i direttori era politicamente condizionata, anzi strettamente controllata, dal ministro Franceschini. Il suo presidente (l’eterno Paolo Baratta) attendeva nelle stesse settimane che il ministro derogasse alla legge che gli impediva di rimanere alla guida della Biennale. Altri due membri erano Lorenzo Casini (braccio destro del ministro e autore della riforma oggi censurata dal Tar) e Claudia Ferrazzi (che Franceschini subito dopo nominerà nel cda degli Uffizi e nel Consiglio superiore dei Beni culturali): una maggioranza sufficiente a rendere superfluo il voto degli unici due tecnici indipendenti.

Il mandato era chiaro, quasi esplicito: tener fuori tutti i funzionari del Mibact (gli odiati soprintendenti, che Renzi e Boschi avevano annunciato di voler estinguere) e scegliere sconosciuti dal profilo più basso possibile, che fossero poi naturalmente grati al ministro che li aveva scelti. Già, perché la commissione doveva solo allestire una terna, mentre a scegliere era sempre lui, il ministro. Le modalità della selezione (9 minuti per leggere i curricula e meno di 15 per i colloqui) era coerente con questa impostazione.

E il risultato finale fu sconcertante: i maggiori musei del mondo finivano nelle mani di persone che (in quasi tutti i casi) non avevano mai diretto nemmeno un piccolo museo di provincia, ma erano stati solo conservatori di sezioni di musei. È in questo senso che si deve leggere l’ostentata preferenza per direttori ‘stranieri’, cioè per figure di ‘sradicati’, nuovi capitani di ventura messi in condizione di render conto solo al potere che li ha nominati. Naturalmente non si tratta di un problema di nazionalismo.

In un capitolo de La ribellione delle élite, Christopher Lasch analizza la «visione essenzialmente turistica» di una classe dirigente internazionale che non ha nulla a che fare con le comunità che governa: «non esattamente una prospettiva che possa incoraggiare un’ardente devozione per la democrazia». Una prospettiva che compromette in modo ancora più radicale quella funzione civile del patrimonio culturale, basata sull’indipendenza della conoscenza, che era tipica della tradizione italiana, e che solo la nostra carta costituzionale mette tra i principi fondamentali della comunità nazionale. D’altra parte, la mercificazione dei musei e la nomina dei fedelissimi superdirettori è solo un pezzo di quel vasto smontaggio dell’articolo 9 che Renzi ha disposto, e Franceschini eseguito. Non è certo un progetto che si possa battere per via giudiziaria, ma è confortante sapere che c’è un giudice, a Berlino.

la Repubblica
«SONO STRANIERI NOMINE NULLE»
DECAPITATA LA RIFORMA DEI MUSEI

di Francesco Erbani

«Il Tribunale amministrativo boccia 5 nuovi direttori. Franceschini: “Non ho parole”»

Saltano i direttori di cinque musei, ma è tutta la riforma dei Beni culturali voluta da Dario Franceschini che vacilla sotto i colpi di due sentenze del Tar del Lazio. Sentenze contro le quali il ministro ha annunciato ricorso al Consiglio di Stato: «Lo faremo oggi stesso», dice, aggiungendo un rammarico: «Che figura faremo in tutto il mondo?». Intanto sono da ieri vacanti i posti di direttore al Mann, il museo nazionale archeologico di Napoli, fra i più pregati al mondo, a quello di Reggio Calabria, dove sono ospitati i Bronzi di Riace, poi al museo di Taranto, scrigno dell’archeologia magnogreca, quindi alle Gallerie Estensi di Modena e al Palazzo ducale di Mantova, gioielli del nostro patrimonio storico-artistico.

Nel mirino dei giudici amministrativi è finito uno dei punti chiave della riforma, fin da subito bersagliato dalle critiche: le procedure dei concorsi che hanno portato alla nomina di cinque dei trenta nuovi direttori di musei, siti monumentali e archeologici insediati con la riforma (in particolare il sistema di valutazione dei curricola e le modalità dei colloqui). E, per Mantova, anche il fatto che il direttore sia l’austriaco Peter Assmann, non un italiano. Il che, stando ai giudici, non è possibile sulla base delle norme vigenti.

Sulle sentenze è un batti e ribatti di dichiarazioni. Il segretario del Pd, Matteo Renzi si rimprovera «di non aver provato a cambiare i Tar». A lui e ad altri replica il presidente dell’Anma, il sindacato dei giudici amministrativi: «Reazioni scomposte, i giudici fanno solo rispettare la legge». Ma il terremoto scuote soprattutto l’edificio di una riforma apprezzata da molti, per l’autonomia garantita ai musei, che ne hanno in diversi casi guadagnato in dinamismo e in apertura al territorio e hanno conquistato visitatori. Ma avversata da tanti altri, perché si sarebbe concentrata sui musei trascurando le patologie di cui soffrono i beni culturali e il paesaggio – dagli scarsi finanziamenti all’esiguità del personale, sempre più anziano – e producendo scompensi e caos in molti uffici. I ricorsi sono la spia di un malessere assai diffuso fra chi è impegnato nella tutela in Italia.

