«I 79 bungalow con piscine di Punta Scifo a Crotone avallati dal funzionario Che ora rischia il processo». la Repubblica, 4 agosto 2017 (c.m.c.)
A Crotone non hanno dubbi. «Altro che Caraibi, andate a Punta Scifo». Per arrivare ci vogliono gambe e pazienza, ma la meta vale la fatica. Alla fine del sentiero c’è una cala di sabbia dorata e mare turchese, incorniciata da rocce arrotondate dal vento, a pochi passi dal tempio di Hera Lacinia, il simbolo di Crotone nel mondo. Un paradiso. Sotto assedio.
A sporcare la spiaggia, proprio sotto una torre cinquecentesca, ci sono 79 piattaforme di cemento. E lo scavo, incompleto, di una grande piscina. È quel che resta della mega lottizzazione abusiva mirata a far sorgere un villaggio turistico mascherato da agriturismo. «Un irreversibile stupro» per il giudice che ha sequestrato il cantiere. È toccato ai magistrati mettere fine a una storia paradossale. Il pm Gaetano Bono ha chiesto il processo per il soprintendente di Crotone, Catanzaro e Cosenza, Mario Pagano, gli imprenditori Salvatore ed Armando Scalise, il loro direttore dei lavori, Gioacchino Buonaccorsi, l’ex dirigente del Comune di Crotone, Elisabetta Dominijanni, e il funzionario Gaetano Stabile, accusati di essere a vario titolo i responsabili dello scempio di Punta Scifo.
Il peccato originale risale al 2003, quando l’ex sindaco Pasquale Senatore ha stravolto il piano regolatore, dando via libera agli agriturismi come «attività collaterale e ausiliaria» alle coltivazioni. Anche a Punta Scifo, zona sottoposta a vincolo paesaggistico dal ’68. Al riguardo, però, nessuno ha avuto da ridire e qualcuno ci ha visto un affare. Si tratta di Armando e Salvatore Scalise, reucci dell’abbigliamento sportivo con interessi nel turismo invernale, ma nel 2006 determinati ad accreditarsi come «imprenditori agricoli professionali », contadini con tanto di patentino, senza però un campo su cui zappare.
Se lo procurano solo nel 2008, grazie a una scrittura privata strappata al legittimo proprietario, Giuseppe Zurlo, all’epoca già defunto, e diversi mesi dopo aver chiesto i permessi necessari per costruire su quel terreno un agriturismo.
In Comune, nessuno trova nulla da eccepire, le richieste degli imprenditori vengono approvate in tempi record e il Marine Park Village inizia a prendere forma, quanto meno sulle carte dei progetti. Nei pressi dell’area archeologica di Capo Colonna, sono previsti 79 bungalow, una grande struttura bar-ristorante, piscine e servizi necessari per soddisfare le esigenze di massimo 237 ospiti. Eppure, il depuratore previsto nel progetto può sopportarne 500. Un mistero che nessuno nota alla Provincia, che in otto giorni concede agli imprenditori l’autorizzazione paesaggistica.
E nemmeno alla Soprintendenza dei beni architettonici. Ma lì i funzionari “dimenticano” di valutare in tempi utili l’incartamento e il loro silenzio diventa assenso. Solo a termini abbondantemente scaduti segnalano alcune pecche veniali – un elaborato fotografico mancante – ma i loro rilievi ormai non hanno più peso. Più puntuali i colleghi della Soprintendenza archeologica, ma ugualmente magnanimi. Si limitano a raccomandare di far seguire i lavori di scavo da personale tecnico- scientifico, mentre il Comune non fa altro che prendere atto dei vari pareri e concede il permesso a costruire. È il 20 dicembre 2011.
Nel 2012 le ruspe iniziano a devastare Punta Scifo. Ma non per molto. I cittadini guardano, gli ambientalisti protestano, gli archeologi insorgono e i carabinieri iniziano a indagare. Così l’amministrazione non può far finta di ignorare le macroscopiche difformità fra i lavori in corso e il progetto, né una serie di «errori» nell’iter autorizzativo. Il cantiere viene bloccato e la battaglia si trasferisce nei tribunali, dove a rappresentare gli Scalise c’è l’avvocato Domenico Grande Aracri, fratello del boss di Cutro, Nicolino. È lui a strappare più volte il dissequestro dell’area Solo dopo anni il Mibact si accorge che qualcosa nei sopralluoghi dei suoi sovrintendenti non ha funzionato.
Nuovi scavi rivelano «fitte concentrazioni di materiali ceramici» di epoca romana, ma ci vogliono quattro interrogazioni parlamentari per convincere il ministro Dario Franceschini a chiedere lumi sul cantiere al “suo” sovrintendente dei beni architettonici Mario Pagano. Che afferma che nulla si può fare perché «ormai i bungalow sono stati realizzati», ma non è così. Da qui parte l’indagine che nel giro di un paio di mesi porta a un nuovo sequestro dell’area e a una raffica di avvisi di garanzia, che per sei persone - incluso il sovrintendente Pagano - si sono trasformate in una richiesta di rinvio a giudizio.
Quel processo potrebbe non essere l’unico. Perché di un villaggio turistico a Capo Colonna sono stati sorpresi a parlare anche Gaetano Blasco, l’uomo che rideva dei crolli a Mirandola oggi in carcere per i legami con il clan Grande Aracri, e il “suo” costruttore di fiducia, Antonio Valerio. «Stanno facendo certi progetti a Capo Colonna – gli confida Blasco - devono fare cinquecento case di legno». Parlavano di punta Scifo? A dirlo potrebbe essere Valerio, che da mesi collabora con i magistrati. E pare che - almeno una volta - abbia incontrato il direttore dei lavori degli Scalise.