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Hanno fatto bene ad assegnare il premio Nobel per la pace di quest'anno all'Organizzazione di controllo della produzione delle armi chimiche (OPAC) che si occupa del rispetto delle norme fissate dalla Convenzione del 1993 che vieta la produzione e il possesso di armi chimiche, controllo difficile perché molte materie prime per la fabbricazione delle armi chimiche o usabili direttamente come aggressivi militari possono anche essere prodotte per leciti fini industriali. Il pericolo era stato intuito già nell'Ottocento e la prima Conferenza della pace del 1899 chiese il divieto di produzione delle sostanze che potevano essere usate in guerra; pochi paesi firmarono la convenzione e nessuno la rispettò.
Nomi come fosgene (un intermedio peraltro usato nelle sintesi industriali), yprite, lewisite e poi tanti altri, sono diventati dolorosamente familiari ai soldati in guerra. Le devastanti conseguenze spinsero i paesi industriali ad aderire alla convenzione del 1925 che di nuovo vietava l'uso delle armi chimiche e che rimase anch'essa lettera morta; anzi gli arsenali si dotarono di armi chimiche sempre più raffinate. Durante il fascismo le armi chimiche erano oggetto di studi universitari nelle cattedre di "Chimica di guerra". Il controllo del divieto di tali "merci oscene" è difficile perché la maggior parte è costituita da sostanze "banali" che un paese potrebbe produrre e detenere facendo credere che "servano" per processi o prodotti commerciali come pesticidi o profumi. Non a caso sono state chiamate "la bomba atomica dei poveri" perché possono essere fabbricate con tecnologie e materie prime relativamente semplici e diffuse.
Ci sono voluti molti decenni per arrivare al trattato del 1993 che ha dettato norme più precise per vietare non solo l'uso, ma anche la fabbricazione delle armi chimiche. Il rispetto del trattato è affidato all'OPAC i cui funzionari hanno il compito di esaminare i depositi chimici militari dei vari paesi, di controllare la quantità di ciascuna sostanza "sensibile" a fini militari, di sorvegliare le operazioni di distruzione delle armi esistenti. Quest'ultima operazione è molto complicata e richiede impianti speciali di decomposizione delle varie sostanze, di incenerimento in modo da evitare inquinamento ambientale; sono stati costruiti inceneritori montati su navi che bruciavano le sostanze tossiche in mezzo all'oceano.
Queste le tecniche attuali, ma dove sono finite le centinaia di migliaia di tonnellate di armi chimiche prodotte nel mondo nel corso di oltre un secolo ? Molte sono state gettate in fondo al mare e sono lì, a decomporsi lentamente liberando i loro veleni. Del potenziale inquinante di tali armi avemmo una prova proprio a Bari, settanta anni fa, quando esplose la nave Harvey carica di bombe all'yprite; molte bombe con gas di guerra sono ancora sparse nell'Adriatico.
I funzionari dell'OPAC svolgono un lavoro difficile, politicamente delicato e silenzioso, tanto che ci siamo accorti della loro esistenza in occasione dei controlli in Siria; eppure da tale lavoro dipende la nostra sicurezza dagli effetti dei più insidiosi strumenti di guerra, dopo la bomba atomica.