I giudici amministrativi laziali hanno accolto le istanze di due candidati, la storica dell’arte Giovanna Paolozzi Strozzi e l’archeologo Francesco Sirano. La prima aveva fatto domanda per le Gallerie Estensi e il Palazzo ducale di Mantova. Il secondo per Napoli, Taranto, Reggio Calabria e Paestum. Nella successiva tornata di concorsi, però, Sirano si è candidato, peraltro con le stesse modalità contro cui ha fatto ricorso, per dirigere il sito di Ercolano ed ha vinto.

Un’altra sezione dello stesso Tar del Lazio, qualche settimana fa, aveva respinto i ricorsi contro la nomina di Mauro Felicori, designato alla guida della Reggia di Caserta. E anche Eike Schmidt, direttore degli Uffizi, e Cecile Holberg, della Galleria dell’Accademia avevano visto confermati i propri incarichi. Ma nel caso di Assmann i giudici hanno riscontrato un’illegittimità: le norme che regolano il lavoro nel pubblico impiego non ammettono la possibilità di aprire i ranghi della nostra amministrazione anche ai non italiani. Al ministero ribattono citando sentenze della Corte di giustizia europea, riprese dal Consiglio di Stato, che restringerebbero l’esclusione ai prefetti, agli ambasciatori ed altre figure di questo tipo. Non ai direttori di museo. A favore di tale ipotesi si è schierato un illustre amministrativista come Sabino Cassese. Assmann è sospeso dall’incarico, come gli altri quattro colleghi: Paolo Giulierini, che dirige l’Archeologico di Napoli, Martina Bagnoli delle Gallerie Estensi di Modena, Carmelo Malacrino dell’Archeologico di Reggio Calabria ed Eva Degl’Innocenti del museo tarantino.

Lo stesso rischio ha corso il direttore di Paestum, il tedesco Gabriel Zuchtriegel, anche lui bersaglio di un ricorso: ma per un difetto di notifica il procedimento si è arenato. Per riempire questi vuoti, il ministero procederà con incarichi ad interim. Ma l’interrogativo che si diffonde è: che cosa succederà agli altri direttori e al sistema nel suo complesso dei beni culturali, già così provato? E se venissero presentati altri ricorsi?

Oltre al motivo dell’italianità, i giudici contestano il modo in cui si è svolto il concorso, a cominciare dalla formulazione del bando. Per arrivare ai criteri di valutazione, al modo in sono stati assegnati i punteggi - poco motivati, insistono i giudici. In un primo tempo sono stati selezionati dieci candidati per ogni sito, sulla base dei curricola e di una lettera di motivazioni. Con ognuno di loro si è svolto un colloquio della durata, racconta chi l’ha sostenuto, di venti minuti (al termine dei quali suonava una specie di sveglia), in cui occorreva illustrare un progetto di gestione del museo. A quel punto si costituiva una terna senza graduatoria all’interno della quale il ministro e il direttore generale dei Musei, Ugo Soragni, designava il prescelto, conservando ampia discrezionalità. Secondo i ricorsi, i colloqui non si sarebbero svolti in maniera corretta. Non erano cioè pubblici (uno si è svolto via Skype) né potevano accedervi gli altri candidati. Questo rilievo è stato accolto dai giudici.

«La selezione dei direttori è stata effettuata da una commissione di altissimo profilo scientifico», ribatte il ministero. La presiedeva Paolo Baratta, presidente della Biennale di Venezia, e in essa figuravano il direttore della National Gallery di Londra, il rettore del Wissenschaftskolleg di Berlino e Claudia Ferrazzi, appena scelta da Emmanuel Macron come consigliere culturale. «I colloqui non sono avvenuti a “porte chiuse”», insiste il ministero, «e sono stati registrati su file audio accessibili come tutti gli altri atti della selezione».

Ora la parola passa al Consiglio di Stato. Ma quelli inferti dal Tar non sono gli unici colpi alla riforma Franceschini. Due mesi fa il ministero ha revocato l’incarico al direttore degli scavi di Ostia antica, Fabrizio Delussu, nominato dopo il concorso. Il motivo? Il suo curriculum, pur esaminato dalla commissione, presentava una serie di requisiti che si sono poi rivelati infondati e «hanno fatto venir meno i presupposti per la nomina».

