la Repubblica, 5 novembre 2018. Uno tsunami di case e altre cementificazioni è la catastrofe endemica che si abbatte sull'Italia. Il Bel Paese è un bel ricordo sempre più sfocato. (e.s.)
Case, case e ancora case. Tirate su con un cemento che quasi sempre è fuorilegge, costruite condono dopo condono, sui letti dei torrenti, davanti alle scogliere, sulla schiena delle colline. C’è tutto un Sud che sembra un’immensa, sterminata casba.
Abusivismo d’affari e quell’altro che con un vocabolario ipocrita qualcuno chiama "di indispensabilità", più si sana (da sanatoria, edilizia) e più spuntano pilastri di calcestruzzo, primo livello, secondo livello, terzo livello, un piano per ogni figlio che si sposa. Così nascono piccoli grattacieli di cartapesta nei paesi siciliani in riva al mare che guardano Ustica o le Eolie, nella Calabria marina devastata sul Tirreno e anche sullo Ionio, fra gli anfratti del Gargano (tanti anni fa abbiamo raccontato su questo giornale la mostruosità di San Nicandro, un paradiso sfregiato da un ammasso informe di malta), le abitazioni-stalla di Palma di Montechiaro, le ville ricche di quel villaggio di pescatori che era una volta San Leone che ieri aveva strade che sembravano i canali di Venezia.
È la storia che si ripete sempre - come a Casteldaccia e ad Altavilla Milicia, lì le ultime famiglie seppellite dalle inondazioni - in questo e nell’altro secolo nel nostro Meridione. Nulla è cambiato. Terre di tutti e di nessuno. Costruire senza licenza e senza paura.
Costruire sull’argilla, sullo spuntone che al primo temporale viene giù, costruire sulla sabbia. È un Sud che non ha mai imparato la lezione, che non ha fatto tesoro delle tragedie che ha subito, che immagina una mala sorte riservata sempre agli altri. E intanto case, case, sempre nuove case. Senza demolire mai. Quando accade è notizia sensazionale, grande evento, arrivano le troupe televisive, le "dirette" con l’eco-mostro di turno che si sfarina con la dinamite.
L’abusivismo nel Sud è piaga sociale. È fenomeno di massa protetto da interessi o anche solo da alibi, le battaglie legali sono destinate al macero, le inchieste giudiziarie si arenano fra prescrizioni e condoni parlamentari (ce ne sono sempre e sempre trasversali - destra, sinistra, centro, su, giù - e ispirati dalle più "nobili" intenzioni), i morti si dimenticano in fretta.
Quelli di Sarno del maggio 1998 (139 vittime, più altre 15 nel comune di Quindici, più altre 5 a Siano) e quelli dell’ottobre del 2009 a Giampilieri (37 vittime), quella del settembre del 2000 a Soverato (13 vittime) e quella di Capoterra in Sardegna (4 vittime) nell’ottobre del 2008. E ancora: Vibo Valentia, Ischia, San Marco in Lamis, Saponara, Ginosa, Atrani. Tutti luoghi in Sicilia, Sardegna, Puglia, Campania, Calabria. Sempre Sud. Sempre furbizie spacciate come "illegalità di necessità", un tetto per dormire, un riparo, la tana.
Per questo si fanno ufficialmente i condoni delle case abusive. Per "stare con la gente" e non "contro la gente". Dimenticando morti e sciagure. Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, in Italia dal 1980 ci sono state oltre 20 mila vittime causate da situazioni climatiche estreme.
Ma i morti, di voti non ne possono portare più. Quelli li portano i vivi. La legge calpestata. Ecco perché le speculazioni edilizie sono tollerate, ecco perché ci sono decine di migliaia di pratiche di demolizione inevase. Una burocrazia al servizio del consenso elettorale. A noi, che siamo siciliani, ci piace ricordare a questo punto cosa diceva, 2500 anni fa, il filosofo Empedocle su alcuni italiani del sud del Sud, gli agrigentini: mangiano come se dovessero morire subito e costruiscono le loro case come se non dovessero morire mai.
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