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Neal Peirce
Il sogno americano si scontra con un concorrente europeo
3 Marzo 2005
Megalopoli
Alcuni valori dilaganti dell'era Bush-Berlusconi, come l'individualismo o l'indifferenza alla complessità, messi in discussione da un bell'articolo americano sulle potenzialità dell'Unione Europea. Dal Washington Post Writers Group, 6 febbraio 2005 (f.b.)

Titolo originale: The American Dream Collides With A European Competitor – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

WASHINGTON – Si può discutere la saggezza delle iniziative con cui il presidente Bush vuole privatizzare parte della Social Security. Ma non c’è dubbio che si adattino perfettamente alla psicologia USA: il nostro, eterno american dream secondo cui ciascuno ha il diritto di tracciare la propria strada al benessere personale.

Aggiungeteci questioni collaterali, come la regolamentazione economica leggera, gli standards ambientali elastici, meno tutela per il lavoro, e il premiare le attività generatrici di reddito ventiquattro ore al giorno sette giorni su sette: avete messo a fuoco i valori principali della nostra ri-eletta amministrazione, e la sua ragione centrale di essere.

Ma date un’occhiata al di là dell’Atlantico, come suggerisce il nuovo libro dell’economista Jeremy Rifkin, The European Dream, e ci vedrete un’immagine potente e alternativa:

”Il Sogno Europeo privilegia le relazioni comunitarie rispetto all’autonomia individuale, la diversità culturale anziché l’assimilazione, la qualità della vita sull’accumulazione di ricchezza, lo sviluppo sostenibile contro la crescita materiale infinita, un’attività profonda sull’attivismo continuo, i diritti umani universali e quelli della natura su quelli della proprietà, e la cooperazione globale contro l’esercizio unilaterale del potere”.

Gli euroscettici grugniranno, liquidando l’Europa come retrovia di economie moribonde, orientamenti anti-mercato, programmi sociali troppo estesi e burocrazie governative gonfiate.

È vero, riconosce Rifkin, c’è qualcosa di reale in queste accuse. Ed è pure vero che i tassi di disoccupazione, specie fra i giovani europei, sono elevati e preoccupanti.

Ma considerate quello che hanno appena fatto gli europei. Il 29 di ottobre, i capi di stato, di governo, e i ministri degli esteri di 25 nazioni, dal mare d’Irlanda alle porte della Russia, hanno firmato una costituzione formale di Unione Europea che impegna tutti i membri come un singolo organismo di governo. Un continente lacerato da secoli di spaventosi conflitti, culminati negli orrori della Seconda guerra mondiale, sta creando il primo ambito di governo transnazionale della storia.

L’Unione Europea si è evoluta a velocità spettacolare dal suo inizio con l’autorità del carbone e dell’acciaio concordata da sei nazioni nel 1951. Ora esiste un passaporto comune europeo, e una sola valuta, l’Euro, utilizzata da molti membri. Sono regolamentati il commercio, e coordinate le politiche energetiche, delle comunicazioni e dei trasporti. Esistono un presidente, un parlamento, poteri di politica estera e una corte di giustizia le cui decisioni sono vincolanti per i paesi membri e i singoli cittadini.

È un’evoluzione stupefacente, anche se mancano ancora poteri fiscali diretti, e i diritti territoriali appartengono agli stati.

Noi americani siamo tanto convinti del nostro essere “speciali”, che facciamo fatica a cogliere la vastità di quanto conseguito dalla UE, e quello che rappresenta.

In primo luogo c’è il colpo economico. Con 445 milioni di persone, l’Unione Europea è il mercato interno più grande del pianeta, e la maggiore potenza esportatrice. Fra le principali 20 banche commerciali del mondo, 14 sono europee. Le imprese europee sono all’avanguardia mondiale nella chimica, assicurazioni, edilizia, industria aerospaziale. Un esempio recente e vistoso di cosa significhi tutto ciò: l’annuncio dell’Airbus A380, ad alta efficienza energetica per 800 passeggeri, un imbarazzante salto a sorpassare la concorrenza USA della Boeing.

Secondo, la qualità della vita. Gli europei, nota Rifkin, spesso osservano che gli americani “vivono per lavorare”, mentre essi “lavorano per vivere”. Pigrizia e tempo libero sono tenuti in alta considerazione; la gente si gode lunghi pasti e visite agli amici; tipicamente, non hanno mai fretta di “andare da qualche parte”. Le ferie pagate abitualmente sono di cinque settimane l’anno, contro le due di qui. Le differenze di reddito fra i molto ricchi e i poveri sono molto meno pronunciate che negli Stati Uniti. Il tasso di omicidi è un quarto del nostro.

Là dove l’ american dream enfatizza crescita e ricchezza personale, l’Europa cerca soprattutto uno sviluppo sostenibile. È vero che l’idea di città più vivibili ha guadagnato spazio anche qui di recente, ma gli europei sono davanti a noi di secoli nel costruirle e mantenerle. E al contrario delle nostre politiche di spreco energetico, gli europei tassano i carburanti (specie la benzina) molto più pesantemente, e sono parecchio davanti a noi nello sviluppo delle fonti di energia rinnovabile.

Infine, gli europei stanno sviluppando un insieme di valori che comprende idee come quelle degli USA di libertà, democrazia, diritti individuali. Ma si va oltre. La nuova costituzione cita “pluralismo, non-discriminazione, tolleranza, giustizia e solidarietà”.

Solidarietà? Significa, dice il primo ministro olandese Jan Peter Balkenende, attuale presidente del consiglio UE, che i membri vogliono abbandonare “il semplice interesse individuale quando problemi comuni richiedono una strategia comune. Perché non siamo entro l’Unione Europea per competere, ma per completare l’uno il lavoro dell’altro”.

Se il linguaggio suona strano alle nostre orecchie americane, non c’è da stupirsi. La nostra società ipercompetitiva, il nostro crudo giostrare per il vantaggio politico o economico, la nostra pervasiva mentalità vincitore-perdente, il credere di essere la nazione unta dal Signore che ha sempre ragione nelle questioni mondiali, è fuori tono in un secolo dove un’attenta collaborazione può offrire grandi vantaggi a nazioni, regioni, e anche ai singoli individui.

L’Europa, come noi, ha alcuni vistosi difetti: proclama il valore della diversità ma spesso esprime intolleranza verso gli immigranti, ad esempio. Ma gli ideali, il potere, la spinta di questa nuova potenza mondiale meritano il nostro rispetto. E la nostra attenzione.

Nota: qui il testo originale al sito del Washington Post Writers Group (f.b.)

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