Il Fatto quotidiano
"VICE-DISASTRO":
RIFORMA DEI MUSEI DA RIFARE
di Vittorio Emiliani

«Il Tar del Lazio accoglie i ricorsi e manda a casa 5 direttori: demolite le trovate di Franceschini»

La “bomba” giuridica con la quale il Tar del Lazio ha annullato le nomine volute dal ministro Dario Franceschini per Musei italiani di eccellenza era attesa. Fragile e opaco l’impianto della selezione pubblica (non concorso) voluta dal ministro. Difatti il Tar rileva “criteri di natura magmatica” e cioè presentazione dei curriculum e della bibliografia, colloqui di 10-15 minuti, non di ore, coi candidati selezionati “a porte chiuse” (alcuni, si apprende, via Skype) e poi individuazione di una “decina” e quindi di una “terna” di nomi fra i quali il ministro e il direttore generale avrebbero scelto il vincente. Nomi delle decine e delle terne così scaturite (e relativi punteggi assegnati) rimasti ignoti, nonostante ora il Ministero parli di “procedura trasparente e pubblica”. In più per il Tar, secondo la legge in vigore, “il bando della selezione non poteva ammettere la partecipazione al concorso di cittadini non italiani”.

Mentre Franceschini se la prende con la sentenza: “Figuraccia davanti al mondo”, Matteo Renzi commenta, piccato: “Bisognava riformare i Tar” e non solo i Musei, confermando la propria allergia per i controlli di garanzia. Del resto l’allora ministra Maria Elena Boschi concordò, una sera in tv, con Matteo Salvini, grande intellettuale lombardo, che sulla abolizione delle Soprintendenze si poteva ben discutere.

Per i primi venti Musei uno solo dei direttori in carica, Anna Coliva alla Galleria Borghese, era stato confermato da Franceschini. Via tutti gli altri, con alcune nomine a dir poco sorprendenti, di cui adesso cinque bocciate dal Tar del Lazio: un etruscologo dal curriculum proprio miserello, Paolo Giulierini, al più grande Museo greco-romano del mondo, quello di Napoli; una medievista, Eva Degli Innocenti, al superbo Museo della Magna Grecia a Taranto. Bocciati dal Tar anche l’austriaco Peter Assman, della cui discussa gestione del Palazzo Ducale di Mantova si è occupato Giampiero Calapà sul Fatto del 14 maggio; Carmelo Malacrino al Museo archeologico di Reggio Calabria e Martina Bagnoli alla Galleria Estense di Modena. Restano in carica, non colpiti dalla sentenza del Tar, tra gli altri, un esperto di cimiteri e di marketing (non cimiteriale) Mauro Felicori alla Reggia di Caserta; il direttore del Museo di arti tessili del Minnesota, Eike Schmidt, agli Uffizi; lo svizzero Gabriel Zuchfriegel, segretario a Pompei di Massimo Osanna, senza esperienze gestionali, a Paestum e così via. Dall’estero erano forse arrivati direttori-manager di grande valore? Francamente no. Nonostante stipendi cospicui (favolosi per il Mibact): 145.000 euro più bonus. Fino a 195.000. Sei volte più dei direttori precedenti.

Il ministro Dario Franceschini si dice “stupefatto che la sentenza del Tar” si esprima in quel modo, dal momento che “la commissione era assolutamente imparziale composta” da personaggi del più alto livello, garanzia “di neutralità e trasparenza”. Già ma il Tar mette il dito non sulla commissione, ma più a fondo: sui criteri “magmatici e poco chiari”. Il ministro deve prendersela con se stesso e col suo ufficio giuridico che ha scelto la strada della selezione (curriculum e colloquio privato) anzichè quella di un vero bando concorsuale europeo e non ha tenuto conto della legge del 2001 la quale prevede che soltanto cittadini italiani possano essere nominati dirigenti dello Stato italiano. Un’altra norma malfatta e malscritta? Vedremo cosa dirà il Consiglio di Stato.

Franceschini lamenta che così si interrompe un ciclo positivo per i musei italiani vivacizzati dai super-direttori stranieri. È innegabile che i musei e le aree archeologiche italiane hanno segnato buoni incrementi dovuti, però, ad una non meno innegabile congiuntura turistica favorevole. Il terrorismo ha prodotto crolli di arrivi in Francia, a Parigi in specie, Tunisia, Libia, Egitto, Turchia, ecc. Ne hanno beneficiato Portogallo, Spagna, Grecia e Italia. Poi c’è l’invenzione delle domeniche gratuite che porta milioni (di italiani soprattutto) ad assalire musei e siti. Quanti sono? Gli arrivi dall’estero sono aumentati del 9% e gli ingressi dei musei di meno della metà. C’è da suonare le trombe? Quanto alle straordinarie iniziative dei neo-direttori, abbiamo assistito alla promozione di introiti grazie a matrimoni (Paestum), a feste di laurea (Pitti), ad altre iniziative purchessia culminate nel compleanno con disco dance di Emma Marcegaglia al Palazzo Ducale di Mantova (febbraio 2016). Ma sì, divertiamoci, e se qualcuno si lamenta venga mandato a casa. Come i precari “scontrinisti” della Biblioteca Nazionale di Roma a 400 euro al mese, che hanno osato denunciare lo sfruttamento.